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Intervista a Sergio Chiamparino, sindaco della Città di Torino dal 2001 al 2011

  • Pubblicato il: 27/05/2011 - 07:12
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Umberto Allemandi
Sergio Chiamparino

Sindaco Chiamparino, durante i dieci anni del suo mandato come sindaco che l’hanno resa uno degli uomini politici più popolari d’Italia, con un altissimo indice di gradimento, Torino ha avuto una storia esemplare con due grandi fondazioni di origine bancaria, molto attive nel settore culturale, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione CRT, in passato spesso alleate. Quale deve essere la posizione di un’amministrazione pubblica nei confronti delle fondazioni?
I fatti parlano da sé: ne abbiamo due tra le principali, alle quali si aggiungono, se parliamo del Piemonte, numerose fondazioni di casse di risparmio, attivissime soprattutto nel sud della Regione. Sono essenziali per la comunità specialmente nel campo sociale e culturale. Senza i loro finanziamenti crescenti molte iniziative non si sarebbero realizzate, molti servizi sociali si sarebbero ridimensionati. Con il tempo sono diventate sempre più autonome nella programmazione, dialogando da pari a pari con Comune, Regione, Provincia e altri enti; non intervengono solo con finanziamenti, ma con una propria progettualità, come la Fondazione CRT, con le OGR, per farne una struttura al servizio della ricerca, della produzione artistica.

Vede problemi nella gestione diretta dei loro interventi?
È chiaro che quando un ente come una fondazione assume in proprio la gestione di un progetto, debba vedere riconosciuta l’autonomia, poterlo gestire e poter scegliere le persone adatte, sempre in una logica di concertazione di una politica culturale e sociale in stretto rapporto la città.

Torino è stata modello per i rapporti delle due fondazioni con la città. C’è stato un momento in cui le due fondazioni collaboravano, e ora?
Ora c’è una specializzazione. Ogni fondazione tende a privilegiare ambiti di intervento specifici. E c’è un’esperienza ormai decennale di rapporto nella gestione dei principali pro- getti riguardanti i principali beni culturali torinesi, con strutture in cui le fondazioni di origine bancaria concorrono come partner di prima grandezza, come nel Museo del Cinema o nel Museo Egizio.

Nelle grandi difficoltà finanziarie in cui le amministrazioni pubbliche si dibattono, avete accordi specifici con le fondazioni?
È prassi che le fondazioni presentino ogni anno un piano autonomo e noi il nostro programma, per valutare le zone di possibile incontro e sovrapposizione.

Le fondazioni di origine bancaria sono privatistiche. I rapporti tra Stato, amministrazioni locali e fondazioni dovrebbero essere regolati diversamente?
Penso che la migliore ipotesi sia che rimangano strutture di interesse pubblico, ma con la definizione privatistica della propria operatività, del proprio carattere, il che consente la flessibilità di gestione, la tempestività che non possono avere coloro che sono sottoposti alle regole dello Stato. Il loro grande problema strategico è soprattutto il loro asset patrimoniale: se continuare a essere o meno azionisti di riferimento di importanti banche, o se invece diversificare maggiormente... È una scelta molto difficile. Tenere bloccate risorse cospicue in una banca non è detto che sia il miglior investimento, ma in questi anni di crisi le fondazioni hanno garantito un sostegno pronto e leale al sistema bancario, asse fondamentale dello sviluppo economico. Non è detto che ci sarebbe stato se gli azionisti, per esempio, fossero stati dei fondi.

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(X Rapporto Annuale Fondazioni)