Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Il cinema tra finanziamenti e perplessità

  • Pubblicato il: 15/04/2016 - 14:33
Autore/i: 
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Stefano Monti

L’industria cinematografica rappresenta oggi uno dei comparti più avanzati e strutturati dell’intro cluster delle Industrie Culturali e Creative, con elevati livelli di «interesse pubblico» di natura politica, economica e culturale. Il sistema di creazione del valore è molto variegato e include professioni estremamente differenti. Ricostruiamo il contesto che richiede politiche industriali
 

L’industria cinematografica rappresenta oggi uno dei comparti più avanzati e strutturati dell’intro cluster delle Industrie Culturali e Creative. Il sistema di creazione del valore è molto variegato e include professioni estremamente differenti, al punto che tracciarne una mappatura, seppur generale, costituisce operazione ardua da compiere.
Il comparto coinvolge direttamente e indirettamente numerosissimi aspetti dell’agire umano: partendo dalle più note figure professionali legate al «girato» (vale a dire attori e regista) fino ad arrivare alle connessioni tra cinema e circoscrizioni territoriali (connessioni in cui le Film Commission giocano un ruolo fondamentale).
Ma procediamo con ordine: volendo seguire un approccio condiviso, le fasi di mercato di un prodotto cinematografico (banalmente, un film) vengono suddivise in Sviluppo, Pre-produzione, Lavorazione, Post-Produzione, Distribuzione, ma anche ad un primo sguardo appare chiaro quanto questa classificazione sia eccessivamente riduttiva della realtà.
 
Il film, quello che andiamo a vedere nelle sale, è il frutto di una vasta moltitudine di lavorazioni, e che recentemente, con l’avvento delle tecnologie digitali, ha assunto una mole ancora più rilevante. A ben vedere, il passaggio al digitale rappresenta nell’industria cinematografica, un cambiamento ancora più profondo di quanto possa sembrare. L’avvento delle tecnologie digitali ha modificato non solo la struttura hardware del film (sostituendosi alla fotochimica), ma ha apportato cambiamenti in qualsiasi fase di lavorazione, dall’organizzazione dei flussi di lavoro alla distribuzione e proiezione nelle sale e negli altri mercati, fino alla struttura stessa dei «contratti» che regolano i rapporti di lavoro tra troupe artistica, troupe tecnica e finanziatori. Tale rivoluzione ha eroso anche un sostanziale centro di ricavo che tra il 1990 e i primi anni del 2000 aveva assunto un peso sensibile all’interno dei ricavi totali delle case di produzione, vale a dire il mercato dell’home video, passato dalla formula blockbuster allo streaming online.
 
