Munch sì, ma non da urlo
Genova. Nell’unica mostra fuori dalla Norvegia organizzata per i 150 anni dalla nascita di Edvard Munch (1863-1944), Palazzo Ducale fa seguito alla grande retrospettiva chiusa a Oslo il 13 ottobre con una mostra diversa, che fa di necessità virtù. Ossia: come supplire, per l’importante appuntamento italiano dal 6 novembre al 27 gennaio, che il battage pubblicitario già da mesi preannuncia come una delle mostre più visitate, alla mancanza di quel capolavoro di cui tutti parlano e che è quasi l’unica opera del pittore conosciuta dal grande pubblico? L'«Urlo» è difficilmente trasportabile, dopo i furti subiti dai musei di Oslo, prima dalla Galleria Nazionale nel 1994 e poi dal Museo Munch nel 2004. Blindatissimo anche il prestito della versione del 1896, un pastello, acquistato dal miliardario newyorkese Leon Black per 120 milioni di dollari nel 2012.
Marc Restellini, il curatore francese a cui Arthemisia Group e 24ore Cultura hanno affidato il progetto accolto dal Comune di Genova e da Palazzo Ducale Fondazione per la cultura, ha accettato la sfida, decidendo di attingere da molte altre collezioni private. A scanso di equivoci alla voce (e all’occhio) del francese si affiancano quelle di un comitato scientifico composto da Richard Shiff, Øyvind Sorm Bjerke, Petra Pettersen e Ina Johannesen.
Un centinaio le opere, tra dipinti, pastelli, acquerelli, incisioni e litografie, che illustrano un percorso artistico davvero poco noto e anche molto differente dalle icone che hanno aperto la strada alla modernità, con i forti accenni espressionisti dell’«Urlo» o della «Madonna». Sono ben 1.729 le opere recensite del prolifico artista, delle quali meno di 150 dipinti. Circa novanta quelli realizzati tra il 1887 e il 1909, ossia negli anni di nascita e sviluppo delle avanguardie e dei soggiorni dell’artista in Francia e Germania. Solamente una cinquantina è dipinta tra il 1909 e la morte, nel 1944. Dopo un momento di fervida innovazione, e anzi di anticipazione dei grandi temi e dei sentimenti inquieti del ’900, Munch pare quasi ripiegarsi su se stesso, ripetendo gli stessi soggetti più volte, come in sequenza, sperimentando piuttosto gli effetti diversi nelle tecniche di riproduzione a stampa. Alternanza non solo di tecniche, anche di stili, creano un effetto di spaesamento per chi voglia seguire un percorso coerente nella sua opera, così diversa, in alcuni lavori, da quell’allucinato senso di straniamento che denunciano i capolavori pre-espressionisti. La sfida di Restellini a presentare un Munch altro rispetto a quello più noto, ma allo stesso tempo a voler sedurre un pubblico non specialistico, è un gioco rischioso che attende il responso a mostra avviata. In ogni caso, forse, più che dal punto di vista dei contenuti storico artistici, la mostra va accolta come un’operazione più generalmente culturale, che aiuta le casse del Ducale creando anche indotto. Questo è accaduto per mostre analoghe negli ultimi anni, che hanno consentito alla Fondazione di non chiudere in rosso, ma anzi di creare attorno a questi eventi anche commerciali un’offerta culturale aperta alla città ricca e tutt’altro che superficiale, toccando non solo temi squisitamente artistici ma anche di storia, sociologia, filosofia eccetera, in un programma che secondo l’autorevole parere di Salvatore Settis, che sarà ospite il 24 gennaio con la sua conferenza dedicata alla Colonna Traiana, è «tra i programmi pubblici più ricchi in Italia, se non addirittura il migliore».
da Il Giornale dell'Arte, edizione online, 7 novembre 2013