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La cultura non è un'isola. Ha il cuore in affanno

  • Pubblicato il: 07/07/2013 - 22:58
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Articolo a cura di: 
Anna Follo e Stefania Crobe

Torino. ToolBox - lo spazio di co-working nell'edificio di archeologia industriale in cui vive la cross-innovation - è stato l'inedito teatro della presentazione del 18mo Rapporto Annuale dell'Osservatorio Culturale del Piemonte di IRES, l'istituto di ricerca regionale, che fa il punto su consumi, risorse economiche e produzione culturale del territorio nel 2011-2012.
Un forte segnale secondo Luca Dal Pozzolo, direttore dell'Osservatorio, per indicare che la cultura non è un'isola e quanto sia «necessario che si integri con tutto il mondo dell'innovazione e non solo nel settore», rinnovando lo sguardo con cui leggerla in relazione con imprenditorialità e benessere sociale.

Ospite per contestualizzare i dati regionali nel panorama nazionale Annalisa Cicerchia, direttore UO Cultura, tempo libero e nuove tecnologie dell'ISTAT, che presenta un Paese "«che arretra sotto il profilo dei consumi e delle competenze», evidenziando a chiare lettere come, oltre alla vexata quaestio della spesa pubblica «che registra una flessione del 60% a livello Mibac negli ultimi cinque anni», i problemi siano altri. La rappresentazione della cultura non arriva da una domanda politica, «il punto critico sono i decisori. Non c'è la committenza interessata a dirigere le politiche culturali, con un sogno, una visione, un punto di arrivo di cosa farsene della cultura.».
Il tema non è solo il denaro, ma la visione strategica e le competenze, aggiunge Cicerchia «Se usi più il timone, usi meno il remo. Abbiamo restituito all'Europa 2 miliardi di euro per l'unico programma europeo che avrebbe potuto sostenere patrimonio e turismo per un deficit di capacità di programmazione» che trova origine dalla governance debole. Deriva da questa consapevolezza la rilevazione attesa dopo l'estate,  realizzata con protocollo di intesa con il MIBAC, dei circa 6mila variegati musei italiani, che non fanno sistema.

L'economista Maurizio Maggi di IRES, presenta la recente fotografia della società piemontese scattata da IRES nel Rapporto economico-sociale, descrivendo il clima di opinione, il rapporto dei piemontesi con la cultura e il ruolo che le attribuiscono. «La crisi ha radici lontane. Le  fasi più acute prendono il via nel 2008. Morde tutti i Paesi e ogni settore. Molti sono gli elementi tra loro intrecciati e non si può trovare una sola via di uscita».
Il dato più pesante è la vulnerabilità sociale. Nonostante il migliore livello di qualità della vita percepita nella Regione rispetto al Paese (7,2 contro il 6,8 nazionale), «la metà degli intervistati dichiara un peggioramento, anche nel far quadrare il bilancio familiare, nell'alimentazione e nelle spese per la salute».
Secondo Maggi ad oggi sono stati posti in essere «tamponi come per le crisi brevi e settoriali. Occorre un coordinamento verso una stessa direzione con obiettivo 2020, rispondendo al mantra ‘quale crescita?’ e capire come usarla. L'Europa oggi ha una strategia, oggi ancor più aderente al futuro rispetto al momento in cui è stata varata: una crescita intelligente, sostenibile, inclusiva».
Il Piemonte si sta muovendo su quattro linee: la crescita digitale (è stata la prima Regione a fare una legge sugli open data, la prima sulle start up innovative e ora deve lavorare per rinnovare le filiere), il governo locale (molte sono le innovazioni di fare, connesse anche all'agenda digitale ), il lavoro giovanile (il territorio si sta muovendo con piccole innovazioni come la staffetta generazionale con part- time per far entrare giovani), la green society.
«I settori non possono più essere letti estrapolandoli dalla situazione generale, ma sono condizionati da fattori trasversali» evidenzia Maggi, concludendo che «ci sono indizi positivi. La crisi non è indifferenziata. Sotto il suo manto si stanno muovendo le start up, i sistemi locali. Bankitalia sta lavorando benissimo sulle imprese».
La sfida per i centri di ricerca è contribuire a far capire dove e come investire, anche nella cultura.

