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Il governo delle fondazioni di origine bancaria: i risultati dell’indagine dell’Università di Padova

  • Pubblicato il: 08/07/2011 - 11:10
Rubrica: 
STUDI E RICERCHE
Articolo a cura di: 
Giacomo Boesso e Fabrizio Cerbioni
Figura 2 - Progetti propri e caratteristiche salienti di governo

Quali sono le esigenze delle fondazioni di origine bancaria italiane, come e da chi sono governate? Quali i primi punti all’ordine del giorno delle loro agende e quali le prospettive evolutive?
Un’approfondita indagine della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Padova, a cura di Giacomo Boesso e Fabrizio Cerbioni, mette in luce la composizione dei governi delle fondazioni di origine bancaria italiane applicando allo studio delle FOB teorie manageriali multiple: accanto alla tradizionale teoria dell’agenzia, troviamo la stakeholder theory, la democracy theory, la resource dependency theory, la stewardship theory.
Presentiamo in anteprima un estratto della ricerca che sarà presentata sulla rivista «Il Risparmio».

Partendo dall’ipotesi che le FOB pianifichino la propria azione interpretandosi come lungimiranti investitori istituzionali sui mercati finanziari e propulsori ed innovatori sociali nelle relazioni con il tessuto sociale, l’Università di Padova ha condotto una ricerca mediante la somministrazione di un questionario alle FOB Italiane, fondato sui principali studi in tema di efficacia del processo di governo nelle organizzazioni for profit e non profit.
Il quadro teorico di riferimento è diverso e per certi versi più complesso rispetto alle soluzioni adottate per il governo di imprese e società quotate. È opportuno individuare riferimenti teorici più eterogenei in cui affianco alla teoria dell’agenzia assumono pari rilevanza anche: le aspettative degli interlocutori sociali e territoriali (stakeholder theory); i riferimenti a modelli di gestione del potere localmente “concertati” e meno ispirati dai soli criteri di economicità aziendale (democracy theory); le competenze specifiche apportate dai membri del consiglio in relazione all’esigenza di perseguire finalità istituzionali e non interessi di una sola parte (resource dependency theory); il coinvolgimento diretto dei membri del consiglio al fianco dei dirigenti nell’esercizio delle attività (stewardship theory). Un modello di governo che soddisfi tutti questi requisiti si caratterizzerebbe non solo come strumento di conformità e garanzia (compliance model) ma anche come: modello decisionale aperto ai contributi dei principali portatori d’interesse territoriali (stakeholder model); plurale nelle sue modalità operative (democratic model); in grado di aggregare i profili più adatti per l’esercizio delle molteplici attività della FOB (co-optation model); e di metterli concretamente al servizio della fondazione (partnership model).
L’ampiezza delle funzioni ricondotte all’esercizio del governo sembra giustificare la scelta normativa di un modello duale ove, verosimilmente, l’OdI si faccia carico dei principi di conformità, rappresentatività degli stakeholder ed esercizio democratico e l’OdA degli aspetti di garanzia, co-optazione e partenariato. Sia il dettato normativo sia l’impostazione teorica forniscono solo generiche indicazioni di principio, tuttavia, in merito alle scelte che ciascuna FOB debba compiere nella costituzione dei propri organi, nella definizione dei temi all’ordine del giorno, nell’organizzazione dei lavori, ecc.
Dovendo, per ovvi motivi di sintesi, concentrasi solo su alcune tra le oltre 150 variabili raccolte è interessante osservare (tab.1) come in media gli organi di governo delle FOB sono molto numerosi (15 membri per l’OdI e 6 per l’OdA) e sono rappresentate nell’OdA diverse competenze (manageriali nel 19% degli oltre 500 profili dei consiglieri ma anche artistiche nel 10% dei profili). Nella scelta dei candidati consiglieri prevale la ricerca di competenze utili per i settori d’intervento (53%) mentre ha un ruolo solo marginalmente il comprovato successo professionale del candidato (9%). Come c’era da attendersi, l’organo di amministrazione risulta sensibilmente più convocato (abbondantemente oltre le 40 ore all’anno) rispetto a quello di indirizzo (sensibilmente meno di 40 ore all’anno). Gli incentivi a partecipare agli organi di governo sono quasi sempre finanziari (oltre il 90% dei casi per l’OdA) ma, a detta dei presidenti, certamente anche reputazionali grazie ad una maggiore legittimazione sul territorio a seguito dell’incarico (80%). All’ordine del giorno degli incontri prevale l’analisi patrimoniale degli investimenti finanziari e, quindi, il ruolo finanziario delle FOB come investitori istituzionali (presente in più del 90% delle osservazioni). L’analisi dell’avanzamento delle attività filantropiche, quindi il ruolo sociale delle FOB, è presente nell’88% degli incontri mentre si attestano sotto il 50% delle osservazioni l’utilizzo di strumenti di governo più sofisticati quali l’analisi della contabilità analitica (per commessa o linea di finanziamento) e il benchmarking con altre fondazioni. Il sistema informativo, per quel che riguarda la mappatura delle esigenze del territorio, appare nella maggioranza dei casi ancora appoggiato sui canali privati e spesso informali di ciascun membro dell’OdI (55%) e solo in ridotti casi si ricorre a studi a firma di centri di ricerca esterni (5%). Le FOB, inoltre, sembrano meglio attrezzate in termini di strumenti manageriali (software e modelli d’analisi) per le analisi finanziarie del patrimonio (69%), al servizio del proprio ruolo di investitori istituzionali, piuttosto che per l’analisi dei propri interventi filantropici (38%), funzionale al proprio ruolo di promotori sociali. Solo occasionalmente (40%) i lavori dell’OdA si aprono in maniera partecipata a specialisti esterni, enti finanziati, stakeholder o esponenti del territorio.
Il dettato normativo sembra quindi aver prodotto, in media, delle “imprese di cervelli” e dei modus operandi abbastanza uniformi, nonostante le notevoli differenze dimensionali tra le FOB italiane, ed ancora tendenzialmente sbilanciate sul ruolo di investitori istituzionali e su di un modello di governo influenzato più dalla compliance che dagli altri elementi proposti in letteratura (stakeholder, co-optation, resources, partnership).

