La Cultura e Europa 2020 : cecità o nuovi traguardi?
Nell’impianto generale del nuovo ciclo delle politiche di Coesione Europea 2014-2020 e tra gli obiettivi tematici della proposta di nuovo regolamento generale dei Fondi strutturali non emerge un ruolo prioritario della Cultura.
Si conferma una sottovalutazione «culturale» del ruolo della Cultura nel perseguire traguardi solidi alle politiche di sviluppo e coesione europee.
Il rischio di configurare politiche di breve respiro appare ancora più grave per l’Italia in cui il ruolo della Cultura è potenzialmente uno dei motori principali dello sviluppo nazionale e della diffusione di innovazione di fronte alla Crisi.
Su questi temi la riflessione di Francesco Milella, consulente esperto sui temi dello Sviluppo locale e delle Politiche di Coesione Europee, lancia alcune suggestioni operative per temperare questo rischio e riassumere il valore della Cultura come uno dei fattori delle condizioni di successo di Europa 2020.
Più volte ho avuto occasione di affermare che le politiche di sviluppo e di coesione non costituiscono un gioco senza regole, senza vinti o vincitori, senza posta in gioco, come nel CausCaus in Alice nel paese delle Meraviglie.
La posta in gioco è il destino ed il futuro di intere comunità, dei soggetti che ne fanno parte, con tutto il proprio vissuto di speranze e di problemi, di risorse e di libertà.
La posta in gioco è la capacità di ricondurre in modo utile, realistico e sostenibile, il patrimonio di risorse identitarie dei territori e anche di parzialità, anche piene di conflitto e antagonismi, verso disegni attendibili di sviluppo e coesione sociale che segnino il cammino di intere popolazioni in un progetto orientato e condiviso di futuro.
La posta in gioco del prossimo ciclo di programmazione dei Fondi Strutturali 2014-2020 segna per l’Italia una scommessa ancora più significativa. Per le condizioni di incertezza derivanti dal peso specifico, sul nostro Paese, della Crisi su scala globale e perché la qualità di questa programmazione può essere decisiva nel determinare un «riscatto dell’azione pubblica», a sostegno dello sviluppo, della coesione nazionale e del Mezzogiorno d’Italia nel quadro dei processi d’integrazione europea, come sottolinea con grande forza il Ministro Barca[1] .
Ora, che il peso della crisi costringa ad interpretazioni di emergenza, che spesso perdono il respiro più grande, appare inevitabile e si spera condizione contingente. Ciò che mi preoccupa è però una distrazione più antica, più gravosa per il nostro paese per consolidate inefficienze, che mi fa supporre che gli obiettivi generali e gli impatti ricercati dalla cd. Strategia di Lisbona[2], come aggiornati in Europa 2020[3], siano infragiliti dalla mancata comprensione della Cultura come uno dei Pilastri della stessa strategia. Utilizzo il termine «comprensione» non a caso, perché, al fondo, il valore costitutivo della Cultura come precondizione di successo, tanto di politiche di coesione di largo respiro su scala europea che di processi di sviluppo locale place-based appare da tempo misconosciuto. La conseguenza «culturale» ed operativa diretta di questa incomprensione è che la cultura non rientra, se non in maniera residuale, nelle politiche di Coesione Europea del prossimo ciclo, non prevedendosi, ad esempio, né una priorità Cultura né un obiettivo tematico specifico nell’ambito di Europa 2020.
Non è necessario scomodare esperienze storiche o di stretta attualità, trattati di economia, antropologia o altro in questa sede. Va da sé che troppe volte considerazioni persino banali siano escluse dai fondamenti di troppe discussioni che ritornano poi sterili negli archivi.
Cultura non è solo economia della cultura. Esattamente come non si produce Innovazione senza la generazione di nuove idee che partano da nuove connessioni tra Idee esistenti.
«Guardare a vecchi problemi con uno sguardo nuovo» è un assioma delle politiche di sviluppo, ma senza occhi non si guarda nulla.
La Cultura, con i suoi diretti effetti sulla promozione dei circuiti di innovazione, dovrebbe costituire in primo luogo una precondizione per il successo delle politiche di sviluppo, crescita dell’occupazione e coesione europea. Non è così e viene ridotta ad un ruolo ancillare o declinata esclusivamente come politica di settore (vedi il lancio del programma Creative Europe). Nell’ambito degli obiettivi tematici di Europa 2020 è una modesta comparsa nelle priorità di investimento dell’obiettivo tematico 6 (su 11! ) con finalità esclusive di protezione, promozione e sviluppo del patrimonio culturale, accanto al paesaggio, all’ambiente, alle risorse energetiche.
Al contrario, sarebbe necessario restituire centralità alla Cultura nel quadro delle strategie verso gli Obiettivi di Lisbona 2020 anche qualora le strategie culturali non avessero direttamente obiettivi di crescita economica ed occupazionale. La Cultura anche indirettamente costituisce fattore accelerativo della crescita e di miglioramento del contesto economico, generando processi di coesione, di costruzione identitaria di comunità territoriali ed interculturale tra loro e su scala sovranazionale, favorisce la crescita della fiducia, raccoglie uno sguardo più attento degli attori economici e sociali verso le proprie risorse comuni. La Cultura «genera» concezione di beni comuni che rafforza qualsiasi orientamento strategico verso il cambiamento competitivo e la produzione di innovazione. Altro che! occorrerebbe una strategia complessiva di sostegno alle avanguardie culturali su scala europea perché si possano rafforzare le basi di processi ampi di innovazione, e logiche «Smart» oggi, temo, per lo più declinate ad interessi economici di breve periodo.
Il caso Italia appare ancora più eclatante.
Nonostante l’apparente naturale inclinazione che dovrebbe attribuire un ruolo guida alla Cultura nella formulazione di adeguate strategie di sviluppo nazionale, l’Italia, più colpevolmente. date le potenzialità di partenza, non coglie la naturale interdipendenza tra cultura ed innovazione, mantenendo azioni separate sulla sfera della tutela del patrimonio culturale, della gestione dei suoi processi di valorizzazione economica ed occupazionale, della crescita di ruolo dell’industria creativa.
A causa di una «concettualizzazione povera e fuorviante» la cultura assume un ruolo secondario nella definizione delle strategie nazionali per la crescita e la competitività[4]
L’Italia necessita di un adeguato e profondo ripensamento delle proprie politiche culturali, dei relativi modelli concettuali interpretativi e delle proprie strategie di approccio ed orientamento.
Persino le politiche storiche di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale appaiono deboli e irresolute, incapaci di generare anche quei minimi servizi di fruizione e valorizzazione che molto slancio potrebbero produrre nel rilascio di opportunità di sviluppo, non solo «turistico».
Queste politiche più tradizionali sono schiacciate da conflitti di competenza e ruolo, tra livelli e soggetti istituzionali diversi, tutti indubbiamente «aventi titolo» a dire la propria, che cancellano il merito delle questioni da affrontare e degli obiettivi da perseguire.
In questo scenario il pure lodevole e, per certi versi, eclatante, Documento del Ministro Barca già citato, lascia però inalterato il problema di fondo.
La Cultura, ancora e solo sempre intesa nella sua accezione di «patrimonio», appare solo in una delle tre opzioni strategiche lì individuate acquisendovi una certa centralità nella dimensione delle Aree interne, e come uno dei fattori per la selezione delle Aree di attrazione culturale e naturale dell’obiettivo tematico 6, avendo come riferimento il progetto Pompei .
Ora al Ministro Barca va il merito di avere con decisione indicato metodi e approcci innovativi per rimuovere cause e motivi di inefficacia ed inefficienza, nella programmazione ed attuazione dei Fondi Strutturali, per il ciclo 2014-2020. A lui va ascritto anche il merito di avere stabilito, con chiarezza e disponibilità, l’avvio di un confronto pubblico sul Documento, confronto che ritengo necessario per la discutibilità di alcune ipotesi lì segnalate[5], che purtroppo appare contratto dalla ravvicinata scadenza del 15 febbraio, quale data ultima per contribuire al dibattito sul suo Documento.
Una innovazione di metodo richiede anche la configurazione di una strategia coraggiosa che rimetta i pilastri dove devono essere. Tanto per continuare a citare Cecità di Saramago «Arriva sempre un momento in cui non c'è altro da fare che rischiare».
