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La cultura in Piemonte. Dal passato, uno sguardo sul futuro

  • Pubblicato il: 15/11/2017 - 10:02
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Francesca Vittori

La presentazione della Relazione annuale "La cultura in Piemonte nel 2016" dell'Osservatorio Culturale del Piemonte è l'occasione per un'analisi trasversale sui cambiamenti del comparto culturale negli ultimi venti anni. Ecco qui uno spaccato sulle trasformazioni attraversate dalle organizzazioni dalla metà degli anni '90 al 2016 e uno sguardo "diacronico" su quella evoluzione che ha condotto il Piemonte e Torino a conquistare una nuova centralità nelle geografie culturali internazionali.
 

Come ogni anno, per il mondo culturale piemontese l'autunno è stagione di bilanci. Occasione per farli è la presentazione della "Cultura in Piemonte nel 2016" il report che l'Osservatorio Culturale del Piemonte pubblica per raccontare lo stato del comparto in regione e tracciare le traiettorie future. Un momento chiave, non solo per chi ogni giorno lavora per imbandire la tavola dell'offerta culturale, ma anche per le testate locali che hanno finalmente l'opportunità di sdoganare i numeri e i dati di un settore non sempre al centro dell'agenda giornalistica. Anzi, molto spesso dimenticato e lasciato solo con se stesso ad affrontare sempre maggiori criticità.
 
Teatro della presentazione è la sede della Film Commission Torino Piemonte che ha accolto - l'8 novembre - un pubblico interessato a carpire dati su partecipazione culturale, numeri del pubblico nei musei, nei cinema e nello spettacolo dal vivo, risorse economiche disponibili e tanto altro... tutto confezionato e disponibile all'interno della Relazione Annuale scaricabile qui.
 
Ma non è tutto: oltre ai dati e al commento da parte delle istituzioni, la presentazione è divenuta occasione per offrire alla platea uno sguardo "diacronico" - come è stato definito da Luca Dal Pozzolo, direttore dell’Osservatorio - sul mondo culturale dell'area metropolitana torinese negli ultimi 20 anni e su quella evoluzione che ha condotto il Piemonte e Torino a conquistare una nuova centralità nelle geografie culturali internazionali.
 
 
Il confronto con una ricerca sulle ICC del 1994
 
"Il futuro non è più quello di una volta".
 
Nel 1994 la Fondazione Agnelli commissionava un'indagine sul comparto culturale dell'area metropolitana torinese, con l'intenzione di mettere in luce le ampie potenzialità di sviluppo offerte dal settore. Siamo, a quest'epoca, nella Torino pre-olimpica, città a vocazione esclusivamente industriale, percepita come austera e grigia al di fuori dei confini regionali. Sedici anni prima che la definizione di ICC - Imprese Culturali e Creative venisse proposta dal Libro Verde Della Commissione Europea (2010), la città cominciava ad interrogarsi sulle nuove potenzialità offerte dalla cultura e dal turismo.
L'indagine del 1994 prendeva in esame 35 attività culturali, che oggi potremmo identificare come appartenenti al perimetro delle ICC.
A 23 anni di distanza l'Osservatorio ha replicato la stessa indagine raccogliendo 40 interviste in profondità, di cui 13 riguardano la stessa società/organizzazione (e in 8 casi anche la stessa persona). Un'operazione di confronto questa che ha consentito di mettere in evidenza non solo l'evoluzione del comparto in venti anni ma anche il cambiamento delle prospettive e degli sguardi di chi lavorava e lavora ancora in ambito culturale.
Conoscendo quanto è avvenuto a Torino e in Piemonte in questi oltre venti anni, possiamo dire che il futuro che attendeva gli intervistati del 1994 era foriero di grandi novità: in primis, la rivoluzione tecnologica e digitale non si era ancora compiuta e a breve gli operatori culturali avrebbero sperimentato l'effetto dirompente del digitale sui prodotti e anche sui processi lavorativi.
Inoltre, era forte all'epoca la convinzione degli operatori di lavorare in un settore percepito dai più come marginale, caratterizzato da un'economia "pulviscolare" che avrebbe potuto cambiare le proprie sorti solo attraverso un flusso d’investimenti e una strategia convinta di sviluppo culturale. Investimenti e strategie che in Piemonte sono arrivati, dando alla città un nuovo volto. "Per una quindicina d’anni Città di Torino e Regione Piemonte hanno condiviso con le Fondazioni di origine bancaria una strategia di investimento in cultura e turismo, man mano sempre più convinta e potente nelle risorse erogate, che ha avuto senz’altro l’apice nei Giochi Olimpici del 2006".
Dal punto di vista dell'attrattività, in questi venti anni il Piemonte e soprattutto Torino hanno subito un radicale ribaltamento dell'immagine percepita non solo in Italia ma anche e soprattutto all'estero.
Il capoluogo piemontese vanta oggi la reputazione di città creativa e ha guadagnato un posto di tutto rispetto tra le mete del turismo culturale internazionale.
 
