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La felice e coraggiosa avventura di diventare sé

  • Pubblicato il: 27/06/2014 - 09:38
Autore/i: 
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Cecilia Conti

Di quale struttura organizzativa intende dotarsi la città per la governance della candidatura e del proprio programma?
Vorrei, prima di rispondere alla domanda, fare una breve premessa che faccia capire il senso e il significato della candidatura di Cagliari e che spieghi anche il modello di governance adottato. Per noi la candidatura non è un progetto, ma un processo, che si innesta, costituendone in un certo senso una sintesi a livello superiore, su un percorso di sperimentazione, produzione e formazione che individua nella cultura, e quindi nella creatività e nell’innovazione dei saperi, un motore di sviluppo urbano, economico e sociale. Per tale motivo, e anche perché stiamo ragionando in termini di legacy per il territorio e per le comunità, di lascito reale e concreto di questo ambizioso progetto di programmazione su base culturale, abbiamo scelto in questa prima fase un modello di governance orizzontale, anzi circolare, basato sulla partecipazione e il coinvolgimento. Abbiamo deciso di puntare molto – sempre per l'idea di lascito – sulle risorse interne all'Amministrazione, al fine di stimolare un'acquisizione di nuove competenze e sapere tradizionalmente slegati purtroppo dal modo convenzionale di intendere il lavoro “amministrativo”. Abbiamo costituito un'unità di progetto inter-assessoriale, che si avvale dell'assistenza e del sostegno tecnico di una squadra composta da direttore artistico, project management e community management. Il lavoro è, infatti, sul e per il territorio e non un astratto progetto calato dall'alto. Abbiamo anche scelto di coinvolgere direttamente gli operatori culturali, i professionisti e le imprese creative nella progettazione del programma artistico, perché l'obiettivo è quello di creare reti sul territorio e di legarle strutturalmente, stimolando e valorizzando le diverse competenze, a realtà di respiro non solo europeo, ma internazionale. Per questo abbiamo costituito un forum permanente, che sta lavorando con noi al progetto e al programma. Infine, dal momento che Cagliari si presenta con un partenariato allargato che include diversi comuni, abbiamo costituito un comitato degli enti con funzioni di indirizzo e controllo. Uno degli obiettivi del processo è, infatti, quello di promuovere una progressiva (ri)apertura  della città e di renderla epicentro di un sistema allargato e diffuso, guida, motore, di un nuovo rilancio economico e sociale che passi proprio dall’abbattimento dei confini sociali e delle frontiere culturali.

Pubblico e Privato, locale e internazionale. Quale è la vostra strategia di sostenibilità per garantire al programma mezzi finanziari certi e adeguati?
Mi preme dire che Cagliari gode di un bilancio estremamente sano. Abbiamo avviato e stiamo già attuando un programma di investimenti, che può definirsi come un vero e proprio piano di rigenerazione urbana, dove particolare attenzione viene data ovunque all'abbattimento di frontiere fisiche, sociali ed economiche, e alle riconnessioni, ricomponendo la città proprio a partire dalla valorizzazione dei presidi culturali e formativi presenti nei diversi territori. Per alcuni interventi abbiamo optato per il coinvolgimento del privato, superando la logica ormai anacronistica delle sponsorizzazione e ragionando invece in termini di concreto partenariato pubblico-privato, adottando la finanza di progetto anche per l'affidamento dei centri culturali. La Fondazione Banco di Sardegna sta sostenendo il progetto di candidatura fin dall'inizio, non solo come mero erogatore di finanziamenti, ma come soggetto chiamato a co-progettare e a condividere scelte strategiche di sviluppo. Questo per fare qualche esempio. Per il resto, ciò che abbiamo scritto nel piano anche sotto il profilo dei numeri è reale: è quello che già abbiamo! Arrivando alla relazione locale -internazionale la stiamo costruendo in una dimensione di partecipazione. Stiamo attivamente coinvolgendo la dimensione locale, promuovendo accordi di rete, accompagnando verso progettazioni europee e coinvolgendo gli operatori nella costruzione del ponte Cagliari-Europa, così come di quello Cagliari-Mediterraneo. Non partiamo da zero, ma da realtà culturali in costante crescita che troveranno in questo percorso una valorizzazione.

