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La riforma dei Musei statali italiani, un’opportunità per l’intero sistema museale nazionale

  • Pubblicato il: 15/09/2015 - 12:45
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Mattia Agnetti

SPECIALE MUSEI. Per Mattia Agnetti, Segretario Organizzativo della Fondazione Musei Civici di Venezia «I diversi provvedimenti normativi introdotti nel corso del 2014 sembrano tutti essere ispirati alle Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea del 20.05.2014 sul patrimonio culturale come risorsa strategica per un’Europa sostenibile. L’Unione europea, in sostanza, riconosce il patrimonio culturale quale propulsore positivo per la crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) europeo. La riforma introdotta non riguarda solo i musei statali ma offre un'occasione di crescita organizzativa e nuove potenzialità di valorizzazione a tutto il sistema museale italiano»
 

 
 
 
 
 
 
Il decreto ministeriale del 23.12.2014, qui chiamato “decreto musei” è intervenuto sull’organizzazione ed il funzionamento dei musei statali, dando concrete disposizioni nel quadro delle linee dettate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n°171 del 29.08.2014, qui di seguito “dpcm”, che disciplina l’organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact).
 
L’intervento normativo si inserisce nella più ampia azione avviata nei mesi precedenti dal Governo italiano con il Decreto ARTBONUS[1]che rappresenta un'innovazione nell’ambito della cultura e del turismo e introduce strumenti concreti ed operativi per sostenere il patrimonio culturale e rilanciare il settore turistico.
 
I vari provvedimenti introdotti[2] nel corso del 2014 sembrano tutti essere ispirati alle Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea del 20.05.2014 sul patrimonio culturale come risorsa strategica per un’Europa sostenibile. L’Unione europea, in sostanza, riconosce il patrimonio culturale quale propulsore positivo per la crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) europeo.
 
Ritornando al decreto musei, è interessante notare come lo stesso definisca elementi organizzativi e di governance che ricordano, per certi versi, le più apprezzabili realtà  internazionali, laddove l’autonomia e l’indipendenza nella gestione di una macchina complessa conferisce autorevolezza al management e al tempo stesso ne permette una netta valutazione delle performance.
 
E’ su questa linea quindi che il decreto musei ribadisce per ogni singola realtà museale statale la priorità dell’adozione di uno statuto, la predisposizione di un bilancio[3], un sistema minimo di organizzazione con l’individuazione delle aree funzionali. Per gli istituti dotati di autonomia speciale[4] definisce all’art. 9 gli organi (Direttore, Consiglio di Amministrazione, Comitato Scientifico, Collegio dei revisori dei conti), le loro funzioni e competenze.
 
Autonomia e indipendenza quindi, per poter governare al meglio le più importanti risorse culturali del paese, per metterle al passo con i tempi, per dar loro oltre agli strumenti di tutela e conservazione, già all’avanguardia in Europa, anche quelli utili a promuoverne e valorizzarne le collezioni e le attività scientifico-culturali al fine di ampliare l’offerta culturale, coinvolgere il maggior pubblico possibile e, non da ultimo, ricercare nuove risorse economiche aggiuntive.
 
Sin qui il decreto musei ha dato priorità agli istituti statali, ha fornito strumenti utili ai principali centri museali, tra i luoghi ad oggi più visitati ed apprezzati del paese. E’ tuttavia con l’art. 5 (Forme di gestione) che sembra emergere una vera opportunità per il sistema museale italiano, inteso nel senso più ampio del termine che include tutte le realtà pubbliche regionali e locali oltre che di soggetti privati. L’articolo 5 richiamando in particolare l’art. 112 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e l’art. 20, comma 2, del dpcm, ribadisce di fatto il criterio strategico e innovatore che può emergere dal favorire forme di partenariato pubblico/pubblico e di partenariato pubblico/privato.
 
Va persino oltre nel ribadire quali possono essere gli strumenti giuridici adeguati per guidare questo processo riferendosi alla “costituzione di consorzi e/o fondazioni museali con la partecipazione di soggetti pubblici e privati”. Vorrei qui soffermarmi sull’istituto giuridico della fondazione ed in particolare la fondazione di partecipazione.
 