Solo l’analisi delle relazioni tra le variabili che caratterizzano la governance delle FOB e le principali scelte filantropiche permette, tuttavia, di cogliere alcune differenze statisticamente significative tra i modelli di governo, isolando alcune esperienze che appaiono maggiormente influenzate dagli studi sul governo strategico degli enti nonprofit.
Il sostegno ai progetti espressi dal Terzo Settore è indicata come prima priorità dal 36,5% del campione e l’albero di segmentazione in figura 1, “pescando” tra tutte le risposte fornite al questionario e tutti i dati ACRI (oltre 160 variabili), associa la preferenza per questo tipo di interventi a FOB accumunate da un minor coinvolgimento degli organi di governo in sede di valutazione dei risultati (l’indice di priorità sale, infatti, a 1,17 rispetto al 2,67 del campione totale). Ciò accade senza recare apparente danno all’operatività, come indicato dal fatto che l’indice massimo di priorità (1,40) si associa ad un sottocampione di 10 FOB, manifestamente grant-making, che negli ultimi tre esercizi non hanno mai utilizzato la riserva di stabilità a conferma di una buona pianificazione ed amministrazione delle linee erogative. Quest’ultimo livello di analisi presenta, tuttavia, delle significatività statistiche molto deboli (p-value < 0,10) ed il dato, quindi, va interpretato solo come tendenziale.
In maniera apparentemente coerente, un’alta priorità del modello erogativo si associa anche alla non discussione in sede di OdA, ma solo di OdI, del documento di pianificazione di lungo periodo (2,62); mentre, viceversa, la verifica semestrale dei risultati e la discussione del documento di pianificazione anche in sede di OdA sembrano delineare il profilo di un diverso gruppo di FOB poco interessate al modello erogativo (con un indice di priorità della tradizionale attività grant-making che scende ad un minimo pari a 4,00). In sintesi, la classica funzione grant-making si associa ad organi di governo in cui la tradizionale funzione di garanzia e conformità (compliance) sembra essere predominante rispetto al coinvolgimento diretto degli organi nei passaggi operativi (partnership). La figura sottostante mostra come cambia l’indice di priorità (con massimo 1 e minimo 6) al riscontrarsi delle specifiche caratteristiche di governo appena discusse.

Con i progetti propri, indicati come prima priorità dal 44,2% dei presidenti intervistati, le FOB mutano la propria natura erogativa, diventando attori proponenti e gestori di progetti anche ad alta complessità, pertanto, ci si chiede: quali sono le differenze rilevanti per le fondazioni che intraprendono questa strada con la massima priorità rispetto agli organi di governo delle altre fondazioni meno coinvolte in progetti propri? L’analisi dei dati (figura 2) mostra un significativo aumentare della priorità di questi progetti per le FOB che sono dotate di una contabilità per centri di costo e di un processo di screening dei potenziali beneficiari o partner (da 2,25 l’indice di priorità sale a 1,14). Le FOB che, viceversa, non sono dotate di una contabilità analitica dettagliata sembrano, comunque, assegnare alta priorità ai progetti propri (1,83) in presenza di consiglieri che affiancano e supportano il presidente in sede di governo ricorrendo il meno possibile allo strumento della delega. Sembra quindi possibile esprimere una progettualità propria anche in assenza di strumenti manageriali sofisticati (quali i centri di costo) in presenza di organi di governo più collegiali nelle proprie delibere (verosimilmente ben strutturate prima di arrivare in consiglio o ben gestite nella fase dibattimentale). Coerentemente, le FOB senza contabilità analitica e con un presidente sovente delegato a risolvere in prima persona i punti all’ordine del giorno del consiglio su cui non si è raggiunto un accordo in sede di discussione, non esprimono progetti propri con alta priorità (3,40). In sintesi, l’implementazione di progetti propri sembra associarsi con maggiore facilità a fondazioni che si dotano di strumenti contabili più sofisticati per monitorarli in maniera oggettiva e riescono a gestire anche in sede collegiale tutti i dettagli operativi cruciali per il successo delle iniziative (tra cui, con specifica rilevanza, la scelta dei partner di progetto).

In qualsiasi organizzazione il processo di governo si riferisce ad una «squadra» di «cervelli e competenze» che affianca i dirigenti per pianificare e verificare con loro gli obiettivi strategici e la loro progressiva realizzazione. L’efficienza di questa squadra di «eccellenti solisti» è favorita, tuttavia, da una buona organizzazione del processo di selezione dei membri del board e dalle concrete forme di lavoro previste dall’organizzazione che se ne dota. L’efficacia, analogamente, è funzione della capacità del board di affiancare i dirigenti in maniera costruttiva e critica con il fine di concordare, rivedere e migliorare nel corso del tempo le linee operative.
I dati raccolti e discussi mostrano come le FOB italiane non si sottraggono a questo quadro teorico di riferimento, implementato con maggiore rigore metodologico per quel che riguarda il ruolo delle FOB come investitori istituzionali mediante un modello di governo che si richiama all’importante funzione di compliance. In aggiunta a questo tratto comune, tuttavia, le FOB stanno diversamente organizzando le proprie “squadre” di governo in funzione di diversi approcci alla filantropia: più tradizionale e fedele all’idealtipo della fondazione erogativa, oppure, più strategico e vicino all’idealtipo della fondazione anche operativa.

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Giacomo Boesso è ricercatore di Economia Aziendale all’ Università degli Studi di Padova
Fabrizio Cerbioni è Professore Ordianario di Economia Aziendale all’Università degli Studi di Padova