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L’artista apolide in un museo carcere

  • Pubblicato il: 08/03/2013 - 10:23
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Federico Castelli Gattinara

Roma. «Le mie opere affrontano le trasformazioni spazio-temporali. Ma è un risultato al quale si arriva naturalmente se lavori con gli strumenti e nel modocon cui lavoro io, cioè principalmente strumenti basati sul tempo: il film e il video. È inevitabile quindi che io ragioni sul tempo, sul tempo soggettivo, sul “tempo reale”, sulla storia e sulla memoria come se fossero la mia “vernice e pennelli”». Così parla Fiona Tan che dal 21 marzo al 9 settembre allestisce al MaXXI la sua prima personale in un museo italiano, dove presenta in prima assoluta il nuovo lavoro «Inventory», prodotto col contributo di Philadelphia Art Museum e Mondriaan Foundation Amsterdam. L’artista, nata in Indonesia da padre cinese e madre australiana, è cresciuta in Australia e da 25 anni vive e lavora in Olanda: una  condizione biografica, questa, che spiega perché nelle sue prime opere Fiona Tan si definisse «straniera professionista». Se sono indubbi gli aspetti multiculturali e nomadi della sua arte, nella mostra romana sembra emergere un inedito filo rosso con l’architettura.
«Inventory» è un’opera sulla casa museo londinese dell’architetto neoclassico John Soane e sulla sua caotica raccolta, testimonianza della sua passione per Roma antica. Il lavoro della Tan prima di tutto affronta il concetto di «medium», la matericità delle sue sei riprese effettuate con mezzi differenti (35mm, alta definizione ecc.) e proiettate direttamente a parete in una sorta di collage di circa 9x5 metri. La mostra parte dalla sala Gian Ferrari al piano terra con «Correction» (2004), anch’essa composta da sei proiezioni ma disposte a esagono ispirandosi al Panopticon, il carcere ideato nel 1791 da Jeremy Bentham dove un solo guardiano riusciva a sorvegliare tutti i prigionieri. Nella Galleria 5, al II livello, «Inventory» è affiancata da «Disorient», riflessione visiva su Venezia partendo dai diari di Marco Polo, e «Cloud Island» sull’isola giapponese di Inujima e le sue rovine industriali. Concludono sei incisioni scelte dalle «Carceri» di Piranesi. Il fitto intreccio di rimandi con l’architettura è continuo e voluto in tutto il percorso, senza però ingaggiare «un braccio di ferro con gli spazi insoliti del museo della Hadid, che l’artista non ha modificato, poiché la separazione tra installazioni avviene solo tramite l’orientamento degli schermi, mentre il sonoro è in cuffia wireless.
Dal 22 marzo al 29 settembre, per MaXXI Architettura, «Energy», a cura di Pippo Ciorra, affronta invece il tema dell’influenza dell’energia nella configurazione dello spazio fisico abitato in tre grandi sezioni dedicate al passato, con «architetture di strada» italiane del dopoguerra, al presente, attraverso l’obiettivo dei fotografi Paolo Pellegrin, Alessandro Cimmino, Paola Di Bello, e al futuro, con i progetti di sette studi internazionali.

da Il Giornale dell'Arte numero 329, marzo 2013