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Mapplethorpe classico contemporaneo

  • Pubblicato il: 02/12/2011 - 11:03
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Articolo a cura di: 
Ada Masoero
Robert Mapplethorpe

Milano. È una mostra da non perdere quella che Fondazione Forma inaugura il primo dicembre: per questa retrospettiva di Robert Mapplethorpe (aperta dal 2 dicembre fino al 9 aprile, catalogo Contrasto), realizzata in collaborazione con laFondazione a lui intitolata, istituita dall'artista nel 1988, poco prima di morire di Aids, l'istituzione milanese porta infatti in Italia 178 fotografie di questo maestro dell'obiettivo, capace di dar vita a un universo di forme insieme innovative e classiche: le sue immagini sono infatti più che contemporanee per la brutale provocatorietà (ma, diceva lui, «a me me non piace la parola “scioccante”. Io cerco l'inaspettato»)  insieme atemporali; sono del tutto figurative, dal momento che ritraggono corpi (quasi sempre nudi, quasi sempre maschili) e fiori ma insieme «astratte», per l'equilibrio perfetto, matematico, che le sorregge.
Nelle sue fotografie il corpo maschile è esplorato con esplicita curiosità, come mai era accaduto prima (neppure nelle immagini di Wilhelm von Gloeden) e la grande maggioranza dei giovani uomini che ritrae sono afroamericani, perché, spiega, «la pelle scura mette in risalto le forme, come il bronzo, e definisce la muscolatura in modo sensuale. A parte questo, si tratta di un'ossessione personale: in un certo senso gli uomini di pelle nera mi ossessionano da diversi anni». Anche quando la modella è una donna, per suscitare il suo interesse il suo corpo deve essere scolpito e modellato dalla ginnastica, come nella celebre serie dedicata alla campionessa di body-building Lisa Lyon, che seppe convertirlo per qualche tempo al nudo femminile: «lei, raccontava Mapplethorpe, mi rammentava i soggetti di Michelangelo, che faceva le donne muscolose. Le fotografie migliori di Lisa Lyon hanno qualcosa di cui prima non mi ero mai reso conto in modo cosciente». E se per i nudi (ma anche per gli inconfondibili ritratti: da Patti Smith a Susan Sarandon, da Isabella Rossellini Susan Sontag, aKeith Haring) è agevole leggere in filigrana la suggestione della statuaria classica o della pittura e del disegno rinascimentali, seppure filtrati dalla modernità del suo sguardo, non diversa è la sua disposizione d'animo quando si cimenta con i fiori: «Quando ho fatto delle mostre, spiegava, ho sempre cercato di mettere l'uno accanto all'altro un fiore, poi l'immagine di un pene, poi un ritratto, così che si potesse vedere che erano la stessa cosa». Palesava così la stessa preoccupazione di assoluta oggettività che negli stessi anni guidava Andy Warhol: di quella New York degli anni Settanta e Ottanta, pansessuale, anfetaminica, vibrante di creatività, Mapplethorpe, che era nato nel Queens nel 1946 e sarebbe scomparso nel 1989, diventò del resto uno dei testimoni più efficaci, presto riconosciuto dovunque come un maestro (già nel 1977 era alla VI documenta di Kassel). Per avere la sua prima retrospettiva negli Stati Uniti dovrà però attendere il 1988, quando il Whitney Museum gli renderà omaggio, a un solo anno dalla morte.

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dal Giornale dell'Arte, edizione online, 29 novembre 2011