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La ceramica si riscatta

  • Pubblicato il: 04/07/2014 - 12:46
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Raffaella Roddolo

Faenza (Ra). Scriveva Flavio Fergonzi nel 1986, a proposito del Martini ceramista degli anni Venti, che non solo l’esperienza risultò «nodale per l’arte futura» dello scultore, con un «ricambio continuo», in termini di reciproche influenze, tra le grandi sculture e le ceramiche, ma avviò «una vera e propria riconsiderazione» sul ruolo di questa tecnica promossa, grazie anche all’artista trevigiano, da produzione industriale ad «artistica in assoluto».
Sono lontani, insomma, i tempi delle «stupide bamboline» stigmatizzate da J.J. Winckelmann e di tanta produzione di discutibile gusto che ha costellato questo versante. La mostra«La ceramica che cambia», aperta alla Fondazione Mic di Faenza dal 27 giugno al primo febbraio 2015, prende spunto proprio dalla recente esposizione su Arturo Martini tenutasi nello stesso museo e al bolognese Palazzo Fava per indagare l’evoluzione storico-artistica del linguaggio ceramico italiano nel dopoguerra.
«Un lungo excursus, spiega la curatrice Claudia Casaliche partendo da tre importanti opere martiniane, “L’aviatore” e “La veglia”del 1931, e “La zingara” del 1933-35, passando attraverso Marini, Melotti, Leoncillo e Fontana arriva sino ai nostri giorni con Ontani, Paladino, Bertozzi&Casoni, per citare i più noti, secondo un ordinamento tematico, legato alle poetiche di ciascun artista». Così figurazione, Informale, Minimalismo, Arte concettuale
e Pop art sono le tendenze che emergono in circa 120 opere di 80 artisti, di cui 70 lavori provenienti dagli archivi del Mic (nella foto, «Scultura» di Fausto Melotti, 1950- 59) e 50 da collezioni private. Opere note, come le «Sfere» di Fontana, ma anche rarità, quali alcune sculture di Salvatore Meli non esposte da quarant’anni o un inedito di Asger Jorn del 1972, segnalato dalla Casa museo Jorn di Albisola, inaugurata lo scorso 4 maggio. In catalogo (edito da Gli Ori) testi
di Claudia Casali, Cecilia Chilosi, Flaminio Gualdoni e Nico Stringa.

da Il Giornale dell'Arte numero 343, giugno 2014