Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

La ricetta della nuova filantropia made in Italy: passione, ricerca e metodo

  • Pubblicato il: 15/10/2017 - 20:01
Rubrica: 
CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Francesca Panzarin

Il libro “Filantropie. Sfide e visioni delle famiglie imprenditoriali italiane” si propone di favorire un dibattito sulle caratteristiche e le prospettive della filantropia privata in Italia raccogliendo alcune storie di grandi famiglie imprenditoriali (Beretta, Bracco, Catella, Agnelli, Illy, Moratti, Sandretto Re Rebaudengo, Rovati, Zegna). Ne abbiamo parlato con il curatore Lorenzo Piovanello, fino allo scorso settembre UBS Director of Philanthropy Advisory & Sustainable Investing e oggi (grazie anche al libro) UBS Wealth Management Europe SE

 
A livello internazionale la filantropia sta affrontando oggi una fase di importanti cambiamenti, a partire dall’appello dei SDG (Sutainable Development Goals) dell’ONU rispetto a una “rivitalizzazione della partnership globale” che, per la prima volta, chiama esplicitamente in causa il mondo delle grande impresa come attore di sviluppo globale.
 
La filantropia è fucina di idee che deve influenzare il modo di fare business” sostiene Piovanello “La finanza etica non ha funzionato perché imponeva di rinunciare a qualcosa, mentre qui l’idea è fare finanza diversa per convenienza”.
 
 I numeri del fenomeno sono rilevanti: negli USA la filantropia vale 370 miliardi di dollari all’interno di un quadro completamente certificato. La Cina, con i suoi nuovi billionari, sta crescendo a ritmo veloce passando da 1,3 miliardi nel 2010 ai 4,6 miliardi di dollari nel 2016. In Italia non ci sono dati precisi ma si stima che pesi tra i 5 ai 10 miliardi di euro.
 
“Questo libro vuole essere il primo passo per avviare un confronto sulla filantropia privata in Italia mediante il coinvolgimento delle famiglie imprenditoriali che hanno esperienze concrete sul campo, cogliendo, dalle esperienze di ciascuno, una visione comune della filantropia made in Italy” sottolinea il manager di UBS, società che da 10 anni offre un servizio di philanthropy advisoring riunendo una community internazionale di filantropi e investitori sociali per creare rete e condividere esperienze e fallimenti.
 
Scoprendo le storie del libro si possono cogliere una serie interessante di definizioni della filantropia attuale, che vanno oltre il tradizione atteggiamento paternalistico della donazione verso un approccio che implica dialogo e coinvolgimento, obiettivi, strumenti e modelli.
“La filantropia, come parte della strategia di impatto di molta ricchezza privata - sottolinea Lorenzo Piovanello - può farsi sentire proprio per il suo valore culturale di advocacy, per ciò che rappresenta in termini di visione del mondo e di capacità di ricercare soluzioni innovare alle grandi sfide sociali e ambientali”.
 “La filantropia, più che come mera elargizione di denaro, andrebbe  considerata come una forma mentis, un’organizzazione diversa del pensiero e, perché no, della società e del lavoro” (Umberta Gnutti Beretta). “Parlare di filantropia oggi significa parlare di ricerca e sviluppo, di progresso, di sostenibilità” (Diana Bracco). “Fare filantropia non è certo come firmare un assegno: è lavorare e collaborare, con pazienza e tenacia. E professionalità” (Alida Forte Catella). “La filantropia del terzo millennio va intesa come uno stile diverso di leggere la nostra quotidianità, come un interesse vero, autentico, per l’altro e per la sua umanità” (Elisabetta Lattanzio Illy). “Mai come oggi filantropia significa possedere competenze, sperimentare nuove pratiche e saperle comunicare “(Patrizia Sandretto Re Rebaudengo).
 
