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Musei, bilancio di sostenibilità e dintorni

  • Pubblicato il: 13/08/2017 - 14:58
Autore/i: 
Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Irene Sanesi

 In nome dell’accountability, del rendere conto, del social impact, si stanno affacciando i primi bilanci di sostenibilità dei musei italiani, che uniscono le istanze economiche e finanziare con le performance socio-culturali a favore della comunità. La Fondazione per le Arti contemporanee in Toscana ha aperto la strada con il racconto del museo Pecci di Prato, seguita dal MANN-Museo Archeologico nazionale di Napoli. Un nuovo corso si è aperto. Fino ad oggi “Chi lavora nei musei ha messo a fuoco soprattutto ciò che è ‘peculiare’ (le collezioni per esempio) piuttosto che ciò che è ‘importante’ (le finalità sociali). Ma essere devoted-to-objects anziché driven-by-purpose non renderà un museo eccellente più di quanto un’ordinata contabilità possa rendere florida un’impresa”.
 


 
Nelle prossime generazioni il vero analfabeta museale sarà colui incapace di capire un bilancio?
E quale bilancio?
 
La questione si fa seria non soltanto in riferimento al prodotto (culturale) quanto per intercettare comprendere e valutare il processo e le dinamiche decisionali presenti in organizzazioni complesse quali i musei. Agli aspetti teleologici, proprietari e organizzativi è mancato spesso un pensiero immanente del molteplice. Una cosa è certa: i musei non potranno sopravvivere perseguendo la sola logica della funzionalità.
 
A livello internazionale la vita dei musei si differenzia fortemente. Si pensi alla museification in Cina con un ritmo che sta creando oltre 100 musei all’anno quando, oltre oceano, abbiamo assistito al fallimento a New York di uno dei musei più famosi al mondo, il Metropolitan, per anni esempio di buona gestione, fundraising e accountability e soprattutto, di capacità di autofinanziamento, come d’altronde gran parte del mondo anglosassone.
 
Il report dell’ultima importante conferenza organizzata dal Network of European Museum Organisations a Karlsruhe in Germania a novembre 2016, che portava un titolo emblematico “Money Matters” e un sotto titolo altrettanto eloquente “The Economic Value of Museums” riporta un quadro dicotomico. Da un lato preoccupante, con numerosi musei chiusi (nella stessa Inghilterra dove ormai è Londra il baricentro artistico a tutti gli effetti) o a rischio chiusura; dall’altro, eccezionalmente sfidante poiché, pur in una sostanziale dipendenza dai contributi pubblici (e sarebbe difficile pensare diversamente), la cultura e l’arte contemporanea possono, in una logica “glo-crea-l” (globale creativa e locale) divenire attori di un cambiamento verso una crescente autonomia patrimoniale e finanziaria e una piena consapevolezza dei fattori di sviluppo per la comunità di riferimento.
In altre parole e sempre di più i musei oggi sono strumenti di welfare e sarà cruciale la modalità con cui riusciranno a costruire un’economia di senso, identitaria e contestuale al loro territorio.
In questo solco, aspetti quali il rendere conto con trasparenza e la sostenibilità divengono centrali.
 
Per troppo tempo si è guardato lo spazio museale come luogo fisico (dotazioni e prestazioni in linea con gli Standard) e non come “sistema di relazioni” costituito da componenti fluide, comportamenti non sempre funzionali o convenzionali, meccanismi di scissione e ricomposizione, significati a volte contradditori che fotografano il museo come un organismo altro dalla “gated community” che i soli Standard tenderebbero a “immobilizzare”.
 
Nel frattempo si sono affermate metodologie internazionali di reporting basate su sostenibilità e trasparenza che hanno trovato larga e diffusa applicazione tra le aziende profit, volte sempre di più a dare conto ai propri stakeholder delle loro performance valoriali (sociali, ambientali, culturali, ecc.) e non solo di remunerazione del capitale investito in termini di utile d’esercizio.
Questi due distinti percorsi si trovano oggi a condividere un’esperienza comune, provando, il museo, a fare propri alcuni principi del bilancio di sostenibilità a partire dalla richiesta di scelte nuove e innovative frutto di un diverso modo di pensare.

Si tratta dunque di sviluppare, con un approccio che potremmo definire di experience accountability, un pensiero dell’identità museale, un pensiero della differenza (gli stessi Standard hanno poco senso se non riescono ad essere vissuti anche come confronto) in grado di introdurre un pensiero critico, una sorta di pensiero proprio dal punto di vista dell’altro.