Nel corso degli anni 2000 sono state costituite in Italia numerose fondazioni aventi per finalità la gestione e la valorizzazione di patrimoni museali pubblici. Questo è avvenuto a livello nazionale su iniziativa del Mibact, con i noti casi della  Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino nel 2004 e della Fondazione MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo nel 2009.
 
Il fenomeno tuttavia ha trovato terreno fertile soprattutto su scala regionale e locale. Preme ricordare come ben 1.909 istituti museali, pari al 65,3% di quelli a titolarità pubblica, dipendono dai Comuni[5]. In numerosi casi gli enti territoriali hanno optato per una forma di gestione esterna all’amministrazione pubblica ma pur sempre soggetta alle indicazioni programmatiche e al controllo della stessa.
 
Sono nate ad esempio fondazioni su iniziativa del Comune di Torino, del Comune di Venezia, del Comune di Brescia per le gestione e valorizzazione delle collezioni civiche, del Comune di Genova e della Regione Liguria con Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova, della Regione Campania per la gestione del MADRE con la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, e così similmente in diverse altre regioni.
 
A seconda del contesto territoriale, degli obiettivi da perseguire e/o della tipicità delle collezioni da gestire e promuovere, i soci fondatori sono solo pubblici oppure sin dall’inizio viene previsto il coinvolgimento di soggetti privati, di istituti o di fondazioni di origine bancaria.
 
La fondazione di partecipazione è un istituto giuridico di diritto privato che costituisce un modello di gestione di iniziative nel campo culturale e non profit in genere. Si caratterizza per la sua elasticità e duttilità nell’adattarsi alle specifiche situazioni. E’ un istituto senza scopo di lucro, al quale si può aderire apportando denaro, beni materiali o immateriali, professionalità o servizi. I soggetti fondatori della fondazione, gestori della medesima, non si attendono contropartite proporzionali alle risorse erogate, come accade nella S.p.A. mista; le attività operative infatti non si misurano in termini di profitto economico o di finalità anticoncorrenziali, pur dovendosi adottare economicità ed efficacia di gestione[6].
 
Il patrimonio della fondazione è indivisibile (non essendo suddiviso in azioni) e comporta divieto di trasferimento, riscatto e distribuzione. Il patrimonio, insieme alla stesura dello statuto, rappresenta un elemento cruciale per la riuscita delle operazioni da gestire e per garantire nel medio lungo periodo un adeguato quadro di sostenibilità economica ed efficienza. Vorrei soffermarmi su questi due elementi per evidenziarne alcune peculiarità.
 
Il patrimonio della fondazione è costituito dal Fondo di dotazione (patrimonio non spendibile), composto dai conferimenti iniziali e dai beni successivamente ad esso destinati ad incremento e dal Fondo di gestione (patrimonio spendibile), destinato alla gestione corrente dell’ente e composto dagli avanzi di gestione, dai contributi ricevuti non specificamente vincolati, dalle rendite patrimoniali e dai ricavi delle attività istituzionali.
 
L’opportunità data dall’istituto della fondazione deve essere utilizzata solamente nella misura in cui il soggetto promotore, in primis l’ente pubblico, intenda avviare un’iniziativa che possa tendere ad una propria autonomia economico finanziaria nel medio lungo termine. La scelta di cosa conferire quale Fondo iniziale di dotazione è a questo punto tanto rilevante quanto l’analisi da condurre per la predisposizione di un business plan sostenibile basato su redditi da attività istituzionali, commerciali o finanziarie (de facto il Fondo di gestione) nonché sull’ambiente e territorio in cui il soggetto opererà.
 
