Il rifugio nel sogno
Padova. Nel 1899 Sigmud Freud pubblica «Interpretazione dei sogni» e tutto sembra mutare. Progressivamente l’arte si allontana dal realismo e dal naturalismo, dalla verità per rifugiarsi nell’inconscio, in un universo fatto di suggestioni, di immaginazione, di simboli, di ideismo. Una mostra ora ripercorre il passaggio da un’arte dedita al vero, al quotidiano ad un’arte che trova nello spiritualismo estetizzante e mistico, nel mito, nel sogno, nell’enigma, nel mistero, la sua espressione. E’ «Simbolismo in Italia», una mostra promossa dalla Fondazione Bano con la Fondazione Antonveneta, un connubio collaudato che per l’occasione si è avvalso della collaborazione della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e della Galleria d'Arte Moderna di Milano, e curata da Fernando Mazzocca, Carlo Sisi e Maria Vittoria Marini Clarelli. La Fondazione Bano, impegnata nella conservazione, valorizzazione e promozione del territorio della Regione Veneto, porta avanti anche un interessante attività di ricerca volta alla valorizzazione degli archivi della Moda Italiana e alla sensibilizzazione ambientale favorendo studi al riguardo. Molto interessante è poi il forte legame che lega la Fondazione Bano alla figura di Francesco Hayez che ha dato vita al «Progetto Hayez», un lavoro organico che sta portando alla completa catalogazione dei disegni dell’artista. Tutto è cominciato quando nel 1986 furono ritrovati nel sottotetto di Palazzo Zabarella, sede della fondazione, gli affreschi staccati e arrotolati di un giovanissimo Hayez. Da allora la Fondazione promuove e finanzia la catalogazione e lo studio di tutti i disegni dell’artista conservati nelle raccolte dell’Accademia di Brera. Ora, dopo aver indagato i movimenti artistici che hanno caratterizzato la storia dell’arte dell’ottocento e del novecento, dal neoclassicismo al pre-impressionismo, dai macchiaioli al liberty, e i grandi protagonisti di quel periodo - Hayez, al quale fu dedicata una grande retrospettiva nel 1998, ma anche Canova e poi De Chirico, Modiglioni, Balla – la Fondazione Bano ripercorre i moti di un’arte che, a cavallo da XIX e XX secolo, ha aperto la strada ad un secolo nel quale i concetti stessi di arte e di artista vengono continuamente sovvertiti assumendo progressivamente una semantica diversa. Con continui riferimenti all’esperienza simbolista internazionale - degnamente rappresentata in mostra dalla «Giuditta – Salomè» di Gustav Klimt e da Il Peccato di Franz von Stuck - che vede nel manifesto del 1886 pubblicato su Le Figaro dal poeta Jean Moréas la sua nascita, il simbolismo italiano si caratterizza per un forte legame con le mutazioni sociali di quegli anni ‘decadenti’ caratterizzati, negli ambienti letterari e filosofici, da un acceso dibattito sulla missione dell’arte che via via si orientava verso una ricerca estetizzante tutta dandy, dove l’artista veggente sapeva cogliere la spiritualità e l’interiorità anche quando esse sembrano invisibili all’occhio umano. Suddivisa in otto sezioni che toccano i punti fondamentali di un dibattito critico che ha caratterizzato la fine dell’800, la mostra di apre con la rievocazione della Triennale del 1891 che mette a confronto oggi come allora «Le due madri» di Giovanni Segantini e «Maternità» di Gaetano Previati. Due quadri che sancirono attraverso l’utilizzo di una tecnica divisionista l’adozione di tematiche, la maternità appunto, dai contenuti simbolici. Segue un percorso tematico che dai protagonisti d’oltralpe e italiani, che guardarono alla poetica simbolista fuori dai confini nazionali, passa al sentimento panico della natura e a un paesaggio inteso come uno stato dell’animo per arrivare al mistero della vita, alla rappresentazione del mito, all’allegoria dove Eros e Thanatos, la pulsione di vita e la pulsione di morte, portano ad una dimensione onirica d’ispirazione preraffaellita che molto deve alle esperienze mitteleuropee. Le opere di Giulio Aristide Sartorio, Adolfo De Carolis, Gaetano Previati si confrontano in questa sezione con quelle di Gustav Klimt e di Franz von Stuck evidenziando il rapporto strettissimo tra la cultura italiana e quella europea nel nome dello jugendstil e del nascente liberty. A concludere l’itinerario espositivo è la «Sala del Sogno» che alla Biennale di Venezia del 1907 consacrò il movimento e che ora a Palazzo Zabarella apre le porte al novecento: qui campeggiano gli artisti più moderni del movimento, Galileo Chini, Alberto Martini, Gaetano Previati, ultima visione simbolista prima della grande rivoluzione futurista.
© Riproduzione riservata