Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Le sirene di Virginia Ryan sul mare di Polignano

  • Pubblicato il: 11/04/2014 - 13:39
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI CIVILI
Articolo a cura di: 
Ilaria Oliva

Polignano a Mare (BA). L’avevamo lasciata nel 2007 dopo aver esposto al Castello di Acaya le federe dei cuscini ricamate da donne del posto per l’installazione «In transitu» della mostra Intramoenia Extra Art; la ritroviamo ancora in Puglia, Virginia Ryan, un’altra volta alle prese con le donne, uno dei suoi temi preferiti, e con i miti della memoria collettiva, per la personale dal titolo «Fluid Tales», a cura di Rosalba Branà e Lia De Venere, che inaugura il prossimo 12 aprile al Museo Pino Pascali.
Questa volta è il mito delle sirene, così com’è percepito in alcune comunità africane del Ghana e della Costa D’Avorio, ad ispirare il suo lavoro: sono le delle Mami Wata (dall’inglese Mammy Water), metafore dei pericoli della navigazione, ma anche simboli dell’archetipo del femminile e simili per molti aspetti alle sirene, creature ibride che si incontrano spesso nelle mitologie occidentali, capaci di ammaliare con il loro canto melodioso e di portare alla perdizione gli umani, ad essere esposte nell’installazione Surfacing sotto forma di grandi code di capelli neri. Accanto ad esse saranno esposti alcuni disegni raffiguranti delle sirene che Frédéric Bruly Brouabré, il più importante artista ivoriano, recentemente scomparso, ha voluto realizzare per la Ryan nel 2010.
E sono anche le donne immortalate nelle duemila immagini recuperate in giro per gli studi fotografici di Gran Bassam, la vecchia capitale coloniale della Costa d’Avorio, oggi patrimonio dell’UNESCO, a creare la grande installazione «I love you»: frammenti di vita femminile e rituali comuni.
L’artista, australiana di nascita, ha vissuto a lungo in altri continenti e da diversi anni lavora in Africa. In particolare, durante la permanenza in Ghana e Costa d’Avorio, ha realizzato delle installazioni attraverso le quali la cultura e la spiritualità delle popolazioni indigene vengono rilette con modalità rispettose della loro sensibilità e al tempo stesso innervate da tensioni legate al vivere contemporaneo. Il suo lavoro di ricerca è incentrato sui temi delle migrazioni, della memoria, della perdita e della trasformazione. L’artista, che predilige i materiali locali e interagisce spesso con le associazioni e le comunità artistiche appartenenti ai luoghi in cui opera, attraverso il ricorso a un linguaggio visivo di evidente matrice occidentale e l’impiego di oggetti di uso comune mira a porre in luce la realtà e il dinamismo dell’Africa occidentale di oggi.
C’è tempo fino all’8 giugno per visitarla.

© Riproduzione riservata