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Oltre l’emergenza. Occorre un nuovo approccio al cambiamento

  • Pubblicato il: 23/08/2016 - 09:20
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Lucio Argano

SPECIALE MECENATE '90. Sesto contributo dei partecipanti al tavolo di riflessione varato da Mecenate ’90 sull’innovazione delle politiche culturali che prosegue sulle colonne della nostra testata. Sensibilità e visioni, diverse, a volte divergenti altre complementari. Carta bianca a Lucio Argano, esperto di progettazione culturale, soprattutto nello spettacolo dal vivo, che ricompone in un quadro d’insieme i cambiamenti che stanno intervendo nel settore culturale considerando il valore delle interazioni virtuose che  può produrre con altri settori. «Dopo un lungo periodo d’inerzia, recentemente le istituzioni sembrano finalmente aver riportato la Cultura tra le priorità dell’agenda di Governo. L’adozione di provvedimenti normativi come Valore Cultura e Art Bonus, l’individuazione di maggiori risorse per dotazioni e investimenti sul patrimonio e l’attuazione di azioni strutturali come la riorganizzazione degli uffici ministeriali, le nomine delle direzioni museali e il concorso per i 500 nuovi funzionari, sono interventi che rappresentano per ora degli inneschi importanti per un rilancio del settore culturale, pur con esiti che si andranno a verificare nel lungo periodo. La stessa determinazione del Governo a sostenere maggiormente cultura e formazione, anche come risposta alle minacce del terrorismo apparso in Europa, indirizzo condiviso nell’incontro trilaterale con la Francia e la Germania come strategia europea, depone a favore di una concreta volontà di considerare la cultura quale leva sociale per il futuro, superando una triste retorica “petrolifera”. Tuttavia….»
 
 