Al solo fine di fornire un’idea un po’ più dettagliata di quanto vasto sia il settore, si pensi alla sola fase di sviluppo, vale a dire l’insieme delle azioni propedeutiche e necessarie, perché un progetto cinematografico arrivi alla fase delle riprese. Al principio c’è la redazione del «soggetto», vale a dire «il nucleo narrativo, la storia […] che consiste di solito in un breve racconto (10-15 pagine) che contiene la trama, i personaggi e gli ambienti nei quali si svolge l’azione». Da qui il soggetto incaricato di trasformare il soggetto in una sceneggiatura, dovrà prima sottoporre l’opera letteraria ad un «trattamento», ossia «il romanzo del film, che propone, oltre alla vicenda, la caratterizzazione dei personaggi e i contenuti dei dialoghi».
È noto che l’industria cinematografica, al pari di quella discografica e di quella dei videogiochi, prevede alti costi per la realizzazione della prima copia e costi tendenti allo zero per le copie successive. Questo elemento incide notevolmente su tutta la struttura finanziaria, dato che tutte le risorse per realizzare il film devono essere reperite prima che questo si avvii alla fase di produzione in senso stretto.
A esempio, con riferimento sempre alle sole fasi iniziali, ancor prima di avviare qualsiasi elaborazione, è necessario acquisire (al fine di non rendere vani gli investimenti successivi) i diritti di sfruttamento economico dell’opera letteraria o teatrale di cui si propone la rielaborazione. Il ventaglio dell’acquisto dei diritti è molto vasto: si parla di diritti di sfruttamento cinematografico, televisivo e di home-video, diritto di adattamento, dello sfruttamento su supporti diversi da pellicola, da diffusione di film a circuito chiuso (navi o aerei), diritto di remake e di sequel, diritto di merchandising etc. L’acquisto di tali diritti, è opportuno ricordare, avviene ancor prima che ci sia qualsivoglia elaborazione cinematografica, e pertanto avviene in un momento di estrema incertezza finanziaria (capacità di reperire i fondi) e artistico-produttiva (effettiva realizzazione futura del film). Per questo è prassi esercitare un «diritto d’opzione» vale a dire l’acquisto di un diritto esclusivo in un lasso di tempo determinato per acquistare i diritti prima elencati. Il valore economico di un «diritto d’opzione» è funzione di numerose variabili, e, a titolo d’esempio, si può citare l’acquisto del diritto d’opzione su Jurassic Park, il cui valore è stato di circa un milione e mezzo di dollari.
E non siamo nemmeno alla sceneggiatura.
Non stupisce, dunque, che per operare correttamente nell’industria cinematografica sia quanto mai essenziale possedere forti competenze gestionali e finanziarie, così come non stupisce l’interesse che Unione Europea e Stati membri mostrano nei riguardi di questo comparto, supportando, attraverso differenti tipologie di azioni, produzioni nazionali e comunitarie.
 
 

Tra imprenditoria e finanziamento pubblico

In Italia, il cinema è supportato dal settore pubblico sia direttamente che indirettamente. Con riferimento alla prima forma di finanziamento, un comunicato stampa del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo annuncia le novità introdotte dalla cosiddetta “nuova legge cinema”, come «la creazione di un fondo completamente autonomo per il sostegno dell’industria cinematografica e audiovisiva […] garantendo risorse certe per 400 milioni di euro all’anno». Sempre nel medesimo comunicato si legge che «la nuova Legge Cinema abolisce le commissioni ministeriali per l’attribuzione dei finanziamenti in base al cosiddetto “interesse culturale” e introduce un sistema di incentivi automatici per le opere di nazionalità italiana».
Quella dell’interesse culturale, e soprattutto della «discrezionalità» con cui le commissioni ministeriali confermavano o meno l’interesse culturale (e quindi l’accesso ai finanziamenti) di una pellicola cinematografica, è una battaglia iniziata già con la Legge Urbani, che limitava la discrezionalità attraverso una serie di punteggi automatici, il cui razionale era quello di limitare una pratica, da tutti considerata «assistenzialista e nociva per il cinema italiano», che dava eccessiva libertà alle suddette commissioni.
Come riportato nell’interessante speciale del 2013 di Sky Cinema: «Ciak paga lo Stato», sulla base del celebre Art. 28 della Legge del 4 Novembre 1965 sono stati concessi finanziamenti a film come “Mutande Pazze” del 1992, che sebbene venga descritto dall'Internet Movie Database come un film sull’ambizione nello show-business, viene paragonato, nella medesima pagina, dall’algoritmo che indaga tra le preferenze degli utenti, a film che non hanno né hanno mai voluto avere un contenuto di tipo culturale.
Anche il Reference System (il meccanismo automatico del Decreto Urbani), ha sollevato nel tempo, qualche polemica: basandosi, tra le altre variabili, sui premi e risultati ottenuti da attori e registi in precedenti produzioni, ha in qualche modo aperto una strada all’egemonia cinematografica degli stessi, che venivano preferiti ad altri “meno referenziati” proprio per poter ambire ad un finanziamento pubblico, i cui importi medi sono in ogni caso significativi.
Negli ultimi 2 anni (2014 e 2015), i film finanziati sono stati 94, con un investimento totale da parte del settore pubblico pari a quasi 31 milioni di euro, e quindi un finanziamento medio di circa € 330.000 a film. Tra questi film (vedi tabella) si scorgono titoli noti (come La giovinezza, che ha ricevuto finanziamenti per € 900.000) a titoli meno famosi o ancora in fase di produzione.
 

