Nessuno può cambiare il mondo da solo
SPECIALE MUSEI. Quando i sogni si avverano, a volte si rivelano incubi. Ledo Prato, Segretario generale di Mecenate 90, ci racconta un proprio sogno notturno, con protagonista un amico recentemente nominato ai vertici di uno dei 20 principali musei del paese che, determinato a ripensare la gestione di un museo simbolo, guarda il nuovo impianto normativo come una selva e gli chiede lumi progettuali. Una narrazione generosa dalla quale emergono nodi e opportunità che hanno il nome della partecipazione attiva, degli attori primari del territorio e di tutta la comunità
Nello scorso mese di agosto gran parte della stampa italiana si è accorta che in Italia esistono i musei, che molti sono importanti, che sono frequentati da migliaia di visitatori, che sono stati oggetto di una riforma approvata nel 2014, che sono stati riorganizzati e inquadrati, almeno quelli statali, secondo due modelli. Per molti è stata una scoperta “straordinaria”, per altri una occasione per dilettarsi nel sollevare un rinnovato “spirito nazionalistico”. Altri si sono sentiti in dovere di difendere un modello e un sistema che, avendo accumulato qualche decennio di storia, avevano maturato il diritto a sopravvivere nei secoli dei secoli. Tutto quanto è successo va considerato positivamente. Non so quanto durerà, ma ora sappiamo che c’è una parte della stampa che sa che esistono i musei, ne hanno informato i propri lettori e continueranno a farlo anche in futuro... Solo qualche rivista, come il Giornale delle Fondazioni o Aedon (senza togliere meriti ad altri), si è impegnata in una attenta analisi della riforma ed ha cercato di ospitare opinioni e contributi. Ne ho letti purtroppo solo alcuni e in molti ho rintracciato analisi e valutazioni comuni.
Quando sono stato invitato a scrivere della riforma dei musei, ho pensato che ormai i lettori disponessero di una quantità di dati, analisi, osservazioni critiche sufficienti per non attardarsi ancora sull’argomento. Ci ho dormito sopra e il caso ha voluto che nella notte si siano affollati sogni. Proverò a raccontarli, chiedendo scusa se non saranno racconti lineari e non avranno un carattere scientifico.
Tutto comincia con la visita ad un grande luogo della cultura che mi è parso fosse collocato in un’area del Mezzogiorno. Girando per le sale incontro un amico che, salutandomi, mi dice di essere il nuovo Direttore nominato da qualche giorno. Mentre mi complimento, immaginandolo entusiasta e felice, lo scopro molto preoccupato. Come altri suoi colleghi è stato attaccato dalla stampa. Gli hanno attribuito poca preparazione, poca esperienza di gestione di un grande museo; lo considerano nominato grazie a manovre clientelari, inadeguato a fronte di direttori o dirigenti ministeriali con esperienze e titoli di maggior lustro, con poca familiarità con le problematiche degli uffici ministeriali, con scarsa conoscenza del luogo che avrebbe dovuto dirigere, oltre che del territorio interessato. Insomma un disastro.
