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Il richiamo della materia: Louise Nevelson in Palazzo Sciarra a Roma

  • Pubblicato il: 24/05/2013 - 08:55
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Milena Zanotti
Louise Nevelson Dark Prescience

Roma. Una sinergia di intenti ha portato a Roma l’opera di Louise Nevelson, promossa dalla Fondazione Roma e realizzata dalla Fondazione Roma-Arte-Musei con Arthemisia Group, coadiuvata dall’apporto fondamentale di Fondazione Marconi di Milano e Louise Nevelson Foundation, Philadelphia. Un grande progetto al quale hanno prestato il loro contributo, inoltre, il Centre national des art plastiques di Parigi, il Louisiana Museum of Modern Art di Copenhagen, la Menil Collection di Houston e la Pace Gallery di New York. La mostra, curata da Bruno Corà, segna un’importante tappa italiana, dopo quella del 1994 a cura di Germano Celant, entro il Palazzo delle Esposizioni, e si snoda attraverso le sculture di Louise Berliawsky Nevelson (1899 – 1988) che ha segnato un’epoca: una donna coraggiosa che, emigrata negli U.S.A. dalla Russia nel 1905,  dedicò tutta la sua vita all’arte, una ragione che diede l’ardire di recarsi nella Germania nazista, lei che aveva origini ebree ortodosse, per lavorare con Hans Hoffman. Collaborò anche con Diego Rivera, a Città del Messico e a New York, e dal 1936 iniziò ad esporre le sue prime sculture. Louise Nevelson sfiora tutte le avanguardie del Novecento, dal Cubismo, al Dadaismo, sino al Surrealismo e alla contemporaneità delle istallazioni, senza esserne mai completamente assorbita in nessuna di esse ed, anzi, imponendo la sua personalità artistica fiera e singolare, che nobilita nella scultura attraverso il modus dell’assemblaggio, introducendo il concetto, così attuale di questi tempi, di polimatericità derivata dai materiali di riciclo, dal legno, al metallo, sino al plexiglass. Corà ci fornisce una chiave preziosa di lettura della mostra pensata attraverso il filtro «della memoria, come concetto fondato sul recupero di frammenti vissuti, ricomposti in un’unità globale», arricchendo questo concetto alla luce «dell’antica tradizione del ‘teatro della memoria’, fondato su un sistema di associazioni mnemoniche per immagini, che si amplia nelle teorizzazioni dell’ ermetica rinascimentale e dell’Ars Memoriae, tramite autori quali Lullo, Scaligero, Della Porta, e soprattutto Giordano Bruno, che avevano creato infinite possibilità combinatorie di immagini evocative di memoria». Emanuele Francesco Maria Emanuele, Presidente della Fondazione Roma, motiva l’esposizione come proseguimento di un percorso di interesse sull’arte di matrice statunitense, che ha già disegnato un iter importante attraverso  ‘mostre quali «La gloria di New York. Artisti americani dalla Collezione Ludwig 1960-1990» (2001-2002), «Edward Hopper» (2010) e «Georgia O’Keeffe» (2011-2012). Fondazione che, come si evince dalla sezione dedicata suoi «Valori e Missione», dichiara di aver «abbandonato la modalità dell’erogazione a pioggia adottando il modello operativo». Tale modello ha consentito alla Fondazione di sviluppare un’autonoma capacità progettuale, che si confronta ed interseca con quella degli altri protagonisti del tessuto sociale del territorio di riferimento, che comprende la città di Roma e la sua provincia. Per la mostra di Louise Nevelson l’avv. Emanuele, sottolinea in particolare i focus di una riflessione che attiene al mondo artistico femminile, nonché quello costituito dal’emergere dei fecondi legami che da sempre intercorrono tra America ed Europa, all’insegna di un dialogo interculturale che è propulsore di idee innovatrici. A corollario della mostra, per favorire un dialogo aperto, sono stati pensati una serie di incontri e tavole rotonde, sino al 19 giugno, che vogliono fornire una visione di contesto globale di Louise Nevelson entro i principali movimenti artistici ed intellettuali che hanno connotato il corso del XX secolo.

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