In Piemonte la somma della spesa pubblica in cultura dei diversi organi di governo e dei soggetti privati si è attestata nel 2011 a 317 milioni di euro (di cui il 22% grazie a fondazioni di origine bancaria). 408 milioni era la spesa di  quattro anni prima. Un meno 30% quindi se si attualizzano i valori monetari. Il 2011 è stato l'anno dei record con quasi 5 milioni di visitatori al sistema museale metropolitano, complici la celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia, la riapertura di sedi museali e la realizzazione di mostre a grande appeal. Un livello non replicabile nel 2012, che segna un -25%, ma nel contempo i dati mostrano un sistema a livelli più alti rispetto agli anni precedenti (+10% rispetto al 2010). Otto nel 2012 sono le mostre tra le 50 più visitate d'Italia; le fiere si posizionano al primo posto nell'arte con Artissima e Paratissima e il Salone del libro ha superato i 300mila visitatori.
In  vent'anni (dal ‘93 al 2012) in Piemonte si registra un accesso ai musei sensibilmente aumentato, dalle 670 mila visite del 1993 alle 3.767 mila del 2012 (+463%, picco nel 2011, con
un offerta di musei passati da 14 a 49, +250%): una crescita non legata all'incremento dei beni, ma alle  policy che hanno migliorato l'offerta e l'hanno resa più accessibile, con la fidelizzazione  del pubblico locale che ha registrato  un picco negli ultimi anni legato alla tessera  Torino-Musei ( 5,7 mila nel 98 a oltre 87 mila nel 2012).
E' comparsa  una figura inesistente fino a dieci anni fa: l'escursionista culturale. La musica classica presenta un tasso di partecipazione invariato, ma il pubblico si è fidelizzato, raddoppiando la propria fruizione.
Ma l'indagine non mira ai biglietti venduti, ma a comprendere il livello di partecipazione attiva, quanto si estende la base sociale in termini di democratizzazione.  Quattro i profili che emergono nel rapporto tra cultura e sviluppo:
I senza se senza ma: il 58% degli intervistati ritengono che la cultura vada sostenuta, sia molto importante nell'economia del futuro e che l'offerta debba essere potenziata. Sono  laureati, adulti sopra i 56 anni, insegnanti e dirigenti, con un tenore di vita superiore alla media.
I sostenitori con riservail 16% ritiene abbia un ruolo importante, che l'offerta sia adeguata, ma che la cultura debba attrezzarsi per diventare autosostenibile.
Gli scettici con cautela: l'11 pensa che l'offerta sia adeguata, ma è scettico sui finanziamenti.
Gli antagonistiil 12% la valuta marginale, con un'offerta sovrabbondante. Hanno un livello alto culturalmente,  sono  giovani adulti under 40, la provincia in cui sono più presenti è Vercelli, e contano  casalinghe e disoccupati. Ciò che emerge è un comportamento anomalo e discordante dei giovani con una caduta verticale della partecipazione al termine del periodo scolastico.
L'Osservatorio lo spiega «internet ha modificato i comportamenti, il numero di persone che navigano in rete si avvicina a quelle che ascoltano la radio, sono aumentati i lettori di libri, ma diminuiti quelli dei quotidiani on line».

Il complesso delle istituzioni, del cuore culturale è comunque in affanno, sta soffrendo e va osservata nelle sue fibrillazioni per restituire ai policy makers le dinamiche.
Luca dal Pozzolo, propone 12 Argomenti per la cultura in 4 macrotemi, elementi di riflessioni, nessuna verità, ma punti di discussione.