Di contro mi confida alcune sue preoccupazioni sui compiti che gli sono affidati, citandomi, mi pare, l’art. 35 del dpcm: la gestione del museo, l'organizzazione di mostre ed esposizioni, e quelle di studio, valorizzazione, comunicazione e promozione del patrimonio museale; la definizione dell'importo dei biglietti di ingresso, (dopo aver sentito la direzione generale Musei e il polo museale regionale…), degli orari di apertura del museo, la cura degli standard, l’autorizzazione del prestito di opere e, sentito il soprintendente di settore…, le attività di studio e di pubblicazione, l'affidamento diretto o in concessione delle attività e dei servizi pubblici di valorizzazione del museo, la promozione dei progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di raccolta fondi, le attività di ricerca e le funzioni di stazione appaltante. E poi dovrà presiedere il Consiglio di amministrazione ed il Comitato scientifico, predisporre i bilanci preventivi e consuntivi, curare incassi, pagamenti e scritture contabili, assumere in consegna, con compiti di vigilanza, beni mobili ed immobili del museo, stipulare i contratti approvati dal Consiglio di amministrazione. E mi dice di temere che ci sia dell’altro. Per esempio, occuparsi di sponsorizzazioni, assicurazioni, sicurezza dei dipendenti, dei visitatori e di chiunque avrà contatti con le attività del museo. Certo, mi dice, gli hanno spiegato che può contare sulla collaborazione di molti uffici ministeriali. Ad esempio il segretario regionale lo potrà coadiuvare per le gare e gli appalti, le sponsorizzazioni, le politiche per incrementare il turismo, per definire accordi con altri soggetti pubblici e privati del territorio. Poi la direzione generale Musei fornirà, ma solo su sua richiesta, il supporto tecnico‐amministrativo, ad esempio, per la predisposizione degli atti di ricezione in comodato o in deposito di cose o beni. E poi la direzione generale Bilancio potrà offrirgli supporto e consulenza in materia di contratti pubblici, di contabilità e informatica operativa. In generale ogni direzione generale potrà fornirgli, per le materie di competenza, il supporto e la consulenza tecnico‐scientifica. Troppa grazia! E’ sempre più preoccupato perché comincia a pensare che se tutti questi uffici sono a sua disposizione forse è perché al Ministero pensano che i Direttori non siano poi così bravi e capaci come hanno cercato di far credere. E poi mi dice che ci sono delle cose che gli sono davvero poco chiare. Ad esempio. I direttori di museo non hanno la possibilità di esercitare per intero la gestione del personale, ma hanno la facoltà di distribuire il personale assegnato tra le aree funzionali del museo e sono persino chiamati ad effettuare la valutazione e ad esercitare la vigilanza sul loro lavoro e possono esercitare poteri disciplinari. Già si immagina conflitti e discussioni infinite con le organizzazioni sindacali sull’esercizio delle sue funzioni. Pensavo che si fermasse, ma sembrava un fiume in piena. Mi cita la questione del Consiglio di amministrazione e del Comitato scientifico. Si domanda come li comporranno. E’ consapevole che la nomina del Consiglio è di competenza del Ministro e sa che però sarà lui a presiederlo. Non è ne è molto convinto e teme che non sia stata una grande idea escludere per i Consiglieri persino il rimborso delle spese di viaggio. Una concessione al populismo imperante! Visto che invece a lui, per fortuna, riconosceranno un compenso adeguato. E poi i Comitati scientifici. La loro composizione sarà il frutto di una concertazione fra diverse istituzioni, comprese Regioni e Comuni. Un organismo per rafforzare il sistema delle relazioni con il territorio a cui è chiamato, come Direttore, a dare impulso. Questo gli hanno detto. Si fa mille domande e cerca delle risposte. Chiede consiglio, ma non è spaventato. D’altra parte ha combattuto con determinazione per riuscire a superare la selezione e ha avuto la possibilità di indicare i musei che avrebbe voluto dirigere. Quindi se si fa domande è perché il quadro non gli è del tutto chiaro e sa che si chiarirà con il tempo, con l’esperienza. Ci vorrà pazienza, ma teme che ci siano troppe aspettative miracolistiche e che tutti gli staranno addosso, passeranno al setaccio qualunque decisione assumerà, dovrà superare diffidenze, sospetti, riconoscere trabocchetti, imparare a distinguere loglio dal grano. Per cercare di incoraggiarlo faccio leva sulla sua esperienza, sulla sua maturità, sul suo equilibrio, sulla sua professionalità.
Mi interrompe per chiedermi se possiamo fare insieme una “scaletta” di cose possibili. Mi ritraggo, ma insiste. E allora ci proviamo. Gli suggerisco di proporre ai suoi colleghi direttori di mettersi in rete e di dedicare due ore al mese allo scambio delle esperienze e alla condivisione di problemi e soluzioni.
La condivisione è la parola chiave del successo o del fallimento di questa esperienza. Perciò gli propongo di presentarsi al Soprintendente, al Sindaco, al Vescovo (qui storce un po’ il naso), al Prefetto, al Questore e poi a Confindustria, Camera di Commercio, Università, Organizzazioni sindacali e così via.
Lo invito a non presentarsi con un programma fitto ma con pochi e chiari obiettivi. Mi sollecita a indicarne qualcuno. Ci provo. Gli suggerisco di dichiarare subito che si impegnerà a collaborare per rafforzare la reputazione di questo luogo e, con esso, di questo territorio, insieme alla comunità e ai suoi rappresentanti e, per questo, dovrà chiedere la collaborazione di tutti.