film_finanziati.jpg

Con riferimento invece ai benefici indiretti, sono di particolare rilevanza gli aspetti fiscali legati all’industria di produzione e distribuzione cinematografica, noti come i Tax Credit per produzione e distribuzione cinematografica, produzione audiovisiva; digitale; per le sale storiche; per la musica.
A queste fonti di finanziamento si aggiungono inoltre i fondi di co-produzione internazionale e i fondi regionali. Sul sito «La Bussola del Cinema» sono elencati sia i fondi Statali che quelli Regionali (alcuni in attesa di aggiornamento). In tal senso, i Fondi Statali sono rappresentati da

  • Fondo Cortometraggi
  • Fondo di Co-Sviluppo Lungometraggi tra Italia e Francia;
  • Fondo di Co-Sviluppo Lungometraggi tra Italia e Germania;
  • Fondo Opere prime e Seconde;
  • Fondo per Film di Interesse Culturale;
  • Incentivo di Co-Sviluppo per Documentari tra Italia e Canada;
  • Italian Film Distribution Fund;
  • Sviluppo Sceneggiature Originali;
  • Tax Credit Cinema Distributori;
  • Tax Credit Cinema Investitori Esterni;
  • Tax Credit Cinema Produttori;
  • Tax Credit Cinema per Produzioni Esecutive di Film Stranieri;
  • Tax Credit per Produttori Indipendenti Tv e Web – Opere Italiane e Coproduzioni;
  • Tax Credit per Produttori Indipendenti Tv e Web – Opere Straniere

 
 Mentre i fondi Regionali indicati sono invece:

  • Bando Lazio Cinema International;
  • BLS Film Fund;
  • Fondo per l’Audiovisivo del FVG;
  • Fondo Regionale per il Cinema e l’Audiovisivo – Sicilia;
  • Friuli Venezia Giulia Film Fund;
  • Incentivi Lungometraggi e fiction – Piemonte;
  • Sardegna – HEROES 20.20.20;
  • Trentino Film Fund;
  • Valle d’Aosta DOC-FF Film Fund;

Tra questi fondi regionali, si possono distinguere numerose differenze, come nel caso del Fondo rivolto ai documentari di autori e soggetti produttivi valdostani, il cui budget annuo ammonta a € 20.000 e il Fondo BLS, con cui la Provincia Autonoma di Bolzano mette a disposizione un fondo di € 5.000.000 per finanziare produzioni e pre-produzioni cinematografiche e televisive.
Il cinema in Italia, inoltre, può contare anche su un rapporto privilegiato con gli istituti di credito, e in particolar modo, BNL, che ha finanziato nel tempo «oltre 5.000 film attraverso fondi stato o tax credit, partnership con istituzioni del mondo cinematografico o attraverso sponsorizzazioni dei principali eventi cinematografici in Italia».
 
 

Domande, Evidenze, perplessità

Perché l’Industria Cinematografica mostra livelli così elevati di “interesse pubblico”? Le ragioni sono molteplici e, come già accennato, sono di natura politica, economica e culturale.
Da un lato infatti, è ormai diffusa la convinzione che l’industria cinematografica partecipi alla creazione di un’identità nazionale, che aumenti la consapevolezza e la conoscenza del proprio territorio, e che, in qualche modo, rappresenti anche una delle principali leisure activities legate alle industrie culturali e creative.
Dall’altro gli aspetti economici sono però molto rilevanti. Si pensi al costo di realizzazione di un film come Pinocchio di Roberto Benigni, pari a € 60.000.000. Le ricadute che una tale produzione ha sul territorio sono evidenti: dall’aiuto truccatore alle strutture ricettive che ospitano la troupe, il giro d’affari di un film di successo può portare benefici economici immediati.
Accanto a questi fenomeni è però da sottolineare un ulteriore aspetto che integra elementi della teoria del soft-power culturale (la capacità di influenzare il comportamento altrui ricorrendo all’attrattiva piuttosto che alla coