Le Fondazioni verso l’innovazione possibile tra cultura e sociale
Uno sguardo ai bandi emessi negli ultimi tre anni aiuta a focalizzare il tema dell’innovazione del sistema culturale in Italia. Attori coinvolti, interventi, e risposte del tessuto sociale. Le fondazioni sono sul campo della sperimentazione.
Come rinnovare?
Come spesso avviene, la soluzione è l’allargamento dello sguardo verso aree che reagiscono più rapidamente alla trasformazione. Le imprese e il Terzo settore, le Fondazioni di origine bancaria e d’impresa stanno sperimentando modelli per lo sviluppo, cercando nuove soluzioni a emergenti o vecchi problemi: la sostenibilità ambientale, la responsabilità sociale, il benessere collettivo e la crescita del capitale sociale. Si inseriscono in questa tendenza fenomeni in tumultuosa crescita come il “movimento” delle start up, e il dibattito sul social business, che in modi diversi fanno riferimento al mondo dell’innovazione sociale, che si si manifesta con approcci multi-stakeholder, che riconoscono il ruolo di tutti portatori di interesse, trasversali rispetto alle tradizionali filiere produttive e disciplinari, con il superamento della dicotomia pubblico-privato e profit-no profit. “C’è un’esigenza di ripensamento del sistema di welfare nel suo complesso, che può funzionare solo con nuovi ruoli per tutti gli attori e una forte partecipazione delle comunità”, spiega Cristina Chiavarino, Direttore Area Arte e Cultura di Fondazione Cariplo “una modalità di attivazione dal basso, bottom up, per leggere problemi e opportunità, e agire sulle risorse locali che è distintiva della nostra strategia”.
Cosa c’entra la cultura?
La Cultura sembra l’ingrediente perfetto per sperimentare in una logica di innovazione sociale. La nuova sostenibilità non può fondarsi “solo” sul rendere più imprenditoriale la gestione del patrimonio, ma soprattutto sul trovare nuovi modi e strumenti per connetterlo con il tessuto produttivo e sociale dei territori. Un passaggio per il quale le stesse istituzioni culturali non hanno ancora le competenze né la predisposizione. “Faticano ad aprirsi al cambiamento, anche se proprio chi fa cultura dovrebbe eccellere nello scambio di visioni.” consideraChiavarino.
Vecchi strumenti, nuove soluzioni
Il privato stimola l’innovazione. A partire dal 2011 sono stati oltre 30 i bandi promossi a livello nazionale da soggetti diversi i cui obiettivi, pur nelle singole specificità, sono accomunati dal voler cambiare le regole del gioco a supporto del mondo culturale in sofferenza e delle nuove generazioni martoriate dalla disoccupazione.
Le Fondazioni di origine bancaria e d’impresa, sono i precursori con i maggiori capitali in campo su progetti che integrano la Cultura nelle strategie di sviluppo economico e sociale.
‘Presi collettivamente, questi bandi sono una ventata di ottimismo e di allargamento delle possibilità’, afferma Paola Dubini, direttore del centro ASK Bocconi che ha studiato il fenomeno che si è esteso ad altri promotori (vedi tabella in allegato).
Il primo passo risale al 2011. Quasi in sordina, Fondazione Telecom avvia il bando Beni Invisibili, oggi alla seconda edizione, che premia progetti innovativi di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale (sette progetti per oltre 2,6 milioni di euro nella prima edizione). Altre Fondazioni di impresa seguono la strada. Nel 2013 Fondazione Unipolis promuove la costituzione di nuove imprese cooperative con finalità di carattere sociale nei settori culturale e creativo con il bando Culturability (per 300.000 euro) e Fondazione Italiana Accenture, con il bando ARS, assegnafino a 1 milione di euro ad un unico progetto culturale capace di creare occupazione e scalare il mercato. Sfondano così un altro steccato: la cultura genera occupazione. Ma ancora: la cultura è impresa. Un cambio di attitudine che trova riflessi nei bandi promossi da altri soggetti come il Progetto Marzotto, alla terza edizione del Premio per una nuova impresa sociale e culturale che sostiene, con 100.000 euro e consulenza tecnica, progetti imprenditoriali con ricadute positive negli ambiti sociali e culturali.
