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Napoleone, «fruttivendolo» di D'Annunzio

  • Pubblicato il: 13/09/2013 - 13:43
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Veronica Rodenigo
Uno scorcio della mostra

Venezia. «Carissimo Napè, i tuoi frutti mi hanno finalmente deliziato ma non saziato. Li ho divorati tutti nella sera stessa cosicchè ho bisogno di una nuova canestrata…».
L’insaziabile altri non è che Gabriele D’Annunzio e i vegetali che egli richiede per il suo Vittoriale sono assai singolari: zucche d’un rosso sanguigno e dal fogliame bluastro, arance, limoni, pannocchie, germogli, varie altre cucurbitacee. Frutti dall’irreale cromia ma tutti di vetro, materia duttile e facilmente plasmabile secondo il marcato edonismo estetico del Vate.
A sollecitare l’appetito dannunziano: le creazioni di Napoleone Martinuzzi (1892-1977), scultore muranese figlio d’un semplice operaio che entrato in società con Paolo Venini diventerà direttore artistico della fornace dal 1925 al 1932.
La storia di questa collaborazione, segnata da partecipazioni alle principali biennali del tempo, da sperimentazioni innovative come quella per i vetri pulegosi e, appunto, anche da un sodalizio amicale con il poeta, viene ora presentata attraverso la mostra «Napoleone Martinuzzi. Venini, 1925-1931» (a cura di Marino Barovier) negli spazi della Fondazione Giorgio Cini.
Sino al prossimo 8 dicembre, il terzo appuntamento delle Stanze del Vetro organizzato in collaborazione con l’elvetica Pentagram Stiftung, raccoglie in tutto quasi 200 opere tra cui anche disegni e fotografie d’epoca per condurre nuovamente lo spettatore nella storia dell’arte vetraria, in cui ebbero a riflettersi le ultime tendenze delle moderne arti decorative.
Creazioni perlopiù provenienti da collezioni private ma destinate anche a spazi pubblici che allora non sfuggirono all'occhio di riviste come «Domus» e «La Casa Bella».
Accolto dai vetri cosiddetti «trasparenti» dalle anse costolate, il visitatore incontra coppe e finissimi calici dal tenue cromatismo, filigrane, la penombra che lo scenografo Pier Luigi Pizzi crea per ricostruire, in mostra, una stanza del Vittoriale rischiarata da canestri luminescenti di frutta e ortaggi. Né mancano i pulegosi in prevalenza verdi e creazioni di grande formato: quella della Danzatrice realizzata nel 1928 per la festa del Vetrai all’Hotel Excelsior al Lido (in origine alta ben 2 metri e cinquanta), rappresentata da una riproduzione fotografica perché subito perduta; la grande pianta per la mostra del Fiore d’arte a Firenze (1931) e oggi di proprietà della Pinacoteca Ambrosiana di Milano e quella che tutt’ora adorna il palazzo delle Poste di Bergamo (1932). Piantine grasse in vetro pulegoso blu e verde stimolano l’immaginario ludico insieme al variegato bestiario fatto di pellicani trasparenti, maialini, cervi, elefantini, tori, unicorni e una giraffa affiancata da un oblungo bassotto nero. A chiudere la piccola teoria di suppellettili ornamentali, anche centri tavola e oggetti decorativi luminosi con la fonte di luce sistemata alla base del manufatto.
Lasciata l’Isola di San Giorgio (dove fino al 29 settembre è visitabile anche la suggestiva installazione di bolle vitree ideata da Not Vital), il viaggio nell’arte vetraria continua con le mostre «Glasstress» (fino al 24 novembre all’Istituto di Scienze e lettere ed Arti, alla Scuola Grande di San Teodoro e al Berengo Centre for Contemporary Art di Murano); «I Vetri della Seguso per il Bauer (1950-1965)» all’Hotel Bauer e «Seguso, Vetri d’arte. 1932-1973» al Museo del Vetro di Murano (entrambe fino al 29 settembre).

da Il Giornale dell'Arte, edizione online, 9 settembre 2013