Il giardiniere del giardino inesistente
“Sembra il titolo di un racconto di Calvino. Invece è una storia vera. Certo un po’ romanzata, giusto per dare accento ai pensieri che mi ha generato.” Franco Milella, esperto in programmazione comunitaria, penna avvincente, narrando di un incontro casuale durante una passeggiata con il suo cane Pedro nella periferia urbana, accende, con un paesaggio metaforico e lirico, una riflessione sull’efficacia della sua e delle nostre azioni, individuali e collettive, nell’epoca delle grandi sfide .“In questa parte di mondo, che chiamiamo Occidente dove si dà per scontato che il trenta per cento della popolazione possa essere escluso dai diritti di cittadinanza e dalla vita e negli altri mondi dove di diritti di cittadinanza nemmeno si parla e la vita conta anche di meno.” Mai come in questo periodo, tante persone hanno scelto di indirizzare la propria vita a “professioni culturali”. Ma qual’è l’esito sociale? Quanto c’è in noi del giardiniere di sterpaglie?
Passeggiavo tempo fa con il mio Pedro, un meticcio di pastore belga Malinois e Alano. Un cane impegnativo insomma… infatti Pedro è in realtà un acronimo: “Possa Essere Domato il Riottoso Orso”.
Ecco, le passeggiate con lui non sono mai il massimo della tranquillità. Un’infanzia infelice da trovatello e il suo conseguente attaccamento morboso al “padrone” che gli ha dato dimora, lo porta alla guardia appena un essere vivente gli è a tiro nel raggio di venti metri.
A mia volta, sono così indotto a percorsi saltellanti, poco lineari e fatti a zig zag, attraversamenti con il “rosso”, per giungere finalmente in una delle consuete radure che fanno, anche i centri urbani, periferia.
Un’area incolta ed abbandonata, un “vuoto urbano” che è però il luogo di esplorazione di Pedro e del recupero della mia tranquillità dopo il percorso di guerra.
Un giorno ero lì. Nel dominio di Pedro, tra erba alta, cardi e ortiche e qualche margherita qua e là perché è primavera. E con mio doppio stupore vedo in lontananza un signore immerso anche lui tra fiori incolti. Ho temuto che fosse al “pascolo”, anche lui, con il suo cane. Non avevo mai visto nessuno in quel luogo prima di allora. E come se non bastasse, Pedro lo ignora continuando la sua esplorazione e segnando il territorio come i cani spudoratamente amano fare.
Per quanto sia grande, quel pezzo di mondo inevaso all’urbanistica e che taglia in due il quartiere, è un’enclave selvaggia di ridotte dimensioni.
Ci vuol poco quindi a non tenere le distanze. Lo vedo mentre il signore si affaccia sul marciapiede in rovina che segna il lato principale della radura.
Anziano, è un signore minuto e distinto che tiene alla sua presenza. Passeggia con passo lento ma fermo. Segue la cornice di sterpaglie che accompagna il marciapiede che dà al limite della campagna urbana, come tutte le campagne urbane, terra di nessuno, senza mano dell'uomo e con una natura avvilita.
Ha un'aria degna, il capello curato, un vecchio loden sulle spalle, indossato con leggerezza nonostante la temperatura mite, gli va a pennello da forse 20 anni. Scarpe usate, consumate dal tempo, ingannate da una sicura accurata e quotidiana manutenzione, di quelle che oggi nessuno fa più. Stonano solo i suoi pantaloni neri, un po' troppo corti nonostante non sia un gigante. E’ un signore medio nel suo genere, ma con una qualità in dignità superiore alla media. Un pensionato, di certo. Con l’aria di un contabile o di un pubblico impiegato di un ufficio in cui si usa molto il timbro con l’inchiostro, con alle spalle una cinquantina d’anni di servizio. Un volto serio e concentrato, di quelli che intuisci nelle persone indaffarate in compiti essenziali a cui ci si tiene.
Si ferma, e all'improvviso spuntano un paio di cesoie enormi che estrae con grande naturalezza dalla tasca destra del suo loden. E da' una sforbiciata, decisa, ma sommaria, sulla cima di un pezzo di sterpaglia. Fa un altro passo, si riferma. In apparenza meno sommario, taglia con dovizia ma con lo stesso scarso impatto, cime di sterpi qua e là , lo sguardo di chi assolve meticolosamente ad un impegno di cura. Lo seguo, nemmeno a troppa distanza. Per oltre 50 metri il giardiniere delle sterpaglie opera con dovizia meticolosa. Lo seguo ad ogni taglio e nulla, dico assolutamente nulla, lascia intendere un segno tangibile della sua opera. Solleva lo sguardo, si gira, mi fissa per qualche secondo mentre continua a tagliare. Non gli faccio alcuna differenza, è come se non fossi lì a seguirlo. Spunta anche un cespuglio di margherite, unico piccolo segnale di una natura più dolce nella terra di nessuno. Ma non gli fa differenza che sia sterpo o fiore. E omaggia della stessa cura il cespuglio fiorito. Arriva all'angolo con l'incrocio alla strada principale e va oltre, con il suo passo determinato e lento di chi raccoglie soddisfazioni. Senza mai volgere lo sguardo al suo lavoro di giardinaggio che, in ogni caso, appare impercettibile, senza alcun impatto visibile.
Nel frattempo sono quasi sopraffatto dai pensieri. Mi leggo nella testa una vita segnata dalla solitudine. Quante volte avrà fatto richieste formali, in 50 anni di lavoro, all’ufficio acquisti, della azienda in cui era impiegato, per la sostituzione di timbri consumati dall’uso? Quando passerà all’azione introducendosi di soppiatto in giardini privati per ”donare” una strage di margherite ai proprietari?
Cosa c’entra tutto questo con l’anno nuovo che viene?
Non ho nulla contro la ricerca dell’equilibrio personale. E penso anzi che coltivare ciò che oggi non appare socialmente interessante, non essendo centrale al consumo, come la bellezza, la conoscenza, l’amicizia, la generosità, il rispetto e l’amore per gli altri che condividono il proprio tempo, sia la vera fonte dell’equilibrio.
Poi penso: quante volte siamo sottratti a questo “compito” per essere giardinieri di giardini inesistenti, messi lì senza pensarci, o più esercizio di controllo che per virtù di giardinaggio?
Chissà perché passiamo la vita a far cose che non lasciano alcun segno, prive d'impatto, se non immaginato, per gli altri e per noi stessi.
Ecco, sono oramai convinto da tempo che essere al mondo, in questo mondo, richieda ora una rinnovata capacità di generare squilibri e perturbazioni, messa in gioco di sé, azione pubblica, che aiuti a non dimenticare nessuno, generi speranze e futuri possibili.
In questa parte di mondo, che chiamiamo Occidente dove si dà per scontato che il trenta per cento della popolazione possa essere escluso dai diritti di cittadinanza e dalla vita e negli altri mondi dove di diritti di cittadinanza nemmeno si parla e la vita conta anche di meno.
Quindi auguro a tutti voi un nuovo anno in cui si possa essere attori della propria vita, attori sociali nella vita degli altri, costruttori di futuro e di speranza di emancipazione, abbattitori di muri e saltatori di ostacoli, esploratori di piste e apertori di sentieri.
Progettisti e costruttori di giardini e non manutentori giardinieri di giardini inesistenti.
Esquilibristi.
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