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La «Grande Transizione» verso un nuovo patto sociale

  • Pubblicato il: 15/06/2015 - 12:30
Rubrica: 
SPECIALI
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita

SPECIALE DEMOCRAZIA. Uno studio recente dal titolo «People, planet, power. Towards a new social settlement», a cura della New Economics Foundation, invita a riflettere sulle conseguenze di una società basata sulle disuguaglianze di reddito e di opportunità per immaginare un nuovo assetto economico. In tale processo, la cultura può giocare un ruolo determinante per promuovere una maggiore coesione sociale e istituire un nuovo accordo tra le persone e lo stato
 
 
La New Economics Foundation (NEF) è il principale laboratorio d'idee del Regno Unito dedicato alla promozione della giustizia sociale, economica e ambientale. Organismo indipendente e apartitico, la NEF persegue l'obiettivo di porre l'economia al servizio delle persone e del pianeta e crede che per farlo sia necessario compiere una «Grande Transizione» verso un nuovo sistema economico, capace di migliorare la qualità della vita attraverso l'adozione di soluzioni innovative che sappiano sfidare il pensiero comune e le teorie economiche tradizionali. Tra i più recenti lavori di ricerca condotti dalla Fondazione, un posto privilegiato è occupato dallo studio intitolato «People, planet, power. Towards a new social settlement»[1], che cerca di tracciare le linee guida per la definizione di un nuovo «patto sociale», ossia per la costruzione di un nuovo accordo tra le persone sul modo in cui interagiscono le une con le altre e con le istituzioni governative.
 
Con l'intento di rispondere al quesito sul tipo di società che vogliamo per il nostro futuro, il rapporto individua tre grandi risultati da raggiungere nel medio periodo, che possono essere riassunti nell'ottenimento: di una maggiore giustizia sociale, di una più efficace sostenibilità ambientale, e di una più equa distribuzione del potere. Tali capisaldi si declinano a loro volta in un set di obiettivi che evidenziano alcune problematiche cruciali, troppo spesso ignorate dal dibattito corrente, quali l'allargamento delle disuguaglianze sociali, l'accelerazione delle minacce all'ambiente naturale e l'accumulazione di potere da parte delle élite benestanti. Come sottolineato dallo studio «queste tematiche non possono essere affrontate separatamente. Esse sono profondamente connesse e interdipendenti. Per costruire un nuovo accordo sociale, abbiamo pertanto bisogno di cambiare i sistemi e le strutture nel medio e lungo periodo piuttosto che cercare soluzioni tecniche a problemi immediati».
 
Citando i risultati a cui è giunta una ricerca condotta da Oxfam, network internazionale contro la povertà e l'ingiustizia[2], il rapporto afferma che «l'attuale modello economico del Regno Unito è, in molti modi, sia non sicuro da un punto di vista ambientale sia ingiusto da un punto di vista sociale». La NEF sottolinea come la disuguaglianza economica nel Regno Unito sia giunta oggi ai suoi massimi livelli storici. La concentrazione della ricchezza tra l'1% e il 10% più ricco della popolazione è cresciuta a partire dal 1970, e adesso l'1% più ricco possiede una ricchezza superiore a quella posseduta complessivamente dal 50% più povero. La NEF prevede che la disparità di reddito sia destinata ad aumentare, dal momento che i redditi più elevati si riprenderanno dall'attuale crisi finanziaria mentre le misure di austerità tenderanno a ridurre le forme di protezione a sostegno dei gruppi a basso reddito. Se la retribuzione media dei top manager bancari è crescita del 10% nel 2013, il numero di pasti somministrati alle persone povere è aumentato del 54% nel solo Regno Unito.
 
