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La pletora di «appelli» del mondo culturale (alle istituzioni sorde?!)

  • Pubblicato il: 24/05/2013 - 12:50
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Angelo Zaccone Teodosi

Qualche settimana fa, La Stampa titolava uno stimolante articolo di Mattia Feltri (che intervistava tra l’altro Giuseppe Roma, direttore generale del Censis):  «Snobbati gli intellettuali. Appelli ingenui e antiquati». Roma (Censis): «Mittenti e destinatari parlano lingue diverse» (vedi «La Stampa» del 12 marzo 2013): parafrasando un famoso Moretti, Roma esordiva con un… «no, l’appello no!».
L’articolo si riferiva ad un appello pubblicato sul quotidiano «la Repubblica», a firma di Remo Bodei, Roberta De Monticelli, Tomaso Montanari, Antonio Padoa-Schioppa, Salvatore Settis, Barbara Spinelli, rivolto a Beppe Grillo ed al suo Movimento 5 Stelle («dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo»), ma, più in generale proponeva una lettura critica dello strumento, della «forma-appello».
Qui ci soffermiamo su una sub-specie della forma-appello: gli appelli degli operatori del sistema culturale alle italiche «istituzioni», per sensibilizzarle (…) rispetto ad un auspicabile «buon governo» (gli infiniti deficit di strategia, organicità, programmazione, efficienza, trasparenza, ecc.), ma soprattutto rispetto alla riduzione del budget dedicato alla cultura. È quest’ultima dinamica (i «tagli») quella che comprensibilmente preoccupa di più, in tempi di crisi nera e di fame diffusa. Nelle more e subito dopo l’entrata in carica del Governo Letta, una pluralità di soggetti associativi del sistema culturale hanno ritenuto opportuno manifestare le proprie esigenze anzitutto al Ministro Massimo Bray.
Abbiamo cercato di ricostruire la sequenza temporale (in ordine cronologico decrescente):

- 3 maggio 2013: la «lettera aperta» ai ministri Bray (Mibac) e Zanonato (Mise) e a tutte le istituzioni da parte delle associazioni dell’audiovisivo: Anica, Apt, Anec, 100Autori, Ifc, Afic, Agpci, Ape, Fice, Acec, Doc.it, Sncci, Sngci, Apil, Anac, Art, Asifa; titolo «Più audiovisivo, più innovazione, più cultura: noi faremo la nostra parte»;
- 29 aprile 2013: gli auguri al neo Ministro da parte dell’Agis; titolo «Buon lavoro al Ministro Bray. Cultura torni ad essere strategica»;
- 29 aprile 2013: la «petizione online» rivolta al Ministro dei Beni e Attività Culturali da Indicinema:
-  24 aprile 2013: l’«appello urgente» promosso da Afic, Anac, 100Autori, Anec, Anica, Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil; Sncci, Sngci; titolo «Cinema: appello urgente al nuovo Ministro»
- 23 aprile 2013: l’«Appello per il patrimonio culturale rivolto alle Istituzioni e in particolare al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e al Ministro dei Beni Culturali di prossima nomina», da Ana, Anac, Anart, Apti, Arci, Art. 9, Articolo 21, Asc, AssTeatro, Assotecnici, Rete Cinema & Territorio, Cia, Consequenze Network, Federazione Cemat, Fed.It.Arts, Fidac, Iacs, Indicinema, La ragione del restauro, MoveM09, Nuova Consonanza, Pmi, Ritmo, Sai, Sncci, Tam Tam, Ufficio Sindacale Troupes Slc-Cgil…

Non siamo nemmeno sicuri che questa ricostruzione di «appelli» sia completa ed esaustiva. Abbiamo raccolto il testo dei vari appelli in questo documento: pubbliche perorazioni che, sommate a quelle degli ultimi anni, potrebbero andare a comporre un triste pamphlet, meritevole di una collazione tombale, nel cimitero della politica culturale nazionale.
Qui ci soffermiamo su uno degli appelli che ha provocato una qualche eco, quello del 3 maggio, intitolato «Più audiovisivo, più innovazione, più cultura: noi faremo la nostra parte», firmato, tra gli altri, dalla maggiore associazione imprenditoriale del cinema italiano (l’Anica) e dalla maggiore associazione autoriale (100autori).

