Impara a nuotare o anneghi
La prima conversazione che vi offriamo è con Alberto Masetti, presidente e fondatore di HUB-Milano, che da un messaggio alle istituzioni culturali.
Hub è un luogo di lavoro e co-working, dove imprenditori, professionisti, creativi persone che vogliono realizzare idee, trovano una rete di contatti, strumenti e metodi per sviluppare il proprio progetto innovativo, basato sulla sostenibilità economica e sociale. Con il motto «un altro mondo è possibile», nel 2008 Alberto Masetti, dopo una lunga esperienza nella cooperazione internazionale e nella rete di HUB Londra, città dove vive ancora, ha fondato il primo HUB a Milano, portando la filosofia del network internazionale di incubatori di imprese sociali in Italia, introducendo il tema dell'innovazione sociale. Da allora 7 sono gli HUB nati in tutta Italia, dove molte idee hanno trovato il terreno giusto per svilupparsi.
Qual’ è la tua idea di innovazione ?
Il mio contesto di riferimento è quello dell'Innovazione sociale, spina dorsale del progetto HUB. Mi guidano le definizioni date da Geoff Mulgan nel «Libro Bianco sull'Innovazione Sociale» o nel suo libro «Cos'è l'Innovazione Sociale e come si può accelerare». In passato i processi innovativi erano esclusivamente legati al mercato (creazione di prodotti e servizi nuovi), oppure alle scoperte scientifiche (con rare ricadute sociali). Ora il concetto di innovazione abbraccia il tema del Welfare e non si limita più e solo al Terzo settore, ma si è aperto al Settore Pubblico. Quando oggi parliamo di innovazione sociale ci riferiamo a progetti a favore del sociale e dell’ambiente, dove la finalità è ben dichiarata e trasparente: attenzione agli impatti sul benessere del cittadino, delle minoranze, delle fasce deboli, degli immigrati, dei disoccupati e sull’ambiente tutto quello che riguarda il riciclo, la riduzione dei rifiuti, l'inquinamento, i cambiamenti climatici, l'energia rinnovabile, la mobilità e smart cities.
L’innovazione sociale inoltre si raggiunge attraverso un modo distintivo, ovvero la partecipazione degli attori stessi. Un esempio è l’esperienza di Social Innovation Camp, con cui abbiamo fatto un progetto co-finanziato dalla Fondazione Cariplo e da UniCredit Foundation: abbiamo identificato sei idee promettenti, capaci di risolvere positivamente sei problematiche di natura sociale, ambientale o culturale sul territorio, attraverso tecnologie in rete.
L'aspetto «in rete» è fondamentale: non si tratta di una tecnologia nel senso classico di techné greca, ma frutto dell’interazione e contributo di più persone. Credo che ci sia vera innovazione sociale quando problemi comuni vengono risolti da soluzioni frutto di aggregazione di menti.
Come definisci l’innovazione culturale?
Difficile definire l’innovazione culturale: usare nuove tecnologie molto evocative come «3D mapping», o come l'intervento sull'«Ultima Cena» di Veronese di Greenaway a Venezia – è innovazione applicata alla cultura. Ma per perseguire l'innovazione sociale, con approcci culturali, non si deve perdere di vista la finalità sociale.
È un territorio inesplorato e poco definibile, per scarsità anche di esempi. Ho in mente il caso del fotografo francese JR, nato come reporter delle banlieue di Parigi, e diventato un caso per il suo inedito metodo comunicativo. Con azioni simili a quelle della street art, ha tappezzato i quartieri chic di Parigi dei ritratti delle persone che vivono nelle banlieu, tradizionalmente associate a un’immagine di pericolo e illegalità. Da una prima azione, ha sviluppato diversi progetti sociali con l’uso delle arti visive, come «Women are heroes» negli slum vicino a Nairobi. L'arte ha moltiplicato 100 mila volte il potere comunicativo di quanto facciano le ONG specializzate.
Sicuramente c'è un interplay tra innovazione sociale e innovazione culturale.
Però nel settore culturale deve ancora emergere una grande storia di innovazione sociale.
Perché ritieni non sia innovativa la Cultura in Italia?
All’estero non esiste dicotomia tra economia e cultura, perché esiste un’indole imprenditoriale anche in questo settore. Mentre in Italia, dove la forte tradizione culturale è legata al finanziamento pubblico, questa indole non si è mai sviluppata.
In the Hub arrivano tanti giovani ancora oggi (24/25 anni)con bellissimi progetti di natura culturale, che risolvono il tema della sostenibilità economica, pensando di richiedere fondi dal Comune di Milano o dalla Fondazione Cariplo. Non è la soluzione.
A mio avviso dobbiamo lavorare sull'educazione alla cultura. Dobbiamo evolvere e trovare nuove soluzioni. Il nostro patrimonio artistico, che il mondo ci invidia, deve essere valorizzato. Esiste un mercato legato alla cultura fuori dall’Italia, che funziona. Perché non può funzionare da noi? Siamo un po’ ossessivi nel nostro spirito di «conservazione»: dobbiamo saper selezionare le priorità. Diamo valore al vero valore e concentriamo le risorse. Creiamo una generazione nuova di imprenditori. Inventiamo nuovi lavori per rigenerare il tessuto economico: il collasso è dovuto alla mancata evoluzione. I giovani escono dalle università con aspettative che non trovano riscontro nel mondo reale.