Ma le cose belle non durano per sempre: il periodo aureo che ha consentito a Torino e al Piemonte di conquistare posizioni di testa in Italia quanto a impegno per la cultura, si è interrotto con l'avvento della crisi del 2008. E oggi le risorse per la cultura sono scese ai livelli pre-crisi del 1998.
Tralasciando gli effetti della contrazione delle risorse (ben descritti nelle Relazioni Annuali disponibili sul sito di OCP) l'analisi "diacronica" dell'Osservatorio è estremamente interessante perché offre uno spaccato sui cambiamenti che hanno attraversato le organizzazioni culturali dalla metà degli anni '90 al 2016.  
Come sono cambiate le imprese culturali in questi venti anni? E successivamente alla crisi finanziaria globale del 2008 che ha segnato un’irrimediabile inversione di rotta negli investimenti in cultura, come hanno saputo riorganizzarsi?
 
L'effetto più eclatante dell'iniezione di investimenti ha riguardato i musei del Piemonte: le visite sono cresciute a ritmo serrato fino a superare i 5 milioni del 2016, ben sette volte il dato del 1994.
Tuttavia, se l'offerta e l'attrattività sono aumentate, è rimasta stabile la condizione di sofferenza che caratterizza molte strutture imponendo riduzioni dell’organico e delle attività; a ciò si aggiunga, come spesso avviene, che gli investimenti hanno riguardato soprattutto gli edifici ma troppo poco tutti quegli aspetti immateriali che contribuiscono a valorizzare i beni culturali quali ad esempio la  loro  narrazione attraverso la tecnologia e lo storytelling.
 
Lo spettacolo dal vivo dal 1994 a oggi è stato caratterizzato da una stabilità nel numero degli spettatori (tra i 2,2 e i 2,4 biglietti venduti) e nel numero degli spettacoli nel complesso delle diverse attività - musica, lirica, teatro, danza. Una stabilità che può essere percepita come segnale di inerzia nelle attività di sviluppo dei pubblici e nell’audience engagement, sia nelle fasi di ampliamento dell'offerta sia in quelle di riduzione.
 
Per quanto riguarda le biblioteche, sin dagli anni '80 articolate in reti territoriali, hanno saputo sviluppare il loro ruolo di presidio culturale e sociale sul territorio. Hanno inoltre saputo cogliere gli stimoli provenienti dall'avvento del digitale, facendosi carico della digital literacy della popolazione. Oggi le biblioteche stanno cercando di trasformarsi sempre più nelle "piazze del sapere" di cui parla Antonella Agnoli, relazionandosi oltre che con la cittadinanza, con le fasce più deboli della popolazione.
 
Passando invece all’editoria libraria, l'integrazione con il digitale non ha portato alla temuta scomparsa del supporto cartaceo e il libro/oggetto di carta mantiene il proprio fascino "anche se integrato in un panorama dove i prodotti digitali on line e off line tenderanno a crescere".
La filiera produttiva ha invece subito una rivoluzione data da vari fattori: dall'acquisizione e fusione delle case editrici che ha spostato l'attenzione dall'editore puro alle holding del libro, alla quasi scomparsa delle librerie di quartiere a favore della grande distribuzione, sino alla vendita on-line di prodotti editoriali sempre più profilata. Per finire, a questi cambiamenti corrisponde una progressiva emorragia di risorse umane nelle case editrici.
 
L'impatto della tecnologia si è fatto sentire ancor di più nel mondo della musica riprodotta: l'avvento della rete, dell'MP3 e la smaterializzazione del supporto con conseguente trasformazione in "forme eteree downloadabili dal cyperspazio" dei brani musicali, ha tolto il potere di intermediazione alle grandi etichette discografiche.
 
L’audiovisivo nel ’94 era un ambito caratterizzato da piccole e micro realtà che lavoravano soprattutto su commesse istituzionali per la realizzazione di video per enti pubblici e privati. Le politiche di sviluppo del comparto non hanno avuto in questi anni i risultati sperati in termini di consolidamento e competitività dei soggetti operanti in tale segmento.
Ciononostante all’inizio degli anni 2000 la costituzione a Torino di una delle prime Film Commission italiane ha contribuito a ravvivare il settore tanto che oggi "Torino e il Piemonte sono sempre più richiesti come location per girare film, serie televisive, spot e altre produzioni, favorendo un incrocio tra professionisti locali e produzioni nazionali e internazionali".
 