L’appello è articolato in 8 punti:
(1.) rinnovare il tax credit ed estenderlo a tutte le opere audiovisive;
(2.) ripristinare il Fus ai livelli pre-crisi;
(3.) introdurre un prelievo di scopo integrale sulla filiera degli utilizzatori successivi alla sala che coinvolga anche gli operatori della rete (siti e provider, over-the-top e telecom);
(4.) varare una severa disciplina antitrust, verticale e orizzontale, per impedire ogni posizione dominante, anche sui territori;
(5.) varare una legge di riordino complessivo del sistema audiovisivo italiano che superi gli steccati tra cinema e tv, riconosca e disciplini le film commission, preveda una Dg audiovisivo;
(6.) favorire l’attrazione di produzioni internazionali e l’ingresso d’investitori privati; così come l’export e l’internazionalizzazione delle nostre imprese;
(7.) sostenere l’esercizio, combattendo con decisione la pirateria, salvaguardando e ampliando l’offerta delle sale di città;
(8.) inserire e articolare lo studio del cinema e del linguaggio audiovisivo nei programmi didattici delle scuole italiane a partire dalle prime classi della scuola dell’obbligo».
L’appello si conclude con alcune teorizzazioni di sistema: «Le imprese dell’audiovisivo, gli autori, le film commission, i festival, le sale cinematografiche sono produttori di reddito e di ricchezza culturale; contribuiscono a diffondere la nostra diversità culturale nel mondo e attraggono investimenti esteri in Italia. Un Paese competitivo non può rinunciare alla sua industria più avanzata in termini d’innovazione e creatività».
Crediamo che una simile dichiarazione di intenti sia condivisibile da qualsiasi cervello dotato di buon senso. In Francia, un simile appello susciterebbe reazioni ridicole, perché la totalità delle azioni richieste dagli italiani sono già in atto, in quel bel Paese, e da decenni.
Sulla carta, la sensibilità culturale del Ministro Bray è indiscutibile: ma l’intellettuale ed organizzatore culturale, nella novella veste di Ministro della Repubblica, saprà confermarla con comportamenti conseguenti?! Tutti ce lo auguriamo. Si spera che non si ammali di sordità istituzionale, patologia diffusa da molti anni nelle stanze del Collegio Romano.
Apprezzabile, in particolare, negli 8 «punti» dell’appello del 3 maggio, l’auspicio di superare gli «steccati» tra cinema e televisione, che, storicamente, in Italia, per troppi decenni, sono stati mondi «a parte», con il cinema che guardava alla tv con snobismo estetico. E si osservino, in particolare, i firmatari: da un lato, Anica ed Apt; dall’altro, Anac e 100autori. Quasi una svolta epocale, verrebbe da commentare!
Quel che stupisce è che i promotori abbiano ignorato completamente un elemento fondamentale di criticità: la promozione. Se il cinema televisivo arranca (così quasi tutti gli altri segmenti del sistema culturale, dalla danza ai videogame) è anche a causa dell’assenza di un «sistema informativo» adeguato. È sintomatico che il monopolio pluridecennale del vetusto Gigi Marzullo su Rai 1, che si vanta ancora di curare «l’unica trasmissione della tv italiana dedicata al cinema» (sic), sia stato infranto soltanto ad inizio 2012 da Antonello Sarno, che ha lanciato il rotocalco «Supercinema» su Canale 5 (ben curato nonostante il low budget): in entrambi i casi (ignobile il primo, dignitoso il secondo) si tratta di iniziative insufficienti ed inadeguate.
Se, in generale, l’offerta culturale italiana non incontra la domanda (che pure latente c’è), è anzitutto a causa della inadeguatezza della promozione, della comunicazione, del marketing, e soprattutto sul medium che resta, nel bene e nel male, dominante: la televisione.
Sul banco degli imputati, in primis il Ministero (le campagne per la promozione della lettura sono indegne di un Paese evoluto, per linguaggio, budget e piano-media) e la Rai (che sembra aver abdicato ad un ruolo di traino – almeno promozionale – della cultura nazionale).

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it)

Fonte: Tafter http://www.tafter.it