LA CULTURA SERVE A NON SERVIRE
Dalla rubrica “President’s Picks”, ogni lunedì su La Rebubblica Torino, riportiamo l'opinione di Patrizia Asproni, presidente della Fondazione Torino Musei
“L'arte può non essere sempre onesta, perché ha come orizzonte, come molte cose del nostro tempo, la propaganda”. Parola di Christo. Proprio così l'artista internazionale creatore dell'universalmente nota passerella galleggiante sul Lago di Iseo, solo pochi giorni fa, difendeva gioiosamente la sua opera dalle osservazioni mosse da chi faceva notare come il suo ponte “non portasse a nulla”.
Un equivoco delle intenzioni, secondo l'autore, che ha affermato con forza che è proprio in questa assenza di destinazione che risiede l'espressione massima della libertà artistica; nella capacità di creare – e di creare bellezza, nel caso specifico avvalendosi della meraviglia paesaggistica che ha ospitato l'opera – senza un secondo fine (politico) o un obiettivo tangibile.
Posizione assai condivisibile, che fa il paio, con un piccolo salto concettuale, con quella espressa a brevissima distanza dal Nobel Orhan Pamuk a proposito del futuro dei musei: se fino ad oggi essi si sono fatti custodi della storia delle Nazioni divenendone spesso emblemi e luoghi di snodo di una monumentale narrazione collettiva (pur con l'effetto collaterale di provocare un senso di “estraneità” dei singoli) oggi che il mondo cambia e che la Storia si scrive attraverso le storie degli individui, i musei ritrovano la loro missione nel passaggio dall'epica al romanzo, dall'epopea al racconto di una o più esistenze attraverso il quale ricreare con il pubblico un rapporto di nuova empatia.
Ampliando la prospettiva, il primo effetto di entrambe queste riflessioni è sulle scelte di politica culturale, che debbono orientarsi a incoraggiare e far fiorire la libertà di cui parla Christo, con il duplice risultato di promuovere l'espressione artistica per il fatto di contribuire a determinare un contesto fertile per la creatività, e di generare benessere per le comunità attraverso un nuovo e più diffuso contatto con l'arte, una partecipazione culturale e la crescita umana che ne deriva.
Degli effetti economici di orientamenti di questo tipo, poi, abbiamo parlato in abbondanza, e auspichiamo definitivamente superata la stagione difensiva del concetto “con la cultura si mangia” (eccome).
Ma sulla necessità che tali scelte vengano operate secondo visioni che hanno come primo e insindacabile obiettivo il benessere culturale delle comunità, vale la pena di rinnovare una sottolineatura. Non può, infatti, esservi scopo altro che questo nel contatto tra politica e cultura. Tanto più che ogni altro sconfinamento evoca pagine di una storia che la Storia stessa ha condannato, e sulla quale non sono ammessi passi indietro.
La cultura serve a non servire, ha detto qualcuno, e la sua indipendenza rimane - e rimarrà per sempre - la misura più autentica del grado di libertà di una società.
Repubblica To – 11 luglio 2016