Un taglio ancora più orientato all’innovazione sociale a base culturale è il bando CheFare- alla seconda edizione- promosso dall’Associazione Doppiozero, che premia con 100.000 euro un progetto capace diattività, servizi o prodotti di natura culturale, esplicitamente orientati a generare impatti sociali.
E le fondazioni di origine bancaria?
Segnano la strada. L’esperienza maturata da Fondazione Cariplo è un riferimento: per prima si è mossa in modo progressivo e incrementale, con un approccio sperimentale – e per ciò stesso coraggioso - in un ambito storicamente conservativo come la Cultura. “Il bisogno di cambiamento è stato il nostro motore”, racconta Chiavarino. Nel 2008 Fondazione Cariplo parte con il “Bando per valorizzare la creatività giovanile in campo artistico e culturale”, portando all’attenzione strategica il tema dell'innovazione e della creatività. Per le diverse edizioni (2008-2011) sono stati erogati complessivamente 6.221.800 di euro a 98 beneficiari. Tra gli effetti più evidenti: “le adesioni hanno mostrato un sottobosco d’iniziative di qualità che non avevano visibilità”, sottolinea Chiavarino.
Nel 2009 avviene la seconda rottura degli schemi: “con i Distretti Culturali Fondazione Cariplo ha dimostrato che la cultura può ridisegnare il territorio, pensare prospettive e ispirare nuove visioni.” Un impegno di quasi 20 milioni di euro in un percorso di sviluppo territoriale che vede la Fondazione cambiare pelle: da erogatoreaproduttore di progetti, nello spirito della venture philantrophy, con un processo di accompagnamento in tutti i passaggi del progetto attraverso una figura ad hoc, il Referente Operativo. (Cfr RA Fondazioni 2012).
Grazie a questa esperienza, ancora in corso, “abbiamo capito che le soluzioni migliori, le sole possibili a volte, vengono da un approccio multidisciplinare. Non è più pensabile affrontare lo sviluppo del territorio secondo competenze specifiche, in modo settoriale e frammentato – afferma Alessandro Rubini, project manager Area Cultura di Fondazione Cariplo e responsabile del progetto - I problemi oggi sono multidimensionali e vanno affrontati in maniera integrata.”
Da questa prospettiva Acri attiva un’azione di sistema con 10 FOB che supera i confini territoriali, con Cariplo come capofila, con fUNDER35 (oggi alla seconda edizione) per sostenere le imprese culturali giovanali, con denaro, ma soprattutto accompagnamento e orientamento mirato, puntando alle competenze manageriali e organizzative.
Una nuova cifra di intervento che sta diventando metodo per i diversi bandi lanciati nel Paese.
Freschi altri due bandi Cariplo. Il primo IC-Innovazione culturale, che sostiene l'avvio di progetto d'impresa culturale con requisiti di sostenibilità, scalabilità, replicabilità e utilità. Una presa di posizione: l’innovazione si produce al di fuori del settore culturale, ma va innestata in quest’ultimo.
Due elementi inediti: i destinatari possono essere singoli individui e l’esito della loro “buona idea per la cultura” può essere for profit. Una scelta che contribuisce al superamento del rapporto tra profit e no profit, dando peso all’impatto sociale (e culturale) generato, piuttosto che alla natura giuridica di chi lo realizza: la cultura entra nel dibattito sull’impresa sociale.
Il secondo bando, IPO solidale, in partnership con Borsa Italiana e London Stock Exchange Group Foundation, rappresenta una moderna forma di filantropia, permettendo a nuove società quotate in borsa di destinare parte degli utili a enti non profit selezionati dalle due fondazioni.