Il problema di fondo è che occorre necessariamente riconfigurare, per il nostro paese,[6] l’articolazione delle priorità strategiche e degli obiettivi tematici del prossimo ciclo di programmazione avendo cura di ridefinire una strategia aperta sulla Cultura nazionale ed europea e favorendo la ricomposizione dei Pilastri di contesto delle politiche di sviluppo senza i quali qualsiasi programma si fa «specialismo» ma non assume il valore di capacità dirigente di sviluppo durevole (tanto per parafrasare Pareto).
Cosa significa tutto questo per un pragmatico come me che si è «sporcato le mani» negli ultimi 25 anni nel sostegno di processi di sviluppo locale?
1) definire nuovi strumenti di analisi dei contesti che incorporino elementi e campi di indagine quanti/qualitativi orientati a definire il valore di consolidamento ed innovazione culturale di una prospettiva. Va da sé che un territorio che abbia qualche buona libreria, un teatro che funziona, beni culturali aperti alla fruizione e contenitori di servizi di valorizzazione, aree di pregio ambientali che «non ci sono soltanto» ma incorporano servizi e contenuti educativi e di esperienza culturale, una biblioteca che non gestisca il suo patrimonio librario ma sia sede di servizi di welfare culture based, in cui ci siano gruppi, associazioni, persone, esperienze consolidate o consolidabili che si occupano di Cultura, abbia maggiori prospettive di generare coesione e condivisione su una prospettiva di sviluppo che una one company town;
2) Costruire approcci di sperimentazione prima di definire modelli replicabili. In generale l’esperienza dei modelli di sviluppo territoriale nel nostro paese, succeduti in stretta sequenza e talvolta contestualmente, denuncia la logica del «fungo parassita» che uccide l’esperienza precedente non facendo tesoro degli errori compiuti. Dai Patti Territoriali, ai Patti euroepei per l’occupazione, forse l’esperienza più efficace, ai Pit, ai Pis alla Progettazione Integrata Territoriale, alla pianificazione strategica di area vasta, la modellizzazione uniforme dello sviluppo è stata feroce. Non tutto si può fare dappertutto. Questo non significa che ci sono aree del paese che debbano essere abbandonate, significa, al contrario, che la tassonomia degli strumenti che accompagnano le politiche debba essere ispirata a principi di fondo comuni (la partecipazione ed il partenariato inclusivo ne è uno costitutivo) e coniugata con molta flessibilità operativa, rendendo disponibile una tastiera complessa di strumenti di intervento che tenga conto dei diversi gradi di fragilità territoriale, della diversa densità degli attori e delle opportunità, di opzioni strategiche pure comuni ma che siano attivate con modalità differenti, talvolta concorrenti (ai diversi gradi di evoluzione) talvolta disgiunti. In un approccio agli SLOP (Sviluppo Locale Partecipativo), previsti in Europa 2020, penso che sia urgentissimo, lo dice anche il documento di Barca, attivare azioni pilota su aree per cui sia definibile, ad esempio, un’idea forza di sviluppo fortemente culture based e mettere in campo il meglio che c’è per sostenere una sperimentazione che testi pratiche di intervento prima di definire modelli;
3) Integrare la strumentazione di valutazione anche in itinere ed ex post, individuando nuovi indicatori quali/quantitativi in grado di misurare efficacemente gli effetti sui valori culturali, di contesto e specifici, e sulla capacità di innovazione generati dalle azioni di sviluppo anche non «settorialmente culturali». Molto lavoro si è fatto in questa direzione: non si parte da zero occorre solo incorporare nei sistemi di decisioni il meglio disponibile. È altrettanto certo che non ci si possa più permettere di valutare gli obiettivi di Sviluppo e crescita dell’occupazione solo con indicatori fisici di risultato e, nelle alternative di valutazione controfattuale, occorra incorporare indicatori di altra natura che consentano di valutare la durevolezza dei cambiamenti positivi generati.
4) Avvicinare le attività di assistenza tecnica ai destinatari delle politiche. Non è più sostenibile che le risorse destinate ai funzionamenti dei programmi comunitari siano quasi esclusivamente finalizzate a supplire a carenze ordinarie di chi questi programmi li gestisce spesso non modificando un atteggiamento che storicamente appare più vocato alla censura e all’adempimento e al meglio al controllo, piuttosto che all’accompagnamento dei destinatari a fare «bene» sostenendo un processo di capacitazione complessiva dei sistemi. Occorre un anello di congiunzione reale in termini di capacità e competenze che prevenga gli errori piuttosto che censurarli.