 
Dopo un lungo periodo d’inerzia, recentemente le istituzioni sembrano finalmente aver riportato la Cultura tra le priorità dell’agenda di Governo. L’adozione di provvedimenti normativi come Valore Cultura e Art Bonus, l’individuazione di maggiori risorse per dotazioni e investimenti sul patrimonio e l’attuazione di azioni strutturali come la riorganizzazione degli uffici ministeriali, le nomine delle direzioni museali e il concorso per i 500 nuovi funzionari, sono interventi che rappresentano per ora degli inneschi importanti per un rilancio del settore culturale, pur con esiti che si andranno a verificare nel lungo periodo. La stessa determinazione del Governo a sostenere maggiormente cultura e formazione, anche come risposta alle minacce del terrorismo apparso in Europa, indirizzo condiviso nell’incontro trilaterale con la Francia e la Germania come strategia europea, depone a favore di una concreta volontà di considerare la cultura quale leva sociale per il futuro, superando una triste retorica “petrolifera”.
Tuttavia perché volontà e misure in campo siano realmente efficaci, è fondamentale che si giunga ad un approccio diverso al cambiamento, non più estemporaneo, emergenziale, situazionale o, ancora, strettamente settoriale, ma piuttosto caratterizzato da una visione complessiva, sistemica e integrata, dotata di una prospettiva e un respiro lungo. Nella Pubblica Amministrazione continua a persistere, per usare una metafora, uno sguardo focalizzato sul singolo albero, invece che sulla foresta. La P.A. italiana, progettata per gestire diritti per i quali vanno fabbricate e implementate norme, fatica a trovare risposte complesse (politiche, interventi e servizi adeguati) a domande complesse (bisogni, innovazioni), anche perché spesso non è completamente capace di leggere tempestivamente e interpretare tali esigenze, che sono mutevoli e legate alle evoluzioni rapide del contesto. Come afflitti da una sindrome di Dorian Gray permane un divario tra aspirazioni e realtà vissuta, pur nella consapevolezza che alla corrente del cambiamento non ci si può sottrarre. Quando poi si tratta di affrontare mutamenti strutturali si privilegia la via ordinamentale, in chiave eccessivamente prudente e garantista, a cui seguono modalità applicative che se rigide possono limitare fino a inibire la portata di un intervento. C’è anche da dire che nel nostro paese la refrattarietà e la resistenza al cambiamento sono sovrane e sfiorano livelli di immaturità (anche a causa di una rappresentanza spesso giurassica). Per quanto riguarda i nuovi direttori museali le sfide  sono enormi: devono destrutturare in maniera virtuosa ed efficace una continuità che appare come patologica quando invece è fisiologica e si nutre di principi, suppellettili intellettuali, interessi, riti, forza dell’abitudine, polarizzazioni e richiede, quindi, una ridiscussione sistemica in profondità (vedi ad esempio il tema dell’autonomia gestionale per queste strutture). All’approccio d’insieme serve anche una parallela azione di sensibilizzazione e di collaborazione autentica che superi però la concertazione e sia leva di auto apprendimento e responsabilizzazione.
Nel settore dello spettacolo dal vivo è stato emanato il D.M. 1 luglio 2014 che ha riformato i criteri di finanziamento su base triennale introducendo processi di valutazione, scardinando situazioni cristallizzate e rendite di posizione, riconoscendo fenomeni della realtà artistico produttiva (multidisciplinarietà, residenze) prima non previsti. I meccanismi di valutazione (2/3 per la parte quantitativa mediante algoritmi, 1/3 per la qualità progettuale a opera delle Commissioni di esperti) hanno prodotto cambiamenti nei fondi assegnati rispetto al passato e sono stati oggetto di contestazione da parte degli operatori con numerosi ricorsi alla giustizia amministrativa e una sentenza di annullamento del decreto emessa dal TAR del Lazio, poi sospesa dal Consiglio di Stato. Inutile ricordare che proprio le rappresentanze delle categorie settoriali avevano avallato tali meccanismi, spaventati da un eccessivo peso dato alla discrezionalità dei valutatori. Quale sarà la sorte del D.M. e, conseguentemente, le ricadute sull’intero settore dello spettacolo dal vivo, dipenderà dal giudizio di merito dello stesso Consiglio di Stato, ma, se non altro, a partire dalla fine del triennio 2015/2017 sarà inderogabile una revisione dei suoi meccanismi. Sull’onda del dibattito seguito a questa vicenda si è prospettata la possibilità di varare una sorta di Codice dello Spettacolo, approfittando della discussione alle Camere di una legge di riforma del cinema. È possibile che oggi le condizioni politiche siano più favorevoli a stilare una norma primaria in tempi relativamente ragionevoli (la legge 163/1985 che ha istituito il Fondo Unico dello Spettacolo era la “legge madre” a cui fa seguire leggi “figlie” settoriali, finora mai realizzate) ma se questa ipotesi andrà a buon fine, può essere un’opportunità qualora la si affronti ragionando nell’insieme delle questioni che direttamente e indirettamente agiscono sullo spettacolo e non solo relativamente alle risorse. Un Testo Unico dello Spettacolo potrebbe non solo definire una volta per tutte obiettivi primari, principi, funzioni e tipologie di soggetti, poi ammesse al sostegno pubblico ma anche e soprattutto razionalizzare, eliminare il superfluo, semplificare con buon senso e mettere in ordine molti altri temi. Da quelli privi di normativa (ad esempio lo statuto dell’artista), alla polverizzazione regolamentare presso altre amministrazioni (la sicurezza dei locali pubblici spettacoli affidata agli Interni, il balzello dei Vigili del Fuoco nei teatri), dalle interazioni reali di sistema (riequilibrio territoriale, intervento sussidiario degli enti territoriali, relazioni virtuose non utilitaristiche con il turismo e la scuola) a una fiscalità che liberi risorse (tax credit analogo a quello per l’audiovisivo, revisione degli elenchi Istat per i teatri soggetti al taglio dei costi intermedi, equità su Imu, Irap e Ires), dall’armonizzazione complessiva delle norme (per fattispecie come le fondazioni lirico sinfoniche) al diritto d’autore.
Un approccio sistemico significa intanto maggiore coraggio e poi coinvolgere interlocuzioni decisionali diverse e superare i compartimenti stagni tra amministrazioni, restituendo legittimazione alla cultura e alle sue peculiarità che interagiscono con questioni più ampie come tutti i settori economici e organizzati (si pensi al nuovo Codice degli Appalti, al Job Acts, alla legge sulle partecipate pubbliche in approvazione). Così come il potenziamento delle misure attuate, ad esempio l’estensione dell’Art Bonus anche ai beni privati. In ogni caso è proprio nel considerare le interazioni virtuose che la cultura nel suo agire produce che si concretizza la visione d’insieme e si genera legittimazione.
Alcuni segnali incoraggianti rivelano che la direzione è questa. Il bando per le Capitali italiane della Cultura è un modo brillante per valorizzare le potenzialità di progettazione integrata delle città, così come il bando per la progettualità culturale per ora limitato al Meridione ma si auspica possa aprirsi anche ad altre regioni, e soprattutto il bando per le periferie (a parte le scadenze e i vincoli imposti che porterà i comuni interessati a proporre progetti riposti nei cassetti) che integra interventi infrastrutturali con servizi in particolare sul fronte socio culturale.
 
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Lucio Argano
Esperto di progettazione culturale
Docente presso Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Brescia e Università degli Studi di Roma Tre
 
 
  
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