Grazie al punto di vista internazionale raccolto dal team con cui UBS supporta i propri clienti negli USA, America Latina, Europa e Asia, nel libro il curatore identifica tre debolezza e strutturali e cinque grandi opportunità che la filantropia ha di fronte.
Tra i principali comportamenti da modificare ci sono l’adozione di un metodo (la passione deve accompagnarsi a razionalità e professionalità), la creazione di reti (la componente individuale, ineliminabile delle attività filantropiche, deve però aprirsi a scambi e collaborazioni, pena l’autoreferenzialità) e l’apertura all’innovazione (la filantropia deve trovare il coraggio delle origini, riprendere quel ruolo pioneristico).
Lo sviluppo della filantropia è possibile solo se diventerà strategica (quella il cui interesse principale è generare un impatto sociale e ambientale positivo e, auspicabilmente, misurabile), aperta alla collaborazione (appare prioritario guardare a nuove vie per rafforzare la collaborazione e promuovere un approccio sistemico degli interventi), propensa al rischio (sviluppando la capacità id finanziare idee e progetti non testati e ancora in una fase di sperimentazione che abbiamo però la potenzialità di individuare soluzioni realmente efficaci), disponibile allo scale-up delle best practice (individuando come replicare pratiche di successo attraverso forme i collaborazione allargata a governi, agenzie sovranazionali e filantropia privata) e attenta a nuovi modelli di sostenibilità (occorre ripensare in senso più dinamico e moderno il rapporto tra le attività imprenditoriali, la filantropia e la responsabilità sociale d’impresa, nonché attivare nuove e diverse forme di collaborazione tra profit e non profit e valorizzare il mercato emergente dell’imprenditoria sociale).
 
In Italia la filantropia ha una grande tradizione che da Mecenate passa attraverso il Rinascimento per arrivare alle prime imprese familiari di inizi Novecento, più vicine e sensibili ai bisogni delle comunità rispetto al capitalismo imprenditoriale di matrice anglosassone
Anche da noi il nuovo approccio filantropico strategico sta facendo i primi passi.
 “Non mancano esempi virtuosi e coraggiosi tentativi di innovare – sostiene nel suo contributo Umberta Gnutti Beretta - ma è inutile nascondere che molte fondazioni familiari sono ancora nelle mani di chi, per questioni anagrafiche e culturali, tende ancora a riproporre approcci ormai superati, anacronistici”.
E’ giusto guardare criticamente alla scarsa attitudine alla restituzione da parte dell’alta borghesia italiana – ribadisce anche Francesco Micheli - Il grande capitalismo familiare in Italia non ha lasciato sul terreno nessuna fondazione, istituzione, museo, università paragonabile in proporzione a quel che è avvenuto sul suolo americano. In parte anche a causa del diverso trattamento fiscale”.
La filantropia anglosassone (da Andrew Carnegie a Bill Gates, da Abby Aldrich Rockfeller a Getrude Vanderbilt Whitney) è un modello imprescindibile ma lontano dall’approccio europeo sia in termini di quantità che di livello d’innovazione.
Non dobbiamo avere un senso di dipendenza – sottolinea però Lorenzo Piovanello - In Italia oggi c’è una specificità in grado di raccontare una varietà di storie e valori altrettanto importanti e nuovi, al di là dei dati puramente quantitativi. Il valore della filantropia – e la sua identità distintiva nell’abito del settore non profit al quale appartiene - non sta infatti nelle sue dimensioni ma nel suo essere pensiero dietro alle azioni, nella sua capacità di integrare una visione strategica specifica con esperienze, saperi e competenze
 