Infine, una breve parentesi va dedicata al design, oggetto di uno specifico approfondimento realizzato dall'Osservatorio, in collaborazione con la Camera di Commercio di Torino e il Politecnico di Torino, e che "a partire dal comparto di forza costituito dall’automotive design ha saputo allargarsi verso altre prospettive di grande interesse e rappresenta oggi un forte potenziale d’innovazione, coltivato e nutrito dalle scuole private IED e IAAD e dal Politecnico".  
Interessante vedere come oltre al design di prodotto si auspichi un passaggio al design dei processi, "verso un’innovazione non superficiale o effimera, ma anzi che traccia processi e percorsi di problem solving e costruisce atteggiamenti e posture culturali atti a recepire sfide importanti che provengono dalla società".
 
Lo sguardo sui venti anni ha consentito di mettere in evidenza alcuni aspetti che caratterizzavano e ancora oggi caratterizzano chi opera nel comparto culturale.
In primo luogo, l'incapacità di comprendere il portato rivoluzionario delle tecnologie digitali: "se la grande maggioranza degli operatori ritiene di dover investire per un adeguamento ritenuto quasi obbligatorio, meno della metà degli intervistati pensa che la tecnologia avrà un ruolo significativo nel comparto culturale".
Inoltre, a fronte di un aumento e di una differenziazione dell'offerta culturale non sono state sviluppate né messe in campo attività di audience engagement capaci di sviluppare e allargare la fruizione delle attività culturali; infine le imprese culturali sembrano essere affette da una  debolezza strutturale congenita: "l’aumento delle risorse tra metà degli anni 90 e il 2008 si è tradotto in un forte aumento dell’offerta culturale e non in un altrettanto forte processo di consolidamento e di sviluppo dell’impresa, delle istituzioni, degli operatori culturali che hanno dovuto affrontare i rigori della crisi senza aver accumulato e introiettato condizioni di funzionamento più potenti, più efficaci, più adattative, maggiormente resilienti".
L'approfondimento offerto dall'Osservatorio offre infine una sezione dedicata ad alcuni strumenti utili ad affrontare questa debolezza strutturale, in primo luogo gli incubatori d'impresa che possono fornire un approccio più "imprenditivo" e nuovi business model a chi opera nella cultura.  
 
Impresa culturale in mutazione: da una logica lineare a una logica frattale
 
Il facile è difficilissimo. Il semplice è complicatissimo.
(Leo Longanesi)

 
Selezionando su Google la query "impresa culturale" compaiono ben 2.090.000 risultati. Nulla di paragonabile ai 764.000.000 di risultati ottenuti selezionando la sola parola "cultura", ma comunque testimonianza di quanto sia cambiata la visione di chi opera in un ambito che fino a qualche anno fa veniva percepito come lontanissimo dal business, tanto da considerare un ossimoro il concetto di "impresa culturale".
Nelle interviste svolte tra il 2016 e il 2017 dall'Osservatorio emerge invece una classe di imprenditori culturali molto sensibile ai temi del management e interessata a individuare nuovi business model, lontani dalla tradizionale modalità di fare cultura.
Un nuovo contesto in cui l'intervento pubblico è percepito come residuale e riservato solo ad alcune istituzioni di particolare interesse motivo per cui l'impresa culturale - sottoposta al mantra della sostenibilità - si trova nella condizione di dover moltiplicare le fonti di entrata dirette e indirette.
In questo frangente, assume una sempre maggiore importanza, al pari del prodotto culturale, il processo che ne ha consentito la realizzazione, percepito come fonte di ulteriori potenzialità economiche.
 
In tal senso si può parlare di passaggio "da una logica lineare a una frattale, che innesca su di una spina dorsale – normalmente un processo più che un prodotto – innumerevoli diramazioni laterali che riproducono a loro volta processi e prodotti culturali, fino a dispiegare una geografia di nervature lungo le quali organizzare le occasioni economiche, da un utilizzo esperto e coinvolgente del volontariato, al crowd funding, al merchandising di prodotti o servizi collaterali".
Un nuovo modo di fare cultura caratterizzato da trasversalità rispetto ai generi culturali e transettorialità, aperto alla possibilità di interagire e co-progettare con gli stakeholder, intenzionato ad aprire un dialogo con la società civile, anche uscendo fuori dai luoghi liturgici della cultura per coinvolgere target e ambiti urbani spesso lontani e poco interessati alla fruizione culturale.
Infine caratterizzato da una "necessità di partnership con la Pubblica Amministrazione per rendere possibili alcune operazioni / eventi / iniziative e modalità di lavoro non standard, studiando congiuntamente i percorsi che consentano l’operatività entro un quadro di legalità, ma che sminino il cammino dall’iper-normatività e dai vincoli che implicano costi insostenibili da parte dell’impresa culturale".
 
Come anticipato è in atto una mutazione nell'impresa culturale ed è necessario che il mondo politico ed economico faccia propria la consapevolezza di questa nuova fase evolutiva "per mettere in campo politiche, programmi d’intervento e strumenti d’incentivazione, appropriati ed efficaci a orientare e a disvelare le potenzialità future, non solo votate alla difesa dello status quo".
E per aprire nuovi orizzonti di futuro.
 
 
 
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