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L’esilio felice di Boetti & C.

  • Pubblicato il: 11/01/2013 - 01:36
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Federico Castelli Gattinara,
Francesco Clemente e Alighiero Boetti

Roma. «Alighiero Boetti a Roma», curata da Luigia Lonardelli e allestita al MaXXI dal 23 gennaio al 6 ottobre, è una mostra a tesi che nasce dal comodato per cinque anni didue grandi carte di Boetti concesse dal figlio Matteo. Per esporle, data l’assenza di una mostra permanente della collezione e dopo le polemiche che hanno accompagnato la recente retrospettiva internazionale che ha ignorato l’Italia, «ci siamo imposti di trovare un taglio molto preciso, spiega la Lonardelli. Sono partita dal trasferimento di Boetti a Roma, un evidente allontanamento dal gruppo torinese. I motivi, però, lui non li chiarì mai». Da qui l’indagine che mette in relazione tre grandi personalità, Boetti, Luigi Ontani e Francesco Clemente, tre amici, tre «stranieri» a Roma.
Clemente arriva diciottenne nel 1970 e i primi due anni sta sempre insieme a Ontani che lo presenta a tutti; quando conosce Boetti, trasferitosi nel 1972 e di 10 anni più vecchio, diventa suo discepolo. La Roma disordinata e disorganica di quegli anni, fuori dall’ideologismo poverista che dominava a Torino, e dove già germinava l’arte che avrebbe dominato i postmoderni anni Ottanta, permette a Boetti (di sicuro il meno allineato, nel gruppo teorizzato da Germano Celant, ai rigori concettuali degli anni Settanta) e agli altri di liberarsi. «Quello che vorrei far emergere, dice la curatrice, è soprattutto la carica barocca, di colore, di forme, che caratterizza queste tre figure indipendenti e anche disimpegnate, la loro ricerca tutta interiore, personale», di certo molto eretica, a lungo rimossa, accomunata pure dalla passione per l’Oriente per quanto in modi diversi. Di Clemente non a caso arrivano quattro lavori precedenti al periodo transavanguardista, molto rari nelle collezioni italiane. Lui stesso, peraltro, aveva esordito in ambito concettuale con opere fotografiche. L’incontro con Boetti, nel 1974, culminerà in un viaggio insieme in Afghanistan e per Clemente si tratterà, dopo l’India (che diventerà per lui una sorta di seconda patria artistica), di un’autentica rivelazione. Le opere di Ontani provengono dal suo studio, ma anche da altre raccolte, la Calabresi per esempio, ma ci sono anche il «Krishna» di Fabio Sargentini e «Cristo sulle acque» realizzato a Madras, il tutto allestito con l’artista sopra una parete con tappezzeria «ontaniana».
Di Boetti si vedono due opere dedicate a una riflessione sul colore già prima del 1972, «Mimetico» del MaXXI e un «Monocromo rosso» ancora poverista, le due «Orme» in comodato e un prestito prezioso da Caterina Boetti, la seconda moglie dell’artista, un lavoro gigantesco composto da 51 arazzi realizzato insieme al suo maestro sufi con versi in farsi e frasi di Boetti. Sono inoltre allestiti cinque elementi ritrovati del fregio della sala della Biennale di Venezia del 1990, due «Mappe» di cui una inedita del 1984, uno dei primi «Tutto», le «Faccine» nella versione di proprietà della figlia Agata e altro. E a segnare il mito di Boetti che continua tra i più giovani artisti, ecco infine l’opera di Jonathan Monk dedicata ai laghi di Band-e Amir in Afghanistan (2004) dove l’artista, scomparso nel 1994 a 54 anni, voleva fossero disperse le sue ceneri.

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da Il Giornale dell'Arte numero 327, gennaio 2013