Non solo ART BONUS
Il decreto-legge n. 83/2014 sull’Art Bonus - appena licenziato alla Camera senza alcun voto contrario e che entro fine luglio attende la conversione in legge da parte della Camera Alta - è in realtà un provvedimento complesso che, oltre ad introdurre forti incentivi fiscali per il mecenatismo culturale, contiene molte altre significative novità. Di particolare interesse quanto previsto dall’art. 7 del provvedimento contenente una serie di misure di rilevante portata che, se correttamente gestite, avranno il pregio di affermare innovative metodologie di valorizzazione integrata del patrimonio culturale. Il primo comma dell’art. 7 dispone l’introduzione di un nuovo strumento di pianificazione strategica denominato «Grandi Progetti Beni Culturali»; il Piano, da adottarsi entro il 31 dicembre di ogni anno, individua beni o siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale per i quali sia necessario e urgente realizzare interventi di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale, anche a fini turistici. Per attuare gli interventi del Piano è prevista, per il triennio 2014-2016, una apposita dotazione di spesa di 5 mln. di euro per il 2014, di 30 mln. per il 2015 e di 50 mln. per il 2016. Lo stesso articolo 7 dispone inoltre che, per il triennio 2014/2016, 3 milioni di euro annui siano destinati a finanziare progetti di attività culturali promossi dagli Enti Locali nelle periferie urbane. Nel processo di conversione in legge, inoltre, il decreto si è arricchito del comma 3-quater che prevede l’adozione del «Programma Italia 2019», promosso dal CIDAC, l’Associazione delle Città d’Arte italiane, con l’obiettivo di valorizzare, attraverso forme di collaborazione fra Stato, regioni ed enti locali, il patrimonio progettuale dei dossier di candidatura a «Capitale Europea per la Cultura» il cui titolo sarà assegnato, a metà ottobre prossimo, ad una delle 6 città finaliste: Ravenna, Siena, Perugia-Assisi, Cagliari, Lecce, Matera. Sempre al fine di favorire progetti di valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale attraverso forme di competizione tra diverse realtà territoriali, il medesimo art. 7 prevede che il Consiglio dei Ministri conferisca annualmente il titolo di «Capitale Italiana della Cultura». I progetti presentati dalle città designate sono finanziati a valere sulla quota nazionale del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione nel limite di un milione di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020 (con esclusione, ovviamente, del 2019, anno in cui l’Italia ospiterà la Capitale Europea della Cultura). L’insieme delle misure sopra riportate innovano significativamente l’approccio al patrimonio culturale favorendo il superamento di una visione puntale del processo di valorizzazione culturale e promuovendo un criterio di progettazione integrata e partecipata, tipico del modello ECoC (European Capital of Culture). In effetti, il programma delle capitali europee della cultura mostra notevoli punti di interesse e può rappresentare uno stimolante tema di discussione sulle politiche urbane in considerazione dell’esperienza ormai venticinquennale del modello che ha messo in luce straordinarie potenzialità di policy culturale e non solo, favorendo l’introduzione di strumenti di pianificazione strategica, di progettazione integrata e di proficuo rapporto tra pubblico e privato, con esiti assai interessanti sulla rigenerazione urbana, sulla crescita economica e sui processi di inclusione sociale. La connessione tra cultura e riqualificazione urbana è particolarmente evidente dall’esperienza delle Capitali Europee della Cultura di maggiore successo (Lille 2004, Liverpool 2008, Ruhr 2010, Marsiglia 2013), che hanno usato il programma comunitario come occasione-chiave per la riconversione economica di città ex industriali, per la riqualificazione di zone urbane «dismesse», per la rivitalizzazione della società civile, con l’intenzione strategica di rinvigorire un’economia stagnante, ottenere un riconoscimento internazionale e attrarre investimenti. Dalle migliori esperienze europee emerge, dunque, la positività di una modalità di pianificazione strategica che, ponendo al centro dello sviluppo urbano un progetto culturale, è in grado di integrare altre dimensioni di intervento, dalle infrastrutture alla mobilità, dalla riconversione di spazi industriali dismessi all’intervento sulle periferie, attraverso attività centrate sulla cultura e coinvolgendo attivamente la società civile. La convinzione che si è fatta strada, infatti, è che al di là dell’interesse della città designata, il valore del Programma risiede nella progressiva introduzione, nelle città che intendono misurarsi con il percorso di candidatura, di un processo ‘bottom-up’ che favorisce l’affermazione di un orientamento di pianificazione strategica a base culturale in grado di ripensare la città e proiettarla verso un nuovo modello di sviluppo più aderente alla sfida dell’economia della conoscenza, tipico delle società post-industriali. Con il modello ECoC, infatti, la cultura cessa di essere un ambito «settoriale» di competenza di una delega assessorile e diventa la piattaforma in cui l’intera Amministrazione si mette in gioco con l’ambizioso obiettivo di ridisegnare il volto della città attraverso uno sforzo progettuale interdisciplinare in grado di coinvolgere il mondo della ricerca, di attivare un proficuo rapporto di partenariato pubblico-privato, di assicurare l’attiva partecipazione dei cittadini, la cui legacy resterà comunque patrimonio dell’intera comunità.
Proprio in considerazione dei molti spunti di policy connessi al modello ECoC, sin dal 2009 l’esperienza delle capitali europee della cultura è al centro delle riflessioni di Ravello Lab – Colloqui Internazionali; anche nella prossima edizione, in programma a fine ottobre, il tema verrà ripreso ospitando le città candidate nell’intento di evidenziare le potenzialità di governance culturale ispirato al processo di candidatura. La «raccomandazione» che giunge da Ravello Lab, infatti, è che tale modello possa diventare una pratica ordinaria di intervento nella pianificazione dello sviluppo delle città incrociando gli eventi e le produzioni culturali con i processi di rigenerazione urbana e con lo sviluppo delle industrie culturali e creative. In questa direzione si è mosso il disegno di legge presentato al Senato, nella scorsa legislatura (n. 3068 del 21/12/2011), dall’On. Alfonso Andria, (Presidente del Centro Universitario per i Beni Culturali che, insieme a Federculture, promuove annualmente i Colloqui di Ravello) e ripresentato nel corso di quella attuale dall’On.Andrea Marcucci, Presidente della Commissione Cultura del Senato. Nell’intento di non disperdere la cultura di progettazione integrata connessa all’esperienza della candidatura per il 2019 e facendo tesoro di quanto è stato fatto in Gran Bretagna, la proposta riguardava la possibilità di introdurre anche in Italia il Programma Capitale italiana della cultura «virato» però sulle industrie culturali e creative con l’obiettivo di collegarlo anche ad un modello competitivo e sostenibile di sviluppo economico, in linea con i più recenti orientamenti della Commissione Europea espressi da «Europa Creativa».
Ci auguriamo ora che l’iter legislativo del decreto 83 confermi le indicazioni emerse dal lavoro parlamentare e che, soprattutto, nelle modalità attuative del programma si affermino i necessari criteri di qualità e trasparenza nel processo di selezione delle prossime Capitali italiane della cultura, anche al fine di non rendere un cattivo servizio alla città che si aggiudicherà il titolo di Capitale europea per il 2019.
Claudio Bocci è Direttore Sviluppo e Relazioni Istituzionali Federculture, Consigliere Delegato Comitato Ravello Lab