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Il PIL non fa la felicità

  • Pubblicato il: 17/03/2013 - 23:26
Autore/i: 
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Ersilia Crobe

Era il 1968 e durante lo storico discorso di Kansas City, Robert Kennedy anticipava un tema che la scienza economica e la sociologia – nonché, con forza devastante, la crisi economica in corso - avrebbero confermato: «Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta».

Appare, infatti, sempre più evidente che il benessere di una società non può stabilirsi misurando risultati prettamente economici ma deve tener conto di indicatori sociali e ambientali, corredati da misure di diseguaglianza e sostenibilità che, nelle moderne società, assumono un ruolo centrale per quella che potremo definire «felicità dei postmoderni».
Il Rapporto BES 2013 - Benessere Equo e Sostenibile, risultato della collaborazione interistituzionale CNEL-ISTAT, offre un ritratto poco brillante della società italiana, un popolo spaventato e diffidente verso il prossimo – confermando un Italia dei particolarismi e dell’individualismo familistico, tanto indagata dall’analisi sociologica -  con poca fiducia nella collettività e nello Stato.
Tra i domini indagati dal Rapporto, di particolare interesse il tema «Paesaggio e patrimonio culturale», che ci descrive un Paese  poco attento alla tutela del grande patrimonio culturale.
L’indagine della dimensione oggettiva del patrimonio storico e artistico del nostro Paese mostra una ricchezza inestimabile: il territorio con maggiore numero di siti iscritti nella World Heritage List dell’Unesco; presenza di oltre 100 mila unità censite nella Carta del rischio del patrimonio culturale (in media, 33,3 per 100 km2) che caratterizzano tutti i territori, con una prevalenza di siti archeologici nel Mezzogiorno e di beni architettonici nel Centro-nord.
Tale ricchezza soffre però, oltreché delle contenute risorse economiche destinate al settore, di un insufficiente rispetto delle norme e di una non puntuale azione di controllo da parte delle Amministrazioni: il paesaggio è minacciato da una continua e spesso incontrollata espansione edilizia, cui si aggiungono le conseguenze negative determinate dalle radicali trasformazioni dell’agricoltura, con l’abbandono di ampie porzioni del territorio rurale.

Di particolare interesse l’indagine della dimensione soggettiva del paesaggio, che permette di rilevare la sensibilità della popolazione al problema della tutela del paesaggio, e la consapevolezza del suo status di bene pubblico.
Gli indicatori indagati in questa sede esprimono, rispettivamente, le percentuali di persone non soddisfatte della qualità del paesaggio del luogo di vita e di persone preoccupate per il deterioramento del paesaggio.
La preoccupazione per il deterioramento del paesaggio è trasversale alla società per genere ed età, mentre conferma una differente sensibilità legata al grado d’istruzione e prova un dualismo nord-sud anche su queste tematiche, con una maggiore preoccupazione per il deterioramento del paesaggio in regioni del Mezzogiorno (la media raggiunge il 25,8% ) e un nord meno insoddisfatto delle condizioni ambientali (con un minimo del 6,8% in provincia di Trento e un massimo del 17,3% in Liguria).
Il 20,4% del campione indicano «la rovina del paesaggio dovuta all’eccessiva costruzione di edifici» fra i cinque problemi ambientali più preoccupanti (nel 1998 erano il 15,8%). Anche in questo caso le differenze maggiori emergono nell’analisi territoriale: la preoccupazione per il paesaggio è più avvertita – ed è cresciuta in misura maggiore – al Nord (dal 18,5% del 1998 all’attuale 25,3%), meno al Centro (dal 14,4% al 18,9%) e meno ancora nel Mezzogiorno (dal 13,0% al 14,6%).

Dalla lettura dei dati si trova «conferma del fatto che, tendenzialmente, una maggiore preoccupazione per il paesaggio corrisponde a una migliore qualità del paesaggio (e della vita) e che le criticità riscontrate nell’analisi di questo dominio rimandano effettivamente a fattori culturali e non possono, pertanto, essere contrastate efficacemente se non promuovendo un cambio di paradigma nei comportamenti individuali e nelle politiche pubbliche».
Le politiche di tutela del patrimonio artistico e culturale sono (ne siamo convinti) una seria occasione di governo dei commons – sulla scorta degli studi del Premio Nobel Elinor Ostrom.
La ricchezza del patrimonio culturale italiano, «giardino d’Europa» per molti secoli, è un bene inestimabile per la collettività e il grande disagio e preoccupazione rilevati mostrano un popolo sempre più consapevole.  Un segnale di speranza per il futuro.

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Ersilia Crobe, collabora con le cattedre di Sistemi politici e amministrativi e Scienza Politica dell'Università Unitelma Sapienza.

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