In fondo gli imprenditori sono i driver del cambiamento, dello sguardo che va al di là dei propri confini. Il momento è fertile perché sta crescendo una generazione di giovani internazionali che studiano all’estero, che si muovono. Richiamarli a lavorare in Italia, dando loro spazio di crescita, può bloccare l’emorragia che stiamo vivendo nel nostro tessuto sociale.
Non basta lanciare sporadici bandi: il cambio è di prospettiva, va creato il terreno di attecchimento, alleggerendo le normative sull’impresa, incentivando, spostando finanziamenti. Oggi è una follia investire in Italia, perché ci sono enormi ostacoli da superare per fare impresa. Allora, in questo contesto, la cultura gioca un ruolo centrale nella costruzione delle nuove generazioni e degli strumenti necessari ad affrontare la società odierna. Devono trovare spazio nuovi metodi, come la team academy, ovvero un apprendimento basato sul realizzare concreto di progetti.
Così si rende un pò più permeabile il mondo tra educazione e lavoro.
Alle organizzazioni culturali invece direi: «o impari a nuotare o anneghi», perché molte di loro consumano risorse senza restituire valore e hanno assunto forme da mastodonti ingombranti, che oscurano le nuove iniziative. Anche le aziende a partecipazione pubblica dovrebbero rivedere il proprio statuto: non si può chiedere sempre e solo al privato di colmare i buchi.
Dall’anno della vostra nascita (2008), come HUB ha contribuito in Italia al dibattito sull’Innovazione?
È una domanda difficile e non voglio rischiare di essere presuntuoso.
Posso dire che 4 anni fa il tema dell'innovazione sociale era molto circoscritto, mentre oggi è trasversale a tanti contesti. Nel 2008 siamo stati i primi a introdurre l’esperienza internazionale di HUB in Italia, con il tema dell’innovazione sociale. Da allora abbiamo stimolato dibattiti con altri attori. Abbiamo dato origine a 7 HUB sul territorio italiano. Quante organizzazioni si strutturarono su una rete territoriale così? Poche. La maggioranza tende a presidiare i grandi centri urbani, Roma e Milano.
Invece noi siamo su tutta la penisola: questo ci da forza. Siamo partner del Premio Marzotto di quest'anno dove offriremo una serie di servizi a start up innovative a livello sociale. I membri della nostra rete beneficiano a vario titolo di servizi che vanno dalla disponibilità di uno spazio di lavoro, a servizi di natura più programmatica, educativa o di formazione , come gli HUBLab, che sono workshop cooperativi dove cerchiamo di dare vita a nuove progettualità lavorando insieme in modo trasversale, attraverso la partecipazione.
Stiamo costruendo capitale sociale, attraverso le esperienze progettuali che lavorano in rete con noi. The HUB non è un incubatore tradizionale, ma un eco-sistema, sempre in evoluzione, basato sulle persone che lo vivono e agiscono, capace di fare rete, di mettere in connessione. Se guardo all’Italia, vedo che quanto costruito negli ultimi 20 anni, è stato spazzato via in un soffio.
Quali altri attori sono attivi come the HUB?
Posso citare Lama a Firenze, cooperativa che fa sviluppo e imprenditoria sociale, in particolare giovanile. The HUB Rovereto, molto attivo sull’innovazione culturale. All'estero decisamente Nesta; a Parigi Les Comptoires de l'Innovation. A San Francisco, Bay Area, incubatore artistico, nato nella rete the Hub con l'idea di aggregare giovani talenti e dargli uno spazio di sviluppo personale.
Sostenete progetti a tema culturale?
In questo momento stiamo lanciando il progetto HUB2HUB, finalizzato a identificare idee culturali di successo da replicare in altri paesi europei.
HUB2HUB è uno dei primi tre progetti selezionati in Italia per l'IPO Solidale, una nuova forma di sostegno a progetti non profit e culturali lanciata da Fondazione Cariplo, Borsa Italiana e London Stock Exchange Group Foundation. E’ una novità assoluta in Italia: ciascuna società che d’ora in avanti si quoterà in Borsa potrà decidere di supportare uno dei progetti selezionati dalle due Fondazioni.
Nostro compito selezionare le imprese che hanno sperimentato e avviato importanti azioni culturali in alcune città europee e, attraverso un percorso di accompagnamento, facilitare la trasmissione di competenze a team di giovani di altre città europee per replicare e diffondere l’attività. In questa prima fase il progetto punta allo scambio tra Londra e Milano. La potenzialità del nostro coinvolgimento è che attraverso la rete, possiamo raggiungere tutti i paesi del mondo e dunque dare opportunità immediata di scalabilità dei progetti dedicati all’innovazione sociale più meritevoli.
Quali riferimenti bibliografici, siti e piattaforme consigli per esplorare chi lavora sul tema dell’Innovazione?
Social Generation Change è una buona fonte di contenuti e di contatti; Social innovation Europe è un aggregatore di informazioni, notizie, stimoli nell'ambito del sociale in Europa. Anche il Center for Social Innovation di Toronto ha delle belle pubblicazioni scaricabili gratuitamente su come hanno creato il loro centro e hanno fatto tre pubblicazioni con soggetti differenti dove raccontano la storia del Centro.
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