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Memorie dal fronte alla Nomas Foundation

  • Pubblicato il: 06/01/2012 - 01:53
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Santa Nastro
Monica Haller

Roma. «Questa è una sala di lettura, dei libri ti aspettano: sono di un soldato, di un genitore, di un fratello, tutti ugualmente colpiti dalle guerre americane di questi anni».  Monica Haller invita così il pubblico ad accedere al suo progetto, realizzato con la curatela di Stefano Chiodi, presso la Nomas Foundation di Roma, che anche questa volta ospita un discorso nomade, con un’attenzione particolare ai concetti di memoria e di storia (come già era avvenuto per «Le teste in oggetto» di Rossella Biscotti). E’ intitolato «The Veterans Book Project» e significa, senza andare troppo lontano, ciò che il titolo dice. Il progetto, infatti, parla di guerra attraverso le vite dei veterani e approda alla fondazione romana dopo un complesso percorso internazionale e di ricerca. Monica nasce infatti a Minneapolis, studia e si laurea al college in Processi di Pace e Studi sui Conflitti, prende un master in Arti Visive nella città natale e comincia a viaggiare per il mondo con i suoi lavori che uniscono le due anime della sua formazione. «The Veterans Book Project» è il risultato di un discorso che viene compiuto attraverso workshops e prime timide pubblicazioni. Ma che ha un unico, emozionante obiettivo. Innescare il processo della memoria con una duplice azione. Da una parte, infatti, c’è il lavoro di archiviazione: lo spazio espositivo viene trasformato in una vera e propria biblioteca  (portando inoltre all’apice il progetto della «Reading Room» che solitamente la Nomas Foundation affianca ai propri percorsi espositivi) che raccoglie le testimonianze di tutti coloro che hanno partecipato ad una guerra americana recente. Non importa se attivamente, come soldato o ufficiale, o trasversalmente. Ci sono familiari dei soldati, ci dice la Haller, che sono vittime e protagonisti della guerra in ugual misura, i cui racconti hanno diritto alla dignità del ricordo e al rispetto della memoria. Sono narrazioni che si attivano con messaggi, foto, cartoline, testi, tutte tessere di un puzzle che deve essere ancora ricostruito dalla storia, ripulito dall’enfasi, dalla retorica, ma che adesso ha ancora bisogno di essere raccolto, messo insieme, archiviato e anche esperito in maniera emozionale. Perché è ancora possibile. Ci fa pensare al bianco e nero, il progetto della Nomas Foundation, a scatti stropicciati nel portafogli color seppia, a lettere sbrindellate ripiegate in otto per stare nella tasca. A qualcosa di lontano, nel tempo e nello spazio. Eppure il ritorno alla realtà è immediato, quando ci si accorge che la foto è pixelata, digitale e che probabilmente si scrivono solo e-mail. Che, in fondo, la realtà è qui. Oggi. Nel nostro presente. Allora Monica ci chiama in causa direttamente e ci dice: consultate questi libri e ditemi la vostra. Annotate sui post-it le vostre riflessioni, i vostri suggerimenti, le vostre idee. Sarà un modo ideale e nel contempo pratico, di continuare la ricerca. Passando al terzo livello, quello della fruizione e della trasmissione. Con l’invito a spargere la voce.

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