Il museo di tutta la città
Bologna. La data ufficiale è venerdì 2 dicembre, quando «Genus Bononiae. Musei nella città» uscirà dopo sei anni dalla fase progettuale e diverrà una realtà museale pressoché unica in Italia. Fabio Roversi Monaco (nella foto), presidente della Fondazione Carisbo che ha sostenuto il progetto con oltre 70 milioni di euro in varie tranche, nonché della società controllata Museo della città Srl, illustra la nuova istituzione.
Professor Roversi Monaco, perché questo progetto?
Lo dice il nome scelto: abbiamo l’ambizione di descrivere e comprendere il «genus», la stirpe dei nostri antenati e di noi bolognesi contemporanei. Per fare ciò abbiamo creato una sorta di Museo della Città diffuso sul territorio che, attraverso un percorso urbano, analizza la storia e gli abitanti della nostra città. Le strade metaforicamente sono i corridoi di un immenso museo, mentre palazzi e chiese sono sale che si collegano all’offerta culturale già esistente sul territorio.
Come è maturata l’idea?
È stata metabolizzata nel corso degli anni: partimmo dalla scelta di dotare Bologna di un Museo della Città, ma ben presto mi accorsi, anche attraverso incontri con studiosi, che non era quello lo strumento adatto al nostro obiettivo. Volevamo portare avanti un recupero della memoria per le nuove generazioni, che mi paiono un po’ spaesate, e allo stesso tempo realizzare un luogo dove i turisti potessero avere informazioni sulla comunità locale. Queste finalità non si raggiungono solo predisponendo oggetti nelle sale di un palazzo, quello è un modo «vecchio» di concepire un museo. Oggi c’è bisogno di interattività e incisività: tentiamo allora di fissare l’evoluzione di Bologna attraverso la focalizzazione su figure importanti e su periodi storici. Perciò abbiamo condiviso un processo di questo tipo con alcuni studiosi, fissando alcuni punti fermi ed evitando dispersioni.
Ci riassuma il percorso del nuovo museo diffuso.
Partiamo con il periodo etrusco, caratterizzato a Bologna-Felsina dalla fusione tra più insediamenti: attraverso alcuni piccoli oggetti e soprattutto l’analisi dei loro culti spieghiamo le nostre antiche origini. Di questo comparto si occupa Giuseppe Sassatelli, direttore del Dipartimento di Archeologia all’Ateneo bolognese. Per quanto riguarda il periodo romano focalizziamo l’attenzione sulla via Emilia, «invenzione» del console Marco Emilio Lepido per collegare Rimini con Piacenza intorno al 200 a.C. Dell’argomento si occupa Giovanni Brizzi, ordinario a Bologna di Storia romana ed esperto di storia militare. Colleghiamo poi la caduta di Roma al nostro santo patrono Petronio, ottavo vescovo della città tra il 431 e il 449-450. Nei due secoli successivi la città torna a «pesare» nella storia italiana e il percorso focalizzerà l’attenzione su questo: intorno al Mille la città costruisce le mura e grazie alla sua posizione geografica diviene prospera, anche dal punto di vista culturale, perché arrivano qui da Ravenna i libri dell’imperatore Giustiniano. Non a caso la più antica Università del mondo viene fondata nel 1088. Nel percorso diamo una testimonianza significativa ad esempio della «scuola» di Diritto canonico i cui giureconsulti erano interpellati dal papa. Proseguendo nel tempo arriviamo all’esposizione di documenti relativi all’abolizione della schiavitù, anche se la proposta era fatta per motivi contingenti e non per un ideale di uguaglianza tra le persone. Nel XII secolo a Bologna ci sono migliaia di studenti e nascono i primi collegi. Giungiamo poi al Due-Trecento con le virtù civiche e la tutela dell’autonomia grazie a Federico II e a re Enzo (su questo c’è un dramma scritto da Roberto Roversi) e successivamente parliamo del calendario gregoriano, del tentativo nel 1330 del cardinal Bernardo del Poggetto di spostare la sede del papato a Bologna (decorazione di Giotto nella sede della rocca di Galliera, scomparsa), dell’incoronazione di Carlo V nel 1530 e della meridiana di Gian Domenico Cassini nella basilica di San Petronio. Tutti episodi storici o di pratica virtù che dimostrano l’importanza della nostra città.
Bologna è fondamentale anche nel Settecento.
Esatto, del resto la storia della nuova istituzione copre ogni secolo sino a oggi, a dimostrare che c’è la consapevolezza dell’importanza della città. Nel ’700 nascono i primi musei scientifici, con Aldrovandi e Marsili e con il cardinal Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV, che sospinse fortemente quest’attitudine. Poco prima, del resto, intorno al 1690 e grazie a Eustachio Manfredi, era nata l’Accademia delle Scienze che allora si chiamava Accademia degli Inquieti. Non dimentichiamo la musica con padre Antonio Maria Martini e la presenza di Mozart in città nel 1777. Naturalmente parliamo anche di ’800 e ’900, dalle battaglie condotte in Emilia da Napoleone all’evoluzione moderna della città con il ruolo fondamentale delle cooperative che permettono alle classi deboli di emanciparsi dalla seconda metà del XIX secolo.
Per realizzare tutto ciò avete acquistato alcuni beni storici (cfr. box in questa pagina).
Non solo abbiamo acquisito nel tempo ex chiese e palazzi o attivato collaborazioni con gli enti proprietari, ma abbiamo anche effettuato molti restauri con forti oneri economici, tutto per mettere a disposizione di cittadini e turisti un valido programma culturale, per la prima volta con questo «respiro».
Oltre a lei chi si occupa del progetto?
Oltre ai docenti indicati, il maestro Claudio Abbado già da tempo dirige concerti in Santa Cristina, poi Massimo Negri, museologo di fama che è il direttore scientifico, e il critico d’arte e conduttore televisivo Philippe Daverio, direttore artistico di Palazzo Fava. Senza dimenticare naturalmente il personale della Fondazione.
Qual è il budget e quali le prime esposizioni?
Non esiste a oggi un budget di gestione annuale, attendiamo di approfondire la sostenibilità economica dell’intero percorso una volta a regime con tutte le sue molteplici attività. A Casa Saraceni sino al 23 novembre è prevista «Laura Bassi (1711-1778) e le altre filosofesse di Bologna», dedicata alla più illustre tra le donne salite in cattedra all’Alma Mater e ad altre donne docenti.
Ci sono anche importanti aspetti multimediali?
Sì, non solo per quanto riguarda gli allestimenti, dov’è ovvia la presenza di schermi e computer per la consultazione dei materiali. Abbiamo ottenuto dal Mibac la possibilità di partecipare al loro progetto iMibac. Si tratta di un’applicazione per gli strumenti Apple e gli altri smartphone che servirà a promuovere l’arte insieme alle nuove tecnologie. Il direttore per la valorizzazione Mario Resca ha scelto 40 luoghi italiani, il nostro museo è l’unico in Emilia-Romagna ed è la prima realtà privata a far parte del gruppo. L’applicazione permetterà di avvicinarsi al luogo da visitare e ottenere tramite il ricevitore satellitare ogni informazione storica e pratica.
Non c’è il rischio che tutto ciò metta in ombra le istituzioni culturali pubbliche?
No, lavoriamo da tempo in stretta collaborazione con il Comune perché tutto il territorio cittadino sia favorito da «Genus Bononiae». Chi visita i nostri luoghi continuerà a visitare anche i musei bolognesi.
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da Il Giornale dell'Arte numero 313, ottobre 2011