Le nuove sfide della filantropia
Milano. Tra i tagli lineari della spending review che ha cambiato il profilo welfaristico dell’intervento pubblico nella cultura, in molti paesi europei oggi spicca la luce di una rinvigorita attività filantropica. Secondo l’esperta Elisa Bortoluzzi Dubach stiamo assistendo a un vero e proprio «rilancio della filantropia» per far fronte alle emergenze sociali e anche per la cultura c’è grande spazio di manovra e innovazione, a condizione che gli Stati accolgano la sfida, vengano snellite le normative e si sviluppino visioni concertate e pragmatiche di rilancio di istituzioni e territori.
Quali sono le motivazioni principali di questo «rinascimento» della filantropia?
Da un lato è diffusa la sensazione che i governi manchino di dinamismo, ma soprattutto di proposte chiare, condivise con i cittadini per rispondere alle domandi urgenti della società. Più forte è la crisi, più aumentano i rischi per la cultura, più crescono i timori e la volontà di impegnarsi dei mecenati. Dall’altro cambia la figura del filantropo, che oggi agisce sempre meno su sollecitazioni di terzi e sempre di più come creatore di modelli replicabili per dare soluzioni ai problemi. La cultura in questo momento ha bisogno di valorizzazione e di una sostenibilità che non si ottiene esclusivamente con attività di fundraising mirate a finanziare singoli progetti, ma con il coinvolgimento del tessuto imprenditoriale e filantropico in visioni concertate e su obiettivi precisi e misurabili.
Il suo nuovo progetto di ricerca è dedicato alla filantropia femminile. Perché?
La filantropia femminile è studiata pochissimo e ho voluto compiere qualche passo per ridurre questa lacuna. E’ ritenuta essere un fenomeno recente, invece ha radici molto antiche: in Svizzera, per esempio, uno dei primi progetti filantropici è la creazione, nel 1354, di una fondazione ospedaliera, grazie ad Anna Seiler, destinata a tredici persone malate e bisognose di Berna. L’Insel-Spital e l’Anna-Seiler-Haus, che sono derivati da questa fondazione, sono tra i centri medici più all’avanguardia della Confederazione elvetica. Attualmente, con la crescita del numero di donne con responsabilità di rilievo alla testa di gruppi imprenditoriali e d’istituzioni culturali e sociali, anche il numero delle fondazioni istituite da filantrope in Europa è in continuo aumento. Le nuove mecenati non sono solo personalità forti, determinate e coraggiose ma, posso anche aggiungere, con un approccio critico e una grande volontà a confrontarsi per donare meglio, per innescare cambiamenti positivi e duraturi. Anche in Italia, dove ci sono donne che stanno realizzando progetti magnifici, dovrebbe essere istituito un tavolo di confronto libero e di cooperazione per disegnare insieme nuovi progetti comuni. I risultati nei Paesi in cui questa cosa è avvenuta sono molto buoni.
Oggi si pone molta attenzione alla cultura come linguaggio trasversale per aumentare il benessere sociale. Come si investe in questo senso?
La cultura è un linguaggio trasversale. Non solo. E’ uno dei linguaggi migliori per produrre integrazione, per esempio. Questo discorso è molto importante e apre grandi opportunità ancora non pienamente sfruttate. Pensiamo per esempio al coinvolgimento delle realtà straniere con sede in Italia, aprirsi al dialogo con realtà economiche estere interessate al patrimonio culturale del nostro Paese e procedere con la politica di passi semplici, ma molto ponderati e pragmatici, a coinvolgere quanti filantropi o imprenditori esteri coltivano un sincero entusiasmo per il nostro paese.
Se la filantropia aumenta, negli ultimi anni abbiamo registrato una caduta delle sponsorizzazioni culturali. Perché?
Se pensiamo alla realtà italiana, dai piccoli ai grandi centri, dovrebbero esserci figure istituzionali con la responsabilità di costruire tavoli di concertazione con imprenditori e operatori culturali per far fiorire la cultura locale perseguendo ciascuno il proprio ritorno. E’ impossibile pensare che la piccola imprenditoria, in un momento di crisi acuta come quello che stiamo ancora vivendo, possa considerare la cultura come una priorità. La cosa sarebbe di certo diversa se esistessero disegni integrati di sviluppo territoriale, piattaforme stabili di comunicazione tra gli attori locali, professionisti che definiscono obiettivi e guidano i progetti con competenza ed efficacia. In questo modo, anche i piccoli imprenditori sarebbero incentivati a sostenere progetti con una ricaduta positiva per la propria attività.
Che cosa dobbiamo rivedere nel rapporto impresa-cultura?
Sono da evitare le collaborazioni in cui le imprese generano prodotti culturali apparentemente molto smart, ma assolutamente effimeri perché non aiutano l’istituzione a rafforzarsi nella sua propria autonomia. Prima di tutto le operazioni di sponsorizzazione devono perseguire la sostenibilità: quanto più forte è l’istituzione culturale, tanto più l’impresa ha la possibilità di avere ritorni dal suo investimento. Innovazione significa per le istituzioni culturali anche ripensare i propri piani di finanziamento secondo una logica che, grazie agli investimenti privati, miri a una diversificazione dei servizi con un progressivo aumento delle entrate proprie. E le risorse finanziarie non bastano, la comunicazione in questo contesto è altrettanto importante. Pensiamo, ad esempio, all’utilizzo delle nuove tecnologie grazie al supporto di sponsor tecnici. Fra i tanti, mi viene in mente il progetto di «Google Art» e a come oggi sia possibile rendere i contenuti culturali molto più accessibili ai giovani. Ci sono altri ambiti in cui è importantissimo che imprese e istituzioni culturali lavorino insieme. Per esempio, nel recuperare il deficit sullo sfruttamento dei marchi della cultura. In generale, le istituzioni culturali hanno una grande opportunità, quella di leggersi e avere consapevolezza degli elementi differenzianti che legittimano la loro identità per definire una propria visione; di darsi una strategia per raggiungere il loro potenziale di sviluppo e pensare in modo più approfondito a quali possono essere gli obiettivi perseguibili dalla collaborazione con i privati.
Elisa Bortoluzzi Dubach, docente universitario e consulente di Relazioni Pubbliche, Sponsorizzazioni e Fondazioni, insegna in università ed istituzioni in Italia, Svizzera, Germania ed è stata capo progetto di campagne nazionali ed internazionali.
E’ autrice fra gli altri di «Lavorare con le fondazioni. Guida operativa» (Franco Angeli 2009) e co-autrice di «Sponsoring dalla A alla Z» (Skira 2009).
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