Senza voler richiamare il sistema degli Endowment Funds[7] che sono alla base di molte realtà museali americani (The Barnes Foundation, The Philathelphia Museum of Art, The Getty Foundation, ecc..) e che da soli garantiscono l’operatività dei Musei, un appropriato Fondo di dotazione potrebbe offrire al management, responsabile della gestione della macchina museale, un concreto strumento su cui programmare l’attività. Il management sarà poi chiamato a rispondere della gestione del Fondo e della sua valorizzazione in termini di additional revenue. Poco serve costituire un soggetto autonomo ad hoc per gestire un patrimonio culturale importante e complesso, come spesso è quello dei musei italiani, se nelle riflessioni iniziali non esiste nel socio fondatore la volontà di dotarlo di una disponibilità economico patrimoniale adeguata a perseguire l’intrapresa.
 
Il secondo elemento rilevante per una fondazione di partecipazione è la predisposizione del suo statuto. Lo stesso decreto musei lo prevede subito all’art. 2, dopo aver dato la definizione di museo. Lo statuto infatti definisce il sistema organizzativo e di gestione che è fondamentale in fase di costituzione per regolare la vita del nuovo soggetto giuridico successivamente. Nello statuto si definiscono i parametri per un controllo terzo e la relazione con i soggetti fondatori.
 
Ora, senza entrare nel dettaglio di cosa debba essere parte integrante di uno statuto, è indispensabile sottolineare come lo stesso risulti potenzialmente più efficace nella misura in cui  preveda che oltre ai soci fondatori iniziali possano successivamente aggiungersi nuovi soggetti terzi, pubblici o privati. Lo statuto, spesso concepito come uno strumento statico e complicato da modificare, dovrebbe invece avere in se stesso un’opzione di flessibilità. Deve offrire alla fondazione la possibilità di adattarsi alle condizioni ambientali che negli anni possono mutare e quindi anche poter aggiungere o persino sostituire soci fondatori.
 
D’altronde la fondazione di partecipazione garantisce una continuità sotto il profilo gestionale. Essendo ente autonomo, ma non svincolato dai soggetti che lo costituiscono, vive di vita propria indipendentemente dagli eventi, che possono “colpire” i fondatori. E’ funzionale alla progettualità, alla durata ed alla efficienza operativa[8].
 
Sembra che la lettura disposta dei diversi decreti approvati nel corso del 2014, oltre a fornire gli strumenti ed individuare i processi per un’appropriata ed innovativa gestione del patrimonio museale statale, offra anche margine per incrementare forme virtuose di collaborazione tra diversi livelli istituzionali nella gestione del patrimonio, il cosi detto  partenariato pubblico/pubblico.
 
La possibilità di creare sistemi museali regionali e favorire la creazione di poli sul territorio[9] può persino essere accompagnata dall’istituzione di soggetti giuridici ad hoc, quali le fondazioni di partecipazione, che aggregano in rete diversi musei per aree tematiche o vicinanza geografica. Musei attualmente a gestione statale, regionale ma anche comunale.
 
Allo stesso tempo il partenariato pubblico/privato viene sollecitato quale motore di iniziative[10], tanto cruciali in un periodo di scarsità di risorse pubbliche. Il contributo privato alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio museale pubblico può avvenire applicando modelli organizzativi e di business. In numerosi casi la sua applicazione ha evidenziato buoni risultati tanto in termini economico finanziari quanto quale elemento aggregatore di soggetti pubblici, proprietari del patrimonio, e soggetti privati portatori di  competenze tecniche e risorse.
 
Questo approccio può essere veramente efficace e garantire in concreto un cambiamento nella gestione e valorizzazione degli immobili e delle collezioni. Si pensi alle economie di scala da introdurre sotto un’unica gestione che potrebbero meglio contribuire a sostenere siti museali minori che oggi faticano persino a rimanere aperti per mancanza di risorse e personale. Ancor meglio se nella rete entrano “campioni museali” di pubblico e incassi che godono di situazioni privilegiate per ubicazione (città molto turistiche), rilevanza e appeal delle collezioni sul grande pubblico, qualità dei servizi erogati.
 