Il museo è un’identità dinamica, è un sistema aperto e complesso (cumplexus: ciò che è intrecciato) che non può essere “zippato”: per osservarlo e comprenderlo dobbiamo coglierne i processi e le dinamiche, e forse dobbiamo farlo con modelli che possano indicare le strategie da adottare nella rivoluzione dell’accrochage.

La scoperta e la presa di coscienza del museale, anche attraverso l’uso di linee guida per un reporting qualitativo, divengono strumenti di auto-rappresentazione, stimoli per un continuo e costante perfezionamento, evidenze della plasticità del modello.

Quello a cui ancora siamo erroneamente abituati è un approccio di tipo “micro” (da cui la micro-museologia): si tende cioè a guardare dentro l’edificio museale con standard, professioni museali, assetti proprietari, management. La sfida diventa dunque quella di un’analisi “oltre” che possa superare e integrare l’assunto del museo-macchina efficiente, per guardare ai valori, ai processi, alle relazioni. “Chi lavora nei musei ha messo a fuoco soprattutto ciò che è ‘peculiare’ (le collezioni per esempio) piuttosto che ciò che è ‘importante’ (le finalità sociali). Ma essere devoted-to-objects anziché driven-by-purpose non renderà un museo eccellente più di quanto un’ordinata contabilità possa rendere florida un’impresa[1].
 
In genere è utile cominciare chiedendosi quali possono essere le criticità che emergono nel museo ai fini del lavoro sul bilancio di sostenibilità. Eccone alcune:

  • autoreferenzialità
  • asimmetria informativa
  • difficoltà di relazioni informali
  • incertezza dei tempi e del processo decisionale
  • incertezza del contesto e delle risorse
  • motivazione delle persone
  • scarsità di tecnologie e comunicazione
  • necessità di responsabilità.

 
Vero è che ve ne potrebbero essere molte altre, così come molte di esse sono al contempo dei potenziali punti di forza. Nell’ottica sostenibile di “soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di soddisfare i propri bisogni”, lo sviluppo del museo dipende anche dall’individuazione di linee guida che nel caso di specie (bilancio di sostenibilità) sono quelle del Global Reporting Initiative -GRI[2] e/o la norma ISO 26000, considerando prioritari i principi del modello del valore[3], pensati, progettati e testati proprio sulla vita dei musei.
Il carnet da cui scegliere gli asset su cui impostare il lavoro è amplissimo e come tale comporta un lavoro di selezione.

A seguire una proposta aperta; e gli auguri di buon lavoro.

  1. Pertinenza: provate a scegliere le tematiche pertinenti, cioè quelle davvero attinenti al museo e agli interessi di tutti i suoi stakeholder di riferimento.
  2. Autenticità: cercate di essere sempre trasparenti, chiari e documentati, tanto sui successi quanto sugli insuccessi; la compliance è un valore.
  3. Inclusione: è importante individuare e selezionare i portatori di interesse nel focus-group sul bilancio di sostenibilità perché possano fin da subito concorrere alla sua redazione e condivisione.
  4. Materialità: conta quello che è davvero rilevante e significativo non solo quello che in maniera autoreferenziale si pensa che lo sia.
  5. Sistematicità: presentare il bilancio una volta l’anno è già qualcosa ma la vera sfida è realizzare un aggiornamento periodico e dinamico e la capacità di fornire una visione d’insieme.
  6. Comunicazione: il bilancio di sostenibilità o annual report o qualunque cosa sia è anche un grande dispositivo di comunicazione e storytelling.
  7. Concretezza: non solo fiumi di parole, ma numeri, dati, indicatori di perfomance.
  8. Terzietà: prima o poi fate certificare il vostro bilancio di sostenibilità da un ente terzo.
  9. Internazionalità: se ci riuscite mettete in piedi un lavoro di condivisione e benchmark con altre istituzioni museali di respiro internazionale.
  10. Perfezione: non aspettate di pubblicare un bilancio perfetto, mettetevi in cammino.

Irene Sanesi, Dottore Commercialista - Economista della Cultura, Presidente Fondazione per le Arti contemporanee in Toscana
 

 
[1] Maggi M. (2009).
[2] A metà ottobre 2016 il GRI ha pubblicato i suoi nuovi standard che sostituiranno del tutto i precedenti a partire dal 1 luglio 2018. Si tratta di 36 linee guida da seguire per fare relazioni trasparenti e corrette su una lunga serie di temi sociali e ambientali. Le aziende potranno seguirle tanto per pubblicare un bilancio di sostenibilità a 360 gradi, quanto per stilare relazioni dettagliate su singoli argomenti.
[3] Si vada Sanesi I. (2014), Il valore del museo, FrancoAngeli.