Cultura ed economia: la flessione del  30% delle risorse, ci indica senza abusare di una locuzione comune, che necessitiamo di un cambio di paradigma. «Per molto tempo si è pensato  che l'estraneità della cultura da interessi economici fosse una tutela. Arriviamo da una lunga storia, con molta retorica e poca pratica,  con evidente  incapacità di rendere compatibili sviluppo, trasformazione e tutela per il patrimonio e il paesaggio».
Dal Pozzolo proponeuna provocazione sulla quale si concentra il dibattito. L'assistenzialismo è finito, «dobbiamo iniziare a familiarizzare con il concetto di perdita: ciò che non faremo è una responsabilità più grande del dire ciò che faremo. Dobbiamo dibattere sulle priorità. Questo ha un ruolo sociale. Va costruito un piano pluriennale della cultura, stabilendo ciò che non si può non fare: per ragioni culturali, sociali ed economiche per non cadere nella trappola di valorizzare tutto ciò che ha un valore economico».

Cultura e sviluppo. «Dobbiamo avere l'onestà di affermare che la cultura qualche volta è sviluppo  qualche volta è cultura. Non possiamo mettere in correlazione diretta, meccanica, il numero di rappresentazioni all'Opera e quello dei brevetti», e non  si riuscirà mai a valorizzare un luogo se gli abitanti non hanno consapevolezza del suo valore.Intersettorialità è' la parola d'ordine dell'Europa che dà per scontato che la cultura sia l'attivatore di tutti gli assi delle politiche. «Va compreso come la cultura sia in grado di costruire una risposta a domande sociali e partecipare alla gestione della complessità. Intercettare alleanze, interessi e domande».

Cultura alta e cultura bassa. Il dialogo è un'opportunità. Ci sono persone che hanno difficoltà ad esprimere una cittadinanza. L'Europa ha un programma specifico sull'audience development. «Oggi le persone sono esposte a contenuti culturali molto più intensi rispetto agli anni settanta, come se fosse una radiazione, è cambiato il modello di penetrazione culturale e occorre produrre nuovi mondi culturali, nuove narrazioni, interpretarle. La democratizzazione della cultura necessita oggi di un'altra prospettiva. «Occorre lavorare sull'ibridazione dei linguaggi, costruire un'alleanza con la multimedialità».

Cultura e visione. «Tutti i grandi passaggi storici sono stati scanditi da uno sguardo rinnovato sul futuro. Oggi siamo intirizziti. Da dove può emergere la visione per il futuro se non dalla cultura?». Abbiamo di fronte molte sfide: il campo sterminato delle smart cities su cui investire; occorre interpretare la domanda sociale, individuare sperimentazioni e lo stesso tema della sostenibilità non può che essere affrontato in termini culturali. «Non è una tecnica, ma è un valore, una discussione intorno ai beni comuni, ai fattori fondanti. Non possiamo entrare nella logica  ragionieristica che essendo senza denari non possiamo pensare. Non possiamo rimanere nella politica della zecca aspettando un nuovo cane».

Conclude illustrando azioni e strumenti. «L'irrigazione va fatta goccia su ciascun ceppo di insalata. Non possiamo concentrarci sulle eccellenze, anche se comportano rassicurazioni. Deve crescere il nuovo: spin off universitari, start up innovative. Occorre ripensare gli strumenti nella cultura nella logica di partnership anche con gli enti finanziatori che gradueranno il loro intervento non solo dando denaro, ma facilitando, accreditando, rendendolo possibile. Con un plus di politica da richiedere all'ente pubblico: la possibilità di fare, studiare insieme, affrontare imprese di rischio, strumenti innovativi di sostegno».
Dobbiamo imparare a fare scelte. «Il vulnus non è la carenza di risorse, ma il modello», afferma Michele Coppola, assessore alla cultura e alle politiche giovanili della Regione Piemonte -rimasto ad ascoltare con Maurizio Braccialarghe, omologo della Città di Torino- che va alle proposte concrete. «A settembre verrà avviato un laboratorio con le maggiori imprese creative del territorio, gli incubatori universitari per rafforzare il ruolo della cultura rispetto agli altri settori economici e diffondere innovazione».

Molti uffici stampa presenti, ma nessun direttore, presidente di teatri e musei.

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