La rivoluzione rosa
Dalla rubrica “President’s Picks”, ogni lunedì su La Rebubblica Torino, riportiamo l'opinione di Patrizia Asproni, presidente della Fondazione Torino Musei
L’uomo più potente del pianeta. Anzi no, la donna. Per qualcuno è quasi un inciampo lessicale quello in cui ci si imbatte prefigurando il prossimo probabile successo di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali americane.
Glass ceiling cracker, si autodefinisce lei su Twitter. Una definizione che non trova una traduzione efficace in italiano ma che ha a che vedere con la frantumazione di quel soffitto di cristallo che impedisce il superamento delle discriminazioni. E, nello specifico, si oppone alla piena realizzazione delle pari opportunità nel mondo.
L’agguerrita campagna elettorale di Hillary Clinton ha riportato di prepotenza in cima al dibattito la questione femminile che storicamente attraversa fasi alterne nell’agenda mondiale, mentre di qua dall’oceano il potere rosa si consolida e avanza (leggasi Merkel e, ora, May).
Intanto acquisiscono forza e sostanza, grazie a numerosi studi specifici, le argomentazioni sull’impatto che la riduzione del gender gap, ma anche l’innalzamento del livello di istruzione delle donne e la promozione di politiche di vera conciliazione hanno sul PIL degli Stati, il loro andamento demografico e benessere sociale. A fronte di una crisi globale che appare ben lontana dal risolversi, la realizzazione della parità di genere è una risorsa dagli effetti economici potenzialmente rivoluzionari. “Un’ovvietà economica” la definisce la DG del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde.
Eppure anche le donne al vertice delle maggiori aziende europee sono ancora un'esigua minoranza. Il rapporto pubblicato in questi giorni dal Financial Times indica che il numero delle donne con l'incarico di amministratore delegato nelle 350 più grandi società europee quotate in Borsa pur essendo raddoppiato negli ultimi 7 anni, rappresenta soltanto il 4 per cento del totale.. Dalle nostre parti le donne continuano ad occupare un numero ancora limitato di posizioni di potere politico, con un terzo delle ministre, il 31% degli eletti alla Camera e circa il 27% dei membri del Senato.
Tiepidi avanzamenti, spesso accompagnati, dentro e fuori dal Parlamento, da forme di paternalismo e condiscendenza: come se per le donne al potere fosse in corso, ma non del tutto compiuta, una sorta di naturalizzazione, continuamente minacciata da un’antistorica propensione culturale alla rassicurante continuità della supremazia maschile.
Nel frattempo, per fortuna, le cose accadono. Torino vanta già la sua terza sindaca, che proprio nei giorni scorsi ha discusso di parità e leadership femminile con la responsabile della campagna elettorale di Hillary Clinton Jessica Grounds, insieme ad altre donne del mondo della cultura, dell’università e dell’impresa.
Da tre anni a questa parte le istituzioni culturali cittadine, e – per definizione - Palazzo Madama in particolare, impegnano la loro programmazione culturale in una serie di iniziative raccolte sotto il marchio ormai noto di #GoPink e dedicate alla scoperta e al racconto della vita e del lavoro di artiste, intellettuali, donne di cultura e di scienza che hanno lasciato il segno, nel passato e nel presente.
È il caso, per esempio, delle fotoreporter di guerra le cui opere saranno esposte a Palazzo Madama dal prossimo 7 ottobre o della matematica inglese Ada Lovelace, cui si deve l’invenzione del primo computer e alla quale sarà dedicato un talk della serie Museum Vision.
Storie che raccontano che la rivoluzione (rosa) è possibile. Vogliamo noi la rivoluzione?