L’Italia agli Italiani. Istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale
«Il nostro secolare sistema di tutela richiede una riforma radicale, che ne preservi i meriti storici e rimuova le circostanze che hanno generato i demeriti all’origine della sua attuale crisi. Un nuovo ‘servizio di tutela’ richiede la partecipazione di più attori e un ribaltamento di rapporti fra Pubblica Amministrazione e cittadinanza» - Prof. Daniele Manacorda
La Dialettica
Il Prof. Daniele Manacorda inserisce il suo nuovo libro all’intero dell’ampio dibattito che riguarda il patrimonio storico-artistico Italiano chiarendo sin dalla premessa le motivazioni che lo hanno spinto a mettere su carta il proprio punto di vista.
Poco più di un anno fa, il Prof. Tomaso Montanari presentava a Roma «Istruzioni per l’uso del futuro»» (Minimum Fax, 2014) testo nel quale l’autore affronta i nodi centrali legati al tema della gestione e valorizzazione del patrimonio culturale Italiano.
In quell’occasione, tra la platea era presente anche l’Archeologo Daniele Manacorda, che dei dubbi nati quel giorno riguardo le posizioni dello storico dell’arte ha deciso di scrivere in un libro che fosse in grado di proporre una visione alternativa.
Per comprendere quanto sia importante leggere questo testo in una prospettiva dialettica basta osservarne la struttura stessa: dopo un approfondimento interamente dedicato a mettere le basi per un confronto con il volume di Montanari, evidenziando punti di accordo, disaccordo, contradizioni e carenze delle sue posizioni, Manacorda riprende il modello del lemmario per declinare e approfondire le sue opinioni.
La visione, tra critiche e proposte
Ma attraverso quale parabola le «Istruzioni per il patrimonio» di Montari diventano per Manacorda ostruzioni? Essenzialmente la critica si rivolge alla posizioni eccessivamente conservatrici dello storico dell’arte: «conservatrici perché alle giuste denunce del degrado del patrimonio, si accompagna in genere una difesa senza ma e senza se dello status quo, non solo per quanto riguarda le norme, ma finanche le strutture organizzative della tutela, ritenute intoccabili».
Se Montanari si definisce consapevole portatore di un messaggio controcorrente, in un periodo storico in cui «l’intera scena politica italiana sembra, infatti, caratterizzata da un unico estremismo: quello antistatale», Manacorda sottolinea la necessità di evitare cortocircuiti semantici tra il concetto di Stato e il concetto di Repubblica ed esprime una visione più liberale e favorevole ad un’evoluzione del settore.
Un’evoluzione che deve passare attraverso un pacchetto organico di proposte innovative che mettano da parte un passato idealizzato e conservatore, «per aprirsi a quanti operano generosamente nel mare della società civile, con tutte le sue sfaccettature, anche quelle che sembrano stare dalla parte opposta del poliedro in cui operiamo».
Se i due accademici concordano sull’importanza di dover restituire agli Italiani la consapevolezza del proprio patrimonio che deve essere pensato «non come qualcosa che si visita, ma come qualcosa che ci contiene» al quale essere ricondotti e riconnessi attraverso la conoscenza, Manacorda calca la mano rispetto alla necessità di assumere una visione olistica che consideri i beni culturali come «occasione e strumento di produzione di ricchezza attraverso lo stimolo delle più varie attività economiche».
Per far ciò, ribadisce Manacorda, è fondamentale andar oltre a quello che identifica come un «problema apparentemente terminologico» che riguarda l’atteggiamento di Montanari e di molti altri: «verso la parola privato e conseguentemente, verso il ruolo dei privati nei confronti del patrimonio».
Pur concordando nella necessità di un Ministero autorevole che, come auspica Montanari: «sappia rapportarsi ai privati da una posizione di forza», Manacorda si chiede se la crisi epocale che investe la finanza pubblica non possa anche essere «un’occasione autentica per poter pensare a modelli alternativi di gestione sociale del patrimonio», non è proprio durante i momenti di crisi che emerge l’interesse per il bene comune e fioriscono le innovazioni?
Manacorda esplora nel testo le molte falle gestionali a cui il patrimonio è sottoposto, si indigna nei confronti della macchina burocratica incapace di assumere una visione organica e sempre limitante per chi opera nel settore. Richiama il mondo accademico, affinché scenda dal piedistallo per condividere la conoscenza e confrontarsi con i bisogni sociali e di consumo culturale reali ed esprime il desiderio di veder nascere processi collaborativi, basati sul dialogo intersettoriale e multidisciplinare e sui quali far crescere alleanze strategiche allargate.
Ripercorrendo e rivisitando i lemmi proposti dal suo interlocutore, Manacorda costruisce un inno al cambiamento radicale, all’innovazione consapevole ma coraggiosa e invita, citando Einstein, a finirla con «l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla».
Daniele Manacorda (Roma 1949) è Professore ordinario di Metodologia e tecnica della ricerca archeologica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma Tre. Per Laterza ha pubblicato «Lezioni di archeologia» (terza ed., 2015) e «Prima lezione di archeologia» (sesta ed., 2012).
© Riproduzione riservata