Per dare voce alle best practice italiane, il curatore dedica il cuore del libro a storie di famiglie imprenditoriali che si sono distinte nella ricerca di strumenti filantropici innovativi e nel business sostenibile avviando progetti di filantropia nell’arte, nell’educazione, nella tutela dell’ambiante e del territorio.
Dietro a ogni storia c’è una fondazione, spesso d’impresa, creata nella maggior parte dei casi dalla seconda o terza generazione con l’obiettivo di portare avanti i valori e lo spirito imprenditoriale e filantropico dei fondatori: dall’impegno associazionistico di Fulvio Bracco per fare rete tra pubblico e privato, accademia e industria alla volontà di Riccardo Catella di reinterpretare la zona milanese di Porta Nuova attraverso un progetto immobiliare che integra costruire e abitare prendendosi cura dell’ambiente e delle esigenze della comunità; dall’impegno della Fondazione Agnelli per l’accellerazione dello sviluppo delle potenzialità dei giovani talenti per cambiare il mondo alla scelta di Ernesto Illy di rivoluzionare il business agendo sulla catena del valore connettendo chi produce e chi consuma; dalla focalizzazione della Fondazione Micheli per colmare il buco italiano nell’educazione musicale all’impresa sociale all’avanguardia della Comunità di San Patrignano, cofondata dalla famiglia Moratti, basata su trasparenza e verificabilità;  dal progetto della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di creare un centro di produzione d’arte come intermediatore tra artista e visitatore, collezionismo e sfera educativa al nuovo museo di arte etrusca che sta costruendo a Milano la Fondazione Rovati come esempio di contaminazione tra spirito imprenditoriale, cultura e coinvolgimento della comunità; fino alla visione ambientalista ante litteram di Ermenegildo Zegna che negli anni Trenta decise di rimboschire il verde delle sue montagne aprendo la strada Panoramica.
 
Ripercorrendo le storie del libro, un elemento che si riscontra più volte è l’attenzione verso il ruolo informativo ed educativo della comunicazione: nel moderno concetto di filantropia deve rientrare un’operazione costante di informazione, narrazione e storytelling.
 “La diffusione e la condivisione delle conoscenze oggi possono e devono trasformarsi in consumo responsabile e informato, tradotto in esperienza etica ed estetica. Infatti, perché il sapere passi davvero, perché non si effimero e transitorio ma possa generare un valore effettivo, deve essere anche raccontato” (E. Lattanzio Illy). “Soprattutto nel mondo anglosassone da tempo ci si è resi conto che, sia nel campo sociale sia in quello culturale, il racconto e la testimonianza della qualità della propria storia non sono più sufficienti. La comunicazione è vista anche e soprattutto come condivisione di un know-how destinato a innescare un circolo virtuoso” (G. Forlanelli Rovati).
 
Altro elemento evidente in più di una storia è l’avanzata della next gen: i millennials, per i quali fare la differenza nella società è parte del DNA, sono più attenti a come consumano e producono, hanno una propensione filantropica integrale.
 “I giovani esprimono una domanda nuova, a cui è l’imprenditore che deve rispondere, con prontezza e lungimiranza, mettendo in circolo una cultura fatta di valori, storie e tradizioni” (E. Lattanzio Illy).
 “Le nuove generazioni, con una mentalità più internazionale, forse più disincantata e pragmatica, sono pronte a raccogliere il testimone di quanto realizzato in passato per trasformarlo in qualcosa di nuovo, Hanno voglia di sperimentare, sono più abituate a gestire informazioni e a interpretare senza pregiudizi, a trasferire modelli e schemi, a imparare” (G. Forlanelli Rovati).
 
Altro fenomeno da sottolineare nel panorama filantropico è il crescente protagonismo delle donne: se per molto tempo il mecenatismo e la filantropia tradizionale sono stati l’unico terreno disponibile per l’espressione delle donne escluse dalla carriera nell’azienda di famiglia – come ricorda nel suo contributo Umberta Gnutti Beretta - secondo uno studio americano, nei prossimi 40 anni le donne riceveranno il 70% dei 41 miliardi di dollari del passaggio generazione, rappresentando nel 2025 il 60% dei miliardari USA.
 
La presenza di una filantropia attiva e partecipe può rappresentare un fattore fondamentale per la sostenibilità ambientale e sociale del pianeta – conclude nella postfazione Innocenzo Cipolletta, senior advisor UBS Limited Italy Branch  – Essa costituirà sempre più un vero settore di attività cui dedicare conoscenze e risorse intellettuali e finanziarie”.
 
© Riproduzione riservata
 
AAVV, Filantropie. Sfide e visioni delle famiglie imprenditoriali italiane, Laterza,  2017, 15 euro