Una mappatura di energie
“L’allargamento dell’offerta di bandi e la varietà dei proponenti presenta una diversità dei destinatari dei contributi, dei modi di comunicazione e di selezione, con contaminazioni stimolanti, che hanno senz’altro contribuito ad associare la cultura a nuovi modi di creare valore”, afferma Paola Dubini.
Il salto di qualità sta anche nel livello di commitment dei promotori. Dietro a ogni bando c’è un’enorme quantità di lavoro: “almeno 15 persone per 6 mesi variamente organizzate in gruppi, comitati, giurie, spesso multidisciplinari, mobilitati con intensità variabili.” Uno sforzo importante che va ben al di là del tradizionale grantmaking. Prosegue Dubini “è presto per dire se il processo di selezione sia efficace e se i progetti vincitori siano modelli paradigmatici del nuovo modo di fare impresa nella cultura, declinando finalità non economiche con modelli di business sostenibili e partecipativi”.
Quello che serve ora è passare dalle esperienze puntiformi ad azioni di sistema. Capire chi fa innovazione, dove la fa e dove aprire varchi e spazi di collaborazione, perché il settore pubblico – in assenza del quale i conti non possono tornare -innova con fatica e “la numerosità di vincoli legislativi e culturali non facilita lo sforzo necessario di integrazione di queste iniziative dal basso con quelle esistenti e consolidate delle istituzioni culturali” ricorda Dubini.
Cosa abbiamo imparato?
Innanzitutto in Italia esiste un movimento di idee (e di pratiche) che integra la cultura nelle filiere economiche. La cultura stessa va aiutata a pensarsi in modo sostenibile, coniugando approcci imprenditoriali e valori sociali. Diversi modelli dimostrano la consapevolezza che sostenere la cultura significa intervenire sulle politiche di sviluppo, uscire dai confini tradizionali (che limitano la cultura al patrimonio, l’intervento al restauro, i beneficiari al no profit).
Questi bandi rappresentano un fatto culturale in sé. Riflettono il cambiamento di paradigma della nuova centralità dei destinatari: la risposta massiccia (oltre 4000 i progetti presentati) rispecchia infatti anche il cambiamento sociale che vede oggi nella partecipazione attiva una risposta al bisogno di rappresentanza degli individui e dei gruppi. I bandi introducono poi approcci manageriali sconosciuti alla cultura. Svelano e valorizzano l’integrazione dell’elemento intellettuale con i settori produttivi e la società civile. Mettono in relazione virtuosa cultura/mercato, demolendo l’antitesi. Sfondando gli steccati tra pubblico e privato, si inseriscono nel grande ciclo di innovazione, e nel dibatto vivissimo che sta coinvolgendo le imprese sociali e il terzo settore in generale nel nostro Paese, stimolando il ripensamento anche per le Fob, così come per tutto il sistema del welfare e i sistemi di erogazione.
Infine, rappresentano un grande momento di apprendimento collettivo per chi partecipa così come per chi bandisce. Un’opportunità importante per leggere i contesti territoriali e individuarne le risorse, fare i conti con la complessità delle loro dinamiche.
Rispetto alle politiche culturali mainstream, si tratta ancora di esperienze marginali: operano e insistono ai margini delle grandi istituzioni culturali, premiando spesso realtà piccole e giovani che nascono fuori della tradizionale filiera e che lavorano soprattutto su patrimoni immateriali privi di forte rappresentanza (la lettura, le tradizioni orali, il cinema, ecc).
Sono ai margini dei grandi budget: nonostante l’impegno di spesa importante (10 mln di euro negli ultimi tre anni), non rappresentano che una piccola parte dei fondi investiti in cultura. Nonostante esperienze di valore all’attivo, l’innovazione sociale nella Cultura è una storia ancora da scrivere. E’ comunque la strategia che sta mettendo in campo la Comunità Europea per il nuovo ciclo di programmazione 2014-2020. Non si può rimanere immobili.
Ricerca in collaborazione con il CENTRO ASK BOCCONI
dal XIII Rapporto Annuale Fondazioni, Il Giornale dell'Arte, n.338, gennaio 2014