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Milano ha un buco, ma per fortuna anche un hangar (e ora una squadra d’assalto)

  • Pubblicato il: 19/07/2013 - 12:56
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Ada Masoero
Antonio Calabrò

Milano. La sfida era di quelle impervie: dare visibilità nazionale e internazionale ad hangarBicocca e rilanciare l’immagine di alto profilo che aveva esibito alla sua inaugurazione, nell’autunno del 2004, quando debuttò con l’esposizione dei «Sette Palazzi Celesti» di Anselm Kiefer. Per tutti, all’epoca, un colpo al cuore, per quell’opera grandiosa e per lo spazio immenso (15mila metri quadrati:
il più grande d’Europa), reso virtualmente illimitato dal buio profondo in cui è immerso. A poco a poco però HangarBicocca perse di smalto e, ciò che è più grave, di identità.
Nell’aprile 2012 Pirelli, socio fondatore promotore (intervenuto rilevando la quota di Pirelli Real Estate) con Regione Lombardia e Camera di Commercio di Milano (poi ritiratasi), ha voluto affrontare la sfida della ripresa. hB è stato negli ultimi mesi il vero «caso» della Milano dell’arte (cui Gianluca Winkler ha dedicato il volume Come nasce un’istituzione. Il caso HangarBicocca, Allemandi 2012): in poco più di un anno i visitatori delle mostre sono stati 200mila (più 800 per cento), 7mila i bambini e i ragazzi coinvolti nei suoi 300 laboratori, 70 gli eventi pensati per avvicinare il pubblico più vasto possibile alla cultura contemporanea (arte, musica, cinema) e sette i progetti espositivi internazionali, dalla personale di Tomás Saraceno all’installazione visiva e sonora di Carsten Nicolai, alla retrospettiva in corso di Mike Kelley. L’ultimo colpo è stato messo a segno conquistando alla causa Vicente Todolí, già direttore di Tate Modern, che sino al 2016 sarà l’artistic advisor di hB , con Andrea Lissoni curatore. Ne parliamo con Vicente Todolí e con Antonio Calabrò, senior vicepresident Culture di Pirelli e membro del Cda di Fondazione hB c he, seguendo le indicazioni di Marco Tronchetti Provera, presidente della Fondazione hangarBicocca (oltreché, ovviamente, di Pirelli), ha lavorato a questa «rivoluzione» con un piccolo ma agguerrito staff guidato dalla general manager Alessia Magistroni.

Vicente Todolí, che cosa l’ha indotta ad accettare la proposta di HB?
Era qualcosa che non avevo mai fatto, il che è per me una sfida stimolante: è in questi casi che do il meglio di me. In ognuno dei musei che ho diretto (Ivam di Valencia, Museu Serralves di Porto, Tate Modern di Londra, Ndr) disponevo di spazi «neutri» e di spazi della memoria. Nei primi facevo le mostre più classiche, nei secondi creavo mostre in dialogo con l’architettura. E disponevo di una collezione permanente. Qui non c’è collezione permanente e c’è solo lo spazio della memoria. Che mi ha affascinato: l’ho visitato più volte, tentando di capirlo. Penso che abbia grandi possibilità.

A patto che?
A patto che si dividesse la Navata, perché i «Sette Palazzi Celesti» di Kiefer hanno bisogno del loro spazio e così pure le mostre, e che si razionalizzassero gli spazi, dedicando la Navata e il Cubo agli artisti affermati, lo Shed ai più giovani. Ho chiesto poi del tempo: una programmazione è un tutto, un cerchio che deve potersi chiudere. Inoltre ho capito che a Milano esisteva un vuoto che HB può concorrere a colmare, portando artisti non visti in Italia, in dialogo quindi con il mondo internazionale ma avendo il plus di lavorare con un curatore come Andrea Lissoni che conosce a fondo anche la situazione nazionale. E poiché le mostre si fanno per il mondo dell’arte e per il pubblico, ma anche un po’ per se stessi, confesso di aver pensato che qui avrei potuto fare le mostre che non ho visto e che avrei voluto vedere...

Dottor Calabrò, Pirelli investe quest’anno in HB 3 milioni di euro, una cifra altissima. Ma non sempre fondi e programmazione di rango sono sufficienti per rianimare un luogo culturale appannato e lontano come HB.
Qui la interrompo subito: lontano da dove? Dalla cerchia del centro? Certo. Ma quella non è che una parte di Milano, che è invece da sempre una città aperta, un luogo di intersezione di culture nazionali e internazionali, di intelligenze, di imprese (ciò che noi in Pirelli chiamiamo «cultura politecnica», cioè umanesimo, scienza, tecnologie, civiltà delle macchine, filosofie...). L’area Nord Milano dove c’è il quartier generale Pirelli, è un grande distretto culturale, con HB, l’Università, il Teatro degli Arcimboldi, la Fondazione Pirelli, la collezione d’arte della Deutsche Bank, il Mic e la Cineteca italiana; a Cinisello Balsamo c’è il Museo della Fotografia, a Sesto San Giovanni l’Isec-Istituto di studi dell’età contemporanea, incredibile giacimento di documenti e archivi. Insomma, un’area densissima di istituzioni e strutture culturali.