Il coinvolgimento dei cittadini è insieme alla «dimensione europea» il criterio principale su cui viene giudicato il progetto di candidatura e un fattore strategico su cui si gioca il successo del programma, anche in termini di effetti nel lungo periodo. Cosa propone la città?
Come già anticipato, non c'è dicotomia o comunque rapporto parallelo tra “cittadinanza” e “dimensione europea”. Anche prima della candidatura, nel piano comunale per le politiche culturali veniva ribadito il ruolo centrale del concetto di cittadinanza culturale che, slegato dal mero territorio di residenza, è il perno di tutte le nostre azioni. La candidatura è e deve essere un processo partecipato di re-invenzione condivisa degli spazi e dei modi di abitarli, dedicato non solo agli operatori culturali, al centro di un progetto ideato insieme all'Università, ma a tutta la cittadinanza, quel famoso terzo angolo che noi vogliamo riportare sempre di più al centro dell'azione politica perché il fine delle politiche culturali è il “cittadino”. Per tale motivo, in questi mesi abbiamo allestito una mostra-laboratorio, per avviare il racconto e la scrittura corale dei territori. E sempre per tale motivo, stiamo sperimentando un primo passo di quello che saranno le “European Cultural home”, attraverso una residenza di arte pubblica che per tre mesi anima altri territori considerati “periferici”, coinvolgendo studenti, cittadini, scuole, commercianti...insomma tutto il tessuto del quartiere. La residenza d'artista è il secondo appuntamento di un progetto che abbiamo chiamato Museo nel tessuto urbano e che è proprio finalizzato, attraverso l'innovazione del ruolo delle istituzioni culturali chiamate sempre più a fuoriuscire dai propri confini, al coinvolgimento attivo delle comunità nei propri spazi di vita. Il primo appuntamento si è svolto in un altro quartiere considerato periferico “Sant'Elia” e più del risultato, un'opera corale realizzata dalla grande artista Marinella Senatore, è stato importante il processo. Si è costituita un'associazione culturale di donne del quartiere, sempre più operatori culturali hanno scelto quei territori per portare eventi di respiro europeo, riuscendo a entrare nelle case popolare, negli spazi di vita di chi per troppo tempo è stato escluso dalla cultura e che ora si trova a farla. Insieme al grande piano di rigenerazione urbana già avviato nel quartiere, arrivano i linguaggi dell'immateriale che fecondano e migliorano le nuove geografie che stiamo disegnando.
Particolare attenzione viene data anche agli studenti, coinvolti attivamente in tutti i progetti della candidatura, grazie a un accordo con l'università che permette di riconoscere le diverse attività in termini di crediti formativi, inserendo quindi a pieno titolo nel curriculum universitario la sfida più bella: essere, per parafrasare lo scrittore Sergio Atzeni, sardi, italiani ed europei.

Non basta essere una città conosciuta a livello europeo. Le Capitali Europee della Cultura devono mostrare le diversità culturali, avvicinare i cittadini e aprire nuove opportunità di collaborazione a livello internazionale. Come viene sviluppata la dimensione europea nel programma? Quali i possibili rapporti con la Ecoc della Bulgaria?
Credo che lo spirito della programma Capitale Europea della Cultura sia quasi di sapore fenomenologico: in fondo è la felice e coraggiosa avventura di diventare sé. E questo è impossibile senza la dimensione dell'altro, senza l'apertura, che spesso fa paura, alle differenze, rinunciando alla mania di omologazione, bandendo le parole integrazione e inclusione per affermare quelle di ibridazione e di meticciato. Cosa intendo dire? La dimensione europea verrà prima di tutto realizzata all'interno, nel vivo del tessuto urbano, affermando un concetto estensivo di cittadinanza, abbattendo frontiere e pregiudizi, promuovendo un accesso equo e non discriminato alla cultura e alla formazione. Per questo stiamo lavorando per ricucire una città diasporica, per essere “uniti nelle diversità”. Da questo terreno, partiamo per incontrare la Bulgaria e le altre realtà internazionali. Vorremmo realmente invitarle qui, perché si sentano non turisti, visitatori o professionisti in movimento, ma cittadini. Per quel che riguarda la Bulgaria, è per noi una sfida che ci fa fare i conti con similitudini inedite e con un passato e un presente ricchi di analogie. Solo un esempio: Varna è un porto di una regione transfrontaliera, un confine che come quello nostro si apre. Di nuovo.

Quali sono i temi e i principali orientamenti del progetto culturale?
La nostra candidatura si basa su due pilastri: il paesaggio e il patrimonio immateriale. Quest'ultimo è inteso come lo intende l'Europa, ovvero come insieme di pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, che le comunità, i gruppi, gli individui riconoscono come parte del proprio patrimonio culturale e attraverso il quale si fanno promotori del rispetto per la diversità in genere e per la creatività. Si considera, invece, paesaggio il complesso sistema di relazioni, a cui corrispondono sistemi di segni stratificati su un determinato territorio, e su cui gli individui costruiscono la propria esistenza.
Perché il paesaggio a Cagliari dovrebbe avere un'importanza europea? Perché Cagliari condensa una molteplicità di paesaggi diversi, o per dirla con le parole dell'architetto Reyner Banham, una collezione di diverse ecologie. E queste molteplici “ecologie” ci conducono alle altre innumerevoli del Sud Sardegna alle quali siamo legati da spazi e da esperienze, da segni stratificati nel tempo.
Stiamo investendo sulle infrastrutture, e allo stesso modo, sulla costruzione di politiche culturali incentrate sul coinvolgimento attivo delle comunità nei propri spazi di vita. Questa forma di inclusione avviene attraverso i linguaggi dell’arte contemporanea, che innestandosi, sul tessuto locale, recupera i fili di memorie che si credevano perse e produce nuove storie e nuovi spazi, contribuendo a una riscrittura continua del territorio. In questo senso, la pratica artistica esce dai musei e dagli spazi convenzionali della cultura, per proiettarsi nel vivo dei tessuti abitati o da ri-abitare, con più umanità, realismo e sostenibilità. E lo stesso vale per tutto il territorio del Sud Sardegna, per il quale Cagliari non è più confine ma porta di accesso.
Ho citato solo i grandi macro-temi. Solo, per finire, una breve suggestione concettuale: è una candidatura tesa tra passato remoto e futuri possibili, tra tradizione e iper-sperimentazione. Non dico però come li teniamo insieme!

Quali sono i progetti infrastrutturali a cui la città intende  dare vita (nuove opere, riqualificazione e interventi di conservazione e valorizzazione?
Tutti i progetti infrastrutturali sono già finanziati e in parte già avviati nell'ambito di un piano triennale di programmazione dal valore di 343 milioni di euro. Solo l'anno scorso abbiamo bandito lavori per più di 80 milioni, 10 dei quali destinati a valorizzazione e rifunzionalizzazione di beni culturali. Solo per fare un esempio, ci sono le piazze, cruciali per un progetto che punta alla dimensione collettiva e al riuso “ibrido” degli spazi pubblici.

Il progetto di candidatura prevede interventi di rigenerazione urbana in aree specifiche della città?
Come detto, si tratta di interventi già pensati e quasi tutti avviati a prescindere dalla candidatura. Avendo come obiettivo nel medio periodo quello di fare di Cagliari una città non più dicotomica, ma policentrica, uno dei progetti più rilevanti ai fini della candidatura è quello che riguarda il quartiere di Sant'Elia, forse  il quartiere di Cagliari più interessante dal punto di vista paesaggistico e ambientale, ma anche uno dei territori a maggior rischio di esclusione sociale, con alti tassi di abbandono scolastico, di disoccupazione, di analfabetismo funzionale e di microcriminalità. Un luogo concepito come separato dal resto della città. Ebbene, questo quartiere di edilizia popolare, considerato dai più “periferico” in senso dispregiativo, diviene il fulcro di un programma di valorizzazione unitario, che vuole rendere il rione uno dei “centri” della nuova città “policentrica”. È opportuno anche evidenziare che questo programma è stato in grado di mettere insieme, finalmente all’insegna del bene comune, diverse istituzioni competenti sul territorio. Grazie agli interventi di riqualificazione di tutto il fronte mare già ben prima del 2019,  Sant'Elia diventerà lo snodo centrale di una continuità fisica che lega il porto storico, nel centro della città,  al  lungomare Poetto. Sempre a partire  da Sant’Elia, con la riqualificazione dei canali navigabili finanziata nell’ambito del Piano Città, si ripristinano le connessioni delle vie del sale che portano al Parco di Molentargius, per il cui recupero, anche produttivo, sono stati stanziati 20 milioni di euro. A Sant'Elia ci sarà anche uno degli snodi centrali della nuova metropolitana leggera e sempre nel quartiere si sta investendo a livello di infrastrutture sportive, produttive e culturali. Altro esempio, riguarda la città murata e può essere esemplificato da un'altra parola chiave della candidatura: apertura. Stiamo riprogrammando la città su base culturale insieme alle altre istituzioni e ponendo attenzione ai percorsi di collegamento tra i beni, lungo i quali, insieme all'assessorato alle attività produttive e a quello alla mobilità, stiamo incentivando la nascita di servizi diffusi. Ultimo esempio è l’ampliamento della Galleria Comunale a seguito di un concorso internazionale di idee.

Quale è la vostra strategia di comunicazione?
E’ una comunicazione che sappia dare voce a tutte le “città” che ci sono, senza edulcorare contenuti e prevedere interventi spot. Stiamo raccogliendo le parole dei cittadini, anche quelle scomode perché è una comunicazione pervasiva che, al di là dell'esito della candidatura, si incrocia col processo di partecipazione. Comunichiamo quello che facciamo, lo mettiamo in comune, ma chiediamo anche cosa possiamo fare di più e cosa possiamo fare meglio. Una parte della strategia di comunicazione consiste nel favorire anche la comunicazione dal basso. Per dirla meglio: stiamo favorendo un processo di appropriazione del sogno della capitale da parte della cittadinanza in modo che i contenuti del progetto possano essere declinati e promossi anche “dal basso”. L'obiettivo è che tutti i cittadini siano attori del progetto. Per fare un esempio dell'ultimo minuto, mi hanno appena chiamato gli studenti universitari, che stanno organizzando un flash mob dedicato alla candidatura. Un'idea loro, che comunicherà con mezzi e linguaggi capaci di raggiungere i più giovani.

Quali sono gli effetti di lungo periodo che il progetto si auspica di generare a seguito dell'anno dedicato alla manifestazione?
Sarebbe forse banale parlare di impatto economico diretto, indiretto, di flussi turistici... Io vorrei dire che mi aspetto prima di tutto risultati sotto il profilo sociale e, quindi, dell'incremento significativo del capitale umano. Mi aspetto molto da questo processo di coinvolgimento di tutto il tessuto cittadino, proprio perché una delle sfide maggiori è quella di abbattere i confini e le barriere, di valorizzare i territori senza cancellarne la diversità, senza annullare il senso anche positivo del “frammento”, di fare sentire le comunità parte consapevole e reale della cittadinanza.
Prima ho fatto l'esempio legato all'associazione culturale delle donne del quartiere Sant'Elia. L'Associazione è stata coinvolta in altri progetti, non più direttamente dal Comune, ma da altri operatori culturali. E sempre le donne sono diventate protagoniste della voglia di cambiamento di una comunità intera che si racconta e insieme racconta come cambiare insieme, come innalzare la qualità dei luoghi senza snaturarli. Credo, forse in modo anacronistico, che l'arte abbia ancora (o di nuovo?) un compito etico di apertura di nuovi scenari, di nuovi modi di essere e con-essere negli spazi, di nuovi futuri possibili. Mi aspetto poi che questo processo di coinvolgimento degli operatori sia capace di valorizzarli, collegandoli all'Europa. Con questa candidatura Cagliari e l'Isola dopo anni – decenni - di silenzio e isolamento tornano a parlare e a far parlare e quello che mi interessa sottolineare, ancor prima del turismo e dell'impatto economico, è che un territorio afflitto da pesanti tassi di disoccupazione, un territorio di emigrazione, ha di nuovo la forza e il coraggio di sperare e progettare. Il modello da noi proposto non è quello della mera circuitazione o della distribuzione quanto piuttosto quello della produzione. Il modello delle “European Cultural home” è questo: aprire i nostri spazi, non ancora sovraccarichi di segni, per un programma quinquennale di residenze artistiche, dove particolare attenzione viene data al legame con i territori e le comunità.
Infine, proprio legato al modello che vogliamo sperimentare, vorrei sottolineare che ci aspettiamo molto sotto il profilo della capacità di attrarre e radicare popolazioni mobili: studenti, artisti, professionisti, che qui, tra le pieghe di una città che è sempre pronta a rimettersi in gioco, possono trovare il terreno fertile per la sperimentazione e la produzione condivisa di nuovi linguaggi.
Ecco cosa mi aspetto: che Cagliari ritorni a essere quello che era nell'antichità, centro di produzione e di irradiazione di saperi e competenze. E’ da lì che ripartiamo!

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