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La parola è un grande dominatore

  • Pubblicato il: 23/03/2012 - 02:16
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Santa Nastro

Roma. Punto uno: La mostra di Ivàn Navarro (un progetto di Antonio Arevàlo) presso la Fondazione Volume! (fino al 5 maggio nella Capitale), parla e parte dalla città in cui si svolge: Roma. Non della Roma di oggi, si intenda, così caotica e sede dei poteri forti nazionali, ma di un luogo dilaniato dalla guerra, dai bombardamenti, dall’occupazione nazista, dalle divisioni, nel 1943. Nel ricreare l’atmosfera, Navarro, immagina i cittadini scappare nei sotterranei, proteggersi in luoghi angusti e oscuri, percorrere cunicoli alla ricerca di protezione e di salvezza. E mentre l’oscurità cala, e il cuore si fa sempre più trepidante, e mentre siamo formiche nei pozzi che l’artista cileno costruisce, per calarci in pieno in una situazione che non ci è dato di aver vissuto, torna alla mente che non è necessario esperire una guerra per poterci riflettere sopra. E che non bisogna essere per forza italiani, per parlare della nostra storia. Navarro ed Arevàlo dixit. Il titolo della mostra, inoltre, Nacht und Nebel, richiama un terribile decreto di Adolf Hitler (1941): condanna a morte e «sparizione nella notte e nella nebbia» per chiunque avesse commesso atti contro il Reich. Da Wagner (cui l’espressione si ispira) ai campi di concentramento il passo è lunghissimo, ma chi veniva bollato da questa feroce sanzione sarebbe sparito per sempre (senza alcuna spiegazione) dall’affetto dei suoi cari e marchiatocon la scritta «NN» sui vestiti. E siamo tutti un pò NN quando sprofondiamo nei pozzi di Navarro. Punto due: la mostra è un percorso sul linguaggio. Non è un caso che all’interno di ciascun pozzo (sette per l’esattezza) contengono una parola, scritta con il neon. «Quando ho iniziato il progetto della costruzione di pozzi in mattoni (circa tre anni fa) – spiega l’artista - sono partito da riflessioni vicine alla filosofia di Wittgenstein. […] Questa istallazione esplora la semiotica di alcune parole, ma è un lavoro che mette in discussione il loro stesso segno linguistico. […] Penso che la realizzazione tipografica o il “disegno” che assume un testo o una parola può cambiare la parola stessa, o comunque intervenire sul suo significato. Mi interessa lavorare sulla contaminazione visiva della parola scritta e quindi sulla ripetizione infinita delle parole nel vuoto, attraverso lo specchio, è un riferimento poetico alla domanda costante e continuativa di significato e alla sua molteplicità legate alle diverse contingenze».
Sono al neon: ODIO, OCCHIO, ECCO, ECO, EX, BECCO ed ECCIDIO  le espressioni chiamate in causa, le quali – attraverso un gioco di luci e specchi, vengono duplicate all’infinito e costruiscono la profondità dei pozzi (un po’ quadrati, un po’ triangolari, un po’ circolari), che diventano così «senza fondo». Ti ci puoi perdere dentro, mentre ti chiedi perché l’artista abbia scelto proprio quelle – e non altre – parole. E poi ti viene in mente che non è tanto importante se ci sia una storia che le accomuna tutte (anche se forse esiste e soggiace nell’inconscio), ma che ognuna di loro rappresenta un microcosmo, capace di racchiudere il dolore e le emozioni del mondo. Perché, come diceva Gorgia nell’Encomio «la parola è un grande dominatore che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere; riesce infatti a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentar la pietà».

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