Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Il tempio delle Muse

  • Pubblicato il: 15/06/2018 - 13:02
Autore/i: 
Rubrica: 
MUSEO QUO VADIS?
Articolo a cura di: 
Ludovico Solima, da Opzione Cultura
Riprendiamo le riflessioni che Ludovico Solima ha recentemente pubblicato sul suo blog per rispondere alla domanda su cosa è un museo e verso quali direzioni sta evolvendo.
Rubrica di ricerca in collaborazione con il Museo Marino Marini

In risposta a tali interrogativi, vorrei innanzi tutto osservare che definire un museo potrebbe apparire come un’operazione tutto sommato semplice, ma in realtà semplice non lo è affatto: il museo è infatti un’istituzione che cambia (o dovrebbe cambiare) in modo da tener conto delle dinamiche evolutive del contesto nel quale opera e di cui è esso stesso elemento costitutivo. Il condizionale è d’obbligo perché, qual che sia la definizione di museo alla quale si voglia fare riferimento, esiste molte volte uno scarto significativo tra questa e la realtà effettiva; con la conseguenza che l’idea prevalente di museo rimane il più delle volte un traguardo ideale da raggiungere, piuttosto che l’espressione di un dato di fatto.

Ma andiamo con ordine.

La parola “museo” deriva dal greco museion”, cioè “tempio delle Muse”.

L’Icom (International Council of Museums) ha sviluppato una definizione di museo alla quale ciascun istituto dovrebbe riferirsi, che nella formulazione adottata nel 2007 recita: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto».

Sarebbe interessante soffermarsi ad analizzare in modo approfondito il significato di questa definizione; ma il dato che mi sembra invece interessante sottolineare è che essa  è cambiata più volte nel tempo. Ciò perché si è ritenuto di dover prendere in considerazione alcuni aspetti strettamente legati alla evoluzione della funzione e della identità del museo rispetto ai cambiamenti in atto nella società; ad esempio, nella sua più recente formulazione, è stato introdotto il riferimento alle testimonianze immateriali, che prima non erano state considerate.

Il museo dunque evolve nel tempo, pur preservando alcune sue componenti primarie, che sono: la collezione permanente, espressione del gesto collezionistico che ne ha determinato la nascita; il contenitore, cioè lo spazio fisico in cui si costruisce il messaggio e si realizza il progetto culturale del museo; il personale, depositario delle conoscenze del museo e quindi essenziale per lo svolgimento delle sue funzioni; la domanda, attuale e potenziale, che costituisce la ragione stessa dell’esistenza delle tre componenti precedenti.

In questa prospettiva, le funzioni essenziali del museo sono considerate: la conservazione delle proprie collezioni permanenti; la produzione di nuove conoscenze attraverso il costante svolgimento di attività di ricerca; l’esposizione delle collezioni e la loro valorizzazione attraverso l’attivazione di trame relazionali e di flussi di comunicazione nei confronti della domanda, attuale e potenziale.

Un museo quindi conserva, ricerca ed espone. Viene allora da chiedersi per chi viene fatto tutto questo, chi sono effettivamente i destinatari di queste attività.

E qui è possibile osservare un altro snodo interpretativo: sino a qualche anno fa si faceva riferimento al concetto di pubblico in modo generico e indifferenziato, il che portava a ritenere che l’attività di comunicazione del museo potesse essere quindi altrettanto generica e indifferenziata: ben si può usare, quindi, lo stesso linguaggio per comunicare, allo stesso modo, con tutti i visitatori. Approccio, questo, va riconosciuto con un certo rammarico, ancora largamente diffuso in numerosi musei, italiani ma anche stranieri.

Più recentemente, si è invece fatta strada l’idea che si debba, più correttamente, riferirsi a pubblicidiversi, ognuno dotato di un proprio linguaggio e portatore di specifiche esigenze di conoscenza. In altri termini, ci si è resi conto – ad esempio – che un pannello di sala non possa contemporaneamente rivolgersi in modo egualmente efficace tanto a un bambino, quanto a un adulto ovvero a un anziano; oppure che per un visitatore straniero di un museo italiano non sia sufficiente limitarsi alla traduzione in un’altra lingua dei testi predisposti in italiano, ma occorra tener conto delle specificità culturali delle diverse aree geografiche di provenienza, rielaborando e declinando pertanto i flussi di comunicazione in modo appropriato.