Quindi Consiglio di Amministrazione e Comitato Scientifico a parte, gli propongo di costituire una Consulta degli attori principali del territorio che si riunisce una volta al mese per decidere insieme sulle principali questioni che possono migliorare il rapporto fra museo e comunità. Prima di pensare allo sviluppo dei flussi turistici, va costruita una piattaforma di iniziative comuni per migliorare i rapporti fra comunità e museo e fare in modo che questo torni ad essere un luogo vissuto, visitato prima di tutto dai cittadini del territorio. Insomma, “capitale territoriale”, associando gli altri luoghi del territorio, senza distinzione di titolo proprietario.
Gli suggerisco di insistere sulla trasparenza. Mettere tutto on line e dichiarare che non ci sarà spazio per favoritismi o clientelismi. La legalità, la convivenza civile saranno finalmente anche obiettivi di un museo, attraverso scelte, comportamenti e politiche che incoraggeranno lo sviluppo della coesione sociale.
Gli suggerisco di stringere un patto con il Terzo Settore, chiamandoli in causa, canalizzando le loro energie verso pratiche di partecipazione e condivisione, valorizzando il volontariato, aprendo la frequentazione del museo alle persone diversamente abili, alle fasce più popolari. Loro, quelli del Terzo Settore, li conoscono bene, li frequentano quotidianamente e possono aiutarlo.
Dovrà inoltre cambiare il sito internet, renderlo aperto, interattivo, in più lingue, con la prenotazione della visita e l’acquisto del biglietto on line. Magari aggiungendo un gioco con cui scoprire le bellezze delle opere che espone il museo. Attenzione alle innovazioni tecnologiche. Scegliere solo quelle che davvero servono per migliorare la fruizione del museo. Tecnologie per l’uomo e non viceversa.
E poi gli ho suggerito di incoraggiare la formazione dell’Associazione degli Amici del Museo per avere un gruppo di persone pronte a condividere le scelte più impegnative, a organizzare eventi per la raccolta di fondi che aiutino a restaurare solo ciò che davvero serve, a organizzare mostre soprattutto con le opere dei depositi, e all’interno di un’offerta culturale pensata e non casuale. Attenzione a non farne un club di “snob”, attenti più alla propria reputazione che a quella del museo. Piuttosto cura e passione per le persone anziane che possono essere volontari convinti e promotori del museo nelle famiglie, con i più giovani. Perciò l’ho richiamato alla necessità di aprire un confronto vero con la scuola e l’Università, non per organizzare più gite scolastiche ma per riconnettere centri di ricerca e formazione a vantaggio della crescita civile e sociale della comunità. Mi ritraggo sul tema dei giovani per non dispensare ricette a buon mercato.
E infine mi sono permesso di dirgli che la soluzione di tutti i problemi non sempre passa per più risorse economiche e che si può fare di più e meglio anche con meno. Perché la sobrietà, il rispetto per le persone in difficoltà sono valori a cui il museo deve richiamarsi. La fruizione, l’accesso al patrimonio culturale, la condivisione con le altre istituzioni culturali del territorio devono essere, gli ho detto, la misura del tuo lavoro. “Quando a fine giornata ti troverai a fare un bilancio, verifica se, con l’aiuto di tutti, siete riusciti a portare un visitatore in più nel museo. Meglio se è uno che non c’è mai stato. E non ti lamentare se le cose non andranno sempre per il verso giusto. Porta pazienza, ascolta con attenzione, non perdere il senso della misura che hai sempre avuto, abbi coraggio e non negare a nessuno un sorriso”.
Quando ho finito si è avvicinato un custode che, un po’ bruscamente, ci ha chiesto di uscire perché il museo doveva chiudere. Ci siamo allontanati rapidamente. Ma ad un certo punto il mio amico non mi era più accanto. Mi sono girato, era rimasto indietro, mi ha salutato con la mano e mi ha detto: “ci vediamo fra un anno. Perché ci vorrà tempo per fare le cose bene e insieme”. Mi ha urlato: “nessuno può cambiare il mondo da solo”. E mi ha regalato un sorriso. Chissà se qualcun altro, oltre a me, l’avrà ascoltato.
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