Tutto vero ma sul piano pratico qual è stata la vostra ricetta?
Abbiamo dato ad Hangar l’anima e l’identità di un luogo della cultura contemporanea. Qui in passato le iniziative d’arte contemporanea erano prive di programmazione organica e per giunta inframmezzate a eventi, feste, concerti casuali. Ora invece tutto è in relazione a un progetto basato su tre punti: un forte contenuto di ricerca e sperimentazione, una dimensione internazionale e il convincimento che l’arte contemporanea non sia un «gioco» per pochi eletti.
Del resto ci siamo ispirati alla tradizione di Pirelli, che da sempre promuove una cultura alta (penso per esempio alla «Rivista Pirelli», su cui hanno scritto Eco e Montale, Calvino, Argan, Quasimodo, Guttuso, Sinisgalli e molti altri), ma coinvolgendo il grande pubblico. Che va però anche seguito, formato, aiutato: noi abbiamo scelto di mettere a disposizione dei visitatori delle guide artistiche, tutti ragazzi laureati, molto ben preparati. I mediatori culturali sono a nostro avviso imprescindibili.

Come ripartite il vostro budget annuo?
Il 50 per cento va alla gestione dello spazio, al personale e alle molte attività (HB Kids, HB Lab, visite guidate, conferenze, rassegne di film e video, campus estivi per bambini, tour del quartiere con le nostre biciclette), che sono tutte gratuite, come l’ingresso alle mostre. Il resto va alla pianificazione artistica, alle mostre.

Vicente Todolí, lei ha aff ermato che non sarà mai più direttore di museo (qui infatti è artistic advisor). Perché?
Ho creato due musei da zero e ne ho diretto uno che già esisteva. Ho esaurito tutte le varianti di questo lavoro e io amo le novità. Inoltre alla Tate non potevo dedicare più del 20 per cento del mio tempo all’arte, mentre il resto era destinato alla gestione, al fundraising e così via. Io invece voglio poter dedicare il 95 per cento del mio tempo al rapporto con gli artisti, alla realizzazione di mostre: sono un curatore che ha dovuto comportarsi da direttore. Ora desidero fare ciò che mi piace davvero fare.

Dunque, chi si occupa della gestione, dottor Calabrò?
La gestione è di Pirelli: HangarBicocca ricade sotto la [giurisdizione della] Direzione Cultura [di cui Alessia Magistroni è il dirigente responsabile di «progetti e attività»]. HB ha un personale suo ma si avvale di competenze della Pirelli, abituate a operare con attenzione ai processi di efficienza ed efficacia. Rispettandone le specificità, la cultura va gestita con gli stessi criteri di un’azienda, utilizzando le risorse nel migliore dei modi possibili, in una strategia di servizio al pubblico. In Hangar, inoltre, ci siamo impegnati per un periodo lungo: il contratto con Todolí arriva al 2016. E i tempi lunghi sono quelli dell’industria, mentre è il tempo della finanza a essere frenetico e speculativo. Hangar è per noi un investimento sul presente e sul futuro di Milano.
In Pirelli del resto si è fatto da qualche tempo un salto logico, per cui da «impresa e cultura» si è passati a «impresa è cultura». È la cultura infatti a dare all’impresa uno sguardo sulla realtà spiazzante, «eretico» direi, e dunque in grado di garantire competitività in un mondo che cambia e va rapidamente capito. Per una multinazionale come Pirelli, l’innovazione è essenziale e l’arte contemporanea aiuta a tenere il passo. Insomma, ci piace giocare ad «aprire mondi».

Un’ultima domanda a Vicente Todolí: crede che Milano oggi abbia i numeri per tornare a essere una capitale dell’arte contemporanea?
Quella fiamma non si è mai spenta: l’hanno tenuta viva le gallerie. Io per anni sono andato a Torino a vistare le mostre, a Milano a visitare le gallerie. E anche HB potrà concorrere a tenerla accesa, perché le fondazioni hanno i mezzi e la libertà per fare ciò che i musei, per scarsa autonomia e carenza di fondi, spesso non possono fare.

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da Il Giornale dell'Arte numero 333, luglio 2013