5) Costruire una strumentazione di sostegno alla Cultura e alle sue avanguardie. Questo faciliterebbe la capacità di penetrazione sui mercati culturali internazionali della cultura nazionale e favorirebbe la qualificazione dell’identità nazionale e territoriale verso quadri di coesione più marcati, duraturi ed in grado di meglio affrontare le sfide del futuro.
6) Avviare un processo di riforma ed integrazione delle competenze istituzionali tra i vari soggetti aventi titolo sui temi della cultura e del suo patrimonio. Per recuperare inefficienze e frammentarietà e ricostruire logiche di filiera culturale.
7) Modificare gli assetti normativi di riferimento. Se un’opera pubblica di 5 milioni di euro di costo totale ci mette in media 8 anni e 4 mesi, nel nostro paese, per arrivare a completamento o si modifica la legislazione nazionale sugli appalti o dovremmo già avere cantieri aperti per l’intero prossimo ciclo di programmazione dei Fondi Strutturali. Il Codice dei Beni culturali ed Ambientali, nella sua attuale formulazione, non favorisce i processi di integrazione della filiera culturale e mortifica la capacità potenziale di mobilizzazione di investimenti privati nel settore della Cultura.
8) Attivare fiscalità ed ingegneria finanziaria dedicata. In assenza di una strumentazione dedicata di garanzia del credito al settore della cultura, in un paese dove oramai persino le imprese di settori maturi ma competitivi non riescono ad accedervi in via ordinaria, le imprese culturali e le start-up creative avranno vita durissima a contribuire alla diffusione dell’innovazione nel nostro paese (che ricordo si colloca al 21° posto, sulla scala dei 27 Stati Membri UE, per capacità di produrre innovazione).
Una fiscalità di vantaggio ai soggetti che donano e finanziano la cultura in forma più diretta ed incisiva appare oltremodo indispensabile.
Che è la corsa scompigliata? - domandò Alice…..
…….La corsa è finita! - e tutti lo circondarono anelanti domandando: - Ma chi ha vinto?
Lewis Carrol - Alice nel paese delle meraviglie
Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono…
Josè Saramago - Cecità
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Francesco Milella è consulente esperto sui temi dello Sviluppo locale e delle Politiche di Coesione Europee. Presidente, dal 1985, della società Ricerca e Sviluppo di Bari, ha coordinato gruppi di progettazione sui temi ed azioni di sviluppo territoriale in numerose aree del Paese e in tutto il Mezzogiorno d’Italia. Dal giugno 2008 coordina le attività di Assistenza Tecnica alla Pianificazione Strategica di Area Vasta per conto della Regione Puglia.
[1] “metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020” Roma 27 dicembre 2011
[2] Nel Marzo del 2000, nell’incontro Europeo di Lisbona, i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, si sono accordatiper un obiettivo molto ambizioso: «fare dell’Unione Europea, al termine del 2010, la società della conoscenza piùcompetitiva e più dinamica del mondo, generando nel contempo una crescita economica sostenibile, maggiore coesione sociale, migliori livelli di occupazione”.
[3] Commissione Europea 3/3/2010/ “Europa 2020 Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva”
Le priorità di Europa 2020
Crescita intelligente: migliorare le prestazioni dell'UE nei campi dell'istruzione, della ricerca e innovazione, della società digitale;
Crescita sostenibile: creare un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e competitiva, attraverso la riduzione delle emissioni, lo sviluppo di nuove tecnologie e metodi di produzione, etc;.
Crescita solidale: costruire un'economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale, anche attraverso l'investimento in competenze e formazione, la modernizzazione dei mercati del lavoro e i sistemi previdenziali;
[4] vedi Pieluigi Sacco “Cultura e Fondi Strutturali in Italia” EENC Paper – giugno 2012
[5] Tra queste alcune ambiguità di articolazione delle responsabilità nel circuito programmazione ed attuazione dei Fondi Strutturali, tra amministrazioni centrali e Regioni che lasciano supporre che ci sia maggiore efficienza nelle prime cosa tutt’altro che facile da dimostrare…
[6] ma ritengo anche nell’impostazione europea più in generale, contribuendo, come autorevole Stato membro dell’UE, alla riapertura di un dibattito esteso sul ruolo della Cultura nelle politiche di Coesione