Si pensi allo scambio di conoscenze e know how e alla massa critica scientifico- culturale di un sistema articolato a regia unica che più facilmente si potrebbe relazionare a livello nazionale, europeo ed internazionale con le maggiori realtà museali. Molti sono i pro che un sistema di rete museale permette di sfruttare. Esistono tuttavia anche diverse controindicazioni che una gestione museale complessa, quale quella tipicamente multiunit[11] porta con se. L’argomento merita da solo un approfondimento dedicato.
 
Ad ogni modo in linea con lo spirito della riforma rileva sottolineare a quale sfida sarebbero confrontati gli operatori e i manager museali chiamati a gestire queste reti. Come i nuovi Direttori dei musei dotati di autonomia speciale[12] inizieranno a breve il loro lavoro in un contesto generale più agevolato, allo stesso modo questi diverrebbero padroni delle proprie scelte con un’autonomia organizzativa e gestionale, pur dovendosi necessariamente e giustamente muovere nel quadro delle indicazioni e del controllo dei soci pubblici fondatori.
 
In ogni modo tutto questo già oggi esiste nel nostro paese. Ci sono esperienze locali e nazionali, prima citate, che dimostrano come un patrimonio culturale museale pubblico possa essere gestito e valorizzato con una logica aziendale e di maggiore responsabilizzazione degli attori del sistema. La grande differenza rispetto al mondo tipicamente business è la destinazione finale, l’obiettivo da perseguire, che non è quello di fare utili e dare dividendi ma solo ed esclusivamente quello di generare in modo virtuoso risorse da destinare al patrimonio da tutelare e conservare, da studiare e da far conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
 
Infine è bene ricordare come questo diverso approccio strumentale e funzionale alla gestione del patrimonio museale diffuso italiano non è necessariamente risolutivo per ogni realtà culturale del territorio. Quanto funziona in una città o in una regione, per uno o più musei può non trovare adattabilità altrove, dove condizioni ambientali, politiche, sociali ed economiche sono totalmente diverse. Rimane in ogni caso un valido e già sperimentato strumento giuridico a disposizione dei decision maker, oggi a mio parere ancor più attuale dato il nuovo contesto normativo.
 
 
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Mattia Agnetti è Segretario Organizzativo della Fondazione Musei Civici di Venezia.

 

[1] Decreto-Legge n. 83 del 31 maggio 2014, convertito con modificazioni dalla L. n. 106 del 29 luglio 2014.

[2] Va qui ricordato anche il Decreto n. 94 del 27 giugno 2014, "INGRESSO NEI MUSEI" – Regolamento concernente «Norme per l'istituzione del biglietto di ingresso ai monumenti, musei, gallerie, scavi di antichità, parchi e giardini monumentali dello Stato.

[3] Per i musei non dotati di autonomia speciale, il bilancio ha esclusiva natura di documento di programmazione e rendicontazione delle risorse e del loro utilizzo.

[4] Individuati ai sensi dell’Art. 30 del dpcm n°171 del 29.08.2014.

[5] Report ISTAT del 28.11.2013 su i Musei le aree archeologiche e i monumenti in Italia nel 2011.

[6] E. Bellezza – F. Florian, “Fondazioni di Partecipazione”, ed. La Tribuna, 2006.

[7] Una dotazione finanziaria è un conferimento in denaro o beni a una organizzazione no-profit per il sostegno delle sue attività. Di solito la dotazione è strutturata in modo che l'importo principale sia mantenuto intatto, mentre il reddito degli investimenti può essere utilizzato interamente, o una parte può essere accantonata ogni anno per consentire che il conferimento abbia un impatto maggiore sul lungo periodo se non fosse speso in una sola volta. Una dotazione può avvenire con particolari disposizioni riguardanti il suo utilizzo.

[8] E. Bellezza – F. Florian – idem.

[9] Art. 34.2,b) del dpcm.

[10] www.affariregionali.it/media/169645/epas_-studio-ppp_def090315.pdf.

[11] The Multiunit Enterprise, David A. Garvin and Lynne C. Levesque, Harvard Business Review, June 2008 Issue.

[12] www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_....