L'accettazione del compromesso tra uguaglianza e crescita ha fatto sì che la disuguaglianza sia stata per molto tempo un argomento tabù, di cui gli economisti hanno preferito non parlare. È stato proprio Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l’Economia nel 2001, ad affermare - durante la lectio magistralis che ha tenuto a fine maggio presso il Festival dell'Economia di Trento - che molti economisti pensavano che fosse sbagliato parlare di disuguaglianza, considerata la questione più controversa di cui un economista si potesse occupare, motivo per cui è stata a lungo trascurata non solo negli Stati Uniti ma anche in numerosi paesi europei. La sorprendete conclusione a cui si è giunti è che attualmente Stati Uniti, Regno Unito e Italia sono i tre Stati, tra i paesi industrializzati, con la più alta disparità di reddito tra le famiglie. I dati mostrati da Stiglitz nel corso del suo intervento, restituiscono una fotografia poco rassicurante della società contemporanea: negli Stati Uniti infatti il reddito medio di un lavoratore uomo a tempo pieno adesso è più basso rispetto a 40 anni fa e al contempo i salari reali minimi, tenuto conto dell'inflazione, risultano essere inferiori se paragonati con quelli di 60 anni fa.
 
Un divario profondo tra differenti fasce di popolazione che evidenzia una stretta correlazione tra disparità di reddito e disparità di opportunità, che fa sì che la mobilità sociale sia fortemente compromessa all'interno di un sistema in cui le prospettive future di un giovane dipendono in misura preponderante dal reddito e dal livello di istruzione dei propri genitori, piuttosto che dalle possibilità offerte dal quadro istituzionale in termini di parità di accesso all'istruzione e al mondo del lavoro. Come ironicamente suggerisce Stiglitz, la decisione più importante che un ragazzo deve compiere in tutta la vita è quella di scegliere i genitori giusti, perché se sbaglierà tale scelta tutto il resto andrà storto. Detto altrimenti, «la mancanza di opportunità significa che sprechiamo le nostre risorse più preziose, significa che se una persona non nasce in una famiglia ricca probabilmente non potrà sviluppare tutte le sue potenzialità». Il famoso «sogno americano» si è infranto decenni fa e questa dovrebbe essere una enorme preoccupazione in quanto, non solo in America ma anche in Italia e nel Regno Unito, si rischia di incorrere in un incremento della segregazione sociale che si traduce a sua volta in una contrapposizione crescente tra persone ricche e persone povere, acuendo ulteriormente le disparità di reddito e azzerando le aspirazioni delle fasce più deboli della popolazione[3].
 
Al contrario, l'UNESCO afferma che una società può essere definita inclusiva quando si presenta come «una società per tutti, in cui ciascun individuo gioca un ruolo attivo. Tale società si basa sui valori fondamentali di equità, uguaglianza, giustizia sociale, diritti umani e libertà, e sui principi di tolleranza e accettazione delle diversità. Una società inclusiva dovrebbe essere fornita di strumenti appropriati, capaci di coinvolgere tutti i cittadini nei processi decisionali che generano ricadute sulle loro vite e sul loro futuro»[4].
 
La creazione di «capacità» - ossia di «opportunità di scegliere e agire» secondo la definizione di Martha C. Nussbaum, docente di Law and Ethics presso l’Università di Chicago – e il raggiungimento di una maggiore coesione sociale risultano essere strettamente connesse alle risorse umane e culturali che animano le relazioni e la quotidianità degli individui. Nello scenario contemporaneo, la cultura, le conoscenze, le competenze, le esperienze e le emozioni sembrano non servire più e sono regolarmente sottovalutate e sottoutilizzate, in quanto difficili da misurare e valutare. Come messo in evidenza dalla Nussbaum nel suo libro «Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica», i sostenitori dell'attuale paradigma economico non solo considerano le arti e gli studi umanistici inutili e costosi – per cui degni di subire tagli sostanziali in tempi di crisi - ma li reputano addirittura pericolosi, in quanto costituiscono una minaccia al progredire di una società fondata sulle disuguaglianze. In virtù della loro propensione a dotare i cittadini di una coscienza critica e di un profondo senso di empatia nei confronti dell’altro, la Nussbaum assegna all’arte e alla cultura il ruolo di «rafforzare le risorse emotive e immaginative della personalità garantendo quella comprensione di se stessi e degli altri», indispensabile per maturare la nozione di rispetto su cui è costruita ogni società coesa e inclusiva. Di fronte al proliferare delle disparità, la cultura può essere la chiave per garantire una maggiore inclusione sociale ed elaborare una nuova idea di progresso.
 
Se si assume che la disuguaglianza sia una scelta derivante da una serie di politiche sbagliate, allora diviene necessario immaginare dei correttivi strutturando la propria economia sulla base di un diverso impianto normativo e istituzionale. In questa direzione va lo studio della NEF che intende raggiungere un quadruplo ordine di obiettivi:

  • elaborare un piano per la prosperità che sia indipendente dalla crescita economica;
  • spostare gli investimenti e le azioni a monte al fine di prevenire i danni invece di affrontare le conseguenze;
  • valorizzare e rafforzare l'economia di base della cooperazione e le connessioni sociali e culturali da cui dipendono le nostre vite;
  • incrementare la solidarietà, comprendendo quanto dipendiamo gli uni dagli altri per raggiungere i nostri risultati.

 
Con l'intento di portare a compimento la transizione verso un innovativo sistema economico, la NEF individua alcune modalità di intervento che poggiano le loro fondamenta su quattro assi prioritari, che si concretizzano: in un miglior equilibrio tra tempo di vita e tempo di lavoro; in un uso più idoneo delle risorse umane e del capitale culturale; in un rafforzamento della sicurezza sociale; e nel garantire un futuro sostenibile.
 
Rendere possibile il passaggio graduale verso le 30 ore di lavoro settimanale quale nuovo standard del lavoro dipendente, diffondere i principi alla base della sharing economy, cambiare le modalità in cui i servizi pubblici sono commissionati e offerti, promuovere politiche a favore dell'ambiente, incoraggiare la cultura e la creatività, sono solo alcune delle azioni descritte dallo studio della NEF per riscrivere le regole del gioco e stimolare il dibattito, non solo nel Regno Unito ma anche al di fuori dei confini inglesi.
 
In tale processo, la cultura occupa una posizione privilegiata grazie alla sua capacità di trasmettere conoscenza, competenze e valori. Promuovendo la tolleranza, la diversità e la libertà di espressione, la cultura è un potente catalizzatore della coesione sociale, del benessere e della sostenibilità. Come osserva l'UNESCO, oggi le società di tutto il mondo stanno sperimentando una progressiva disparità di accesso ai servizi e alle risorse, in particolare nei contesti urbani. In quest'ottica, immaginare un nuovo paradigma economico implica attribuire la giusta valenza alle politiche a sostegno della cultura e della creatività, perché è solo attraverso la diffusione della cultura che è possibile formare cittadini che sappiano svolgere appieno il proprio ruolo all’interno della società, e sviluppare le proprie aspirazioni sia a livello individuale che collettivo.
 
Avere la consapevolezza del presente comporta la responsabilità di osservare con la giusta attenzione le sue criticità per trovare un assetto più funzionale di quello attuale. Continuare a fingere di vivere in una società in cui tutti hanno accesso alle stesse possibilità, relegando la cultura in una posizione secondaria, non ci porterà verso un nuovo patto sociale, ma verso una società ancora più iniqua. E questo è un rischio che non possiamo più permetterci di correre.
 
 
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[1]    New Economics Foundation (2015), People, planet, power. Towards a new social settlement. Disponibile online al seguente link http://b.3cdn.net/nefoundation/eafb0135c69d8a9152_yum6bt9zh.pdf

[2]    Sayers, M. (2015). The UK Doughnut: a safe and just operating space for the UK. Oxfam, in corso di pubblicazione.

[3]    Festival dell'Economia di Trento, 29 maggio – 02 giugno 2015. INET LECTURE. La grande frattura: nuove prospettive sulla disuguaglianza e su come ridurla. Relatore: Joseph E. Stiglitz; moderatore: Tito Boeri. Il podcast della lecture è disponibile online al seguente link http://2015.festivaleconomia.eu/documents/10181/60317/inet-la-grande-lettura-ITA/3c0b1b2b-67c9-456c-8b13-e5343493b0be?version=1.1

[4]    UNESCO (2013), Culture: a Driver and Enabler of Social Cohesion. Disponibile online al seguente link http://www.unesco.org/new/fileadmin/MULTIMEDIA/FIELD/Apia/pdf/CultureDriverEnablerSocialCohesionENG.pdf