Negli ultimi anni, sia in ambito scientifico che nei musei, è stata poi acquisita la consapevolezza che non è più sostenibile l’equivalenza tra pubblici e visitatori, perché fanno parte dei pubblici anche coloro che non visitano il museo ma che stabiliscono con esso una relazione di tipo digitale, grazie al web e ai social, sempre più diffusi anche in ambito culturale. In questa prospettiva, si è anche fatta strada l’idea che i flussi di comunicazione non vadano considerati solo in senso unidirezionale, cioè dal museo verso i propri pubblici, ma anche in modo multi-direzionale, cioè anche da (e tra) i diversi e multiformi pubblici verso il museo. Il museo ha dunque sviluppato una capacità di ascolto che prima non aveva, che gli permette di recepire stimoli e sollecitazioni dall’esterno, rendendo quindi sempre più permeabili i propri confini.

Altro concetto che ha acquisito importanza nei tempi più recenti è quello dell’accessibilità, l’idea cioè che il museo, essendo un bene di tutti, debba essere effettivamente fruibile da tutti. Ma non è sempre così, purtroppo. I musei sono forse di tutti, ma non sempre sono per tutti. Esistono infatti numerose categorie di pubblici – ad esempio, quelli con disabilità fisiche o cognitive – che spesso rimangono ai margini dell’offerta culturale del museo, malgrado essi abbiano (o dovrebbero avere) pari diritti in termini di possibilità di fruizione. Ragionare in termini di accessibilità (fisica, economica, cognitiva e digitale) vuol dire individuare le barriere che esistono e sforzarsi di abbatterle o, quanto di ridurne l’altezza.

Infine, vorrei provare a sviluppare un’ulteriore riflessione prendendo spunto da alcune recenti esperienze portate avanti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Come ho già avuto occasione di raccontare in un mio precedente articolo su questo blog, nell’aprile del 2017 è stato reso disponibile sui principali app-store un videogioco, denominato Father and Son, che costituisce la prima sperimentazione dell’utilizzo di un’app di gaming realizzata a livello mondiale da un museo archeologico.

I risultati raggiunti sono andati ben al di là delle più rosee aspettative: a fine maggio 2018, quindi a poco meno di un anno dal suo rilascio, il videogioco ha superato il traguardo di 2 milioni di download, con un rating complessivo superiore a 4,6/5 e oltre 400 articoli e recensioni su testate giornalistiche cartacee e digitali, in Italia e nel mondo.

Ma la storia di questa esperienza non si conclude qui. Visto il livello così elevato di apprezzamento, il MANN ha deciso di proseguire la sperimentazione di questo nuovo linguaggio, commissionando un secondo episodio del videogioco, il cui rilascio è previsto entro la fine di questo anno. Inoltre, è stato deciso di realizzare una trasposizione teatrale della narrazione, di trarre da questa rappresentazione una web-series nonché di promuovere la realizzazione di un libro, che rielabori dunque la medesima storia in ambito letterario.

Il MANN, in altri termini, attraverso Father and Son, ha realizzato (e intende realizzare) una molteplicità di prodotti culturali, coinvolgendo peraltro professionalità molto diverse tra loro:

  • un videogioco, con disegni e musiche originali; in questo caso, alla figura del game designer e dei programmatori, si sono aggiunte quella del grafico e quella del compositore;
  • una produzione teatrale, con il coinvolgimento di uno scenografo e di diversi attori;
  • una produzione video da veicolare sui social, affidata a un regista cinematografico;
  • una produzione letteraria, che vedrà il coinvolgimento di un editor e di quattro scrittori.
Tutto ciò consentirà al Mann di disegnare un percorso del tutto originale, ricco di contaminazioni e ibridazioni, che dal reale (il museo) è andato verso il digitale (il videogioco), per tornare al reale (la rappresentazione teatrale e quella letteraria) nonché nuovamente sul digitale (la web series).

Ci sarebbero altri esempi ai quali fare riferimento, ma credo che l’esperienza di Father and Son, tutt’ora in divenire, possa essere sufficiente. Per cosa?

Per concludere queste brevi riflessioni considerando la possibilità che le funzioni – e quindi l’identità– del museo possano costantemente evolvere: più precisamente, superando l’idea che tutto si risolva nello svolgimento di attività culturali (attraverso l’esposizione delle collezioni permanenti, di cui si è detto in apertura, e la realizzazione di mostre temporanee, di eventi, laboratori, etc.) ma che si possa considerare a pieno titolo, tra le funzioni costitutive del museo, anche la realizzazione di prodotti culturali.

Un museo, dunque, molto diverso rispetto al passato; un museo accessibile, che mette in discussione il proprio modo di essere e di rappresentarsi, ponendosi in ascolto dei propri pubblici e dialogando con loro attraverso forme diverse di espressione artistica (il disegno, la musica, il teatro, le immagini, i video, la scrittura), diventando – o tornando ad essere – quindi, a tutti gli effetti, il museion, cioè il “tempio delle Muse”.

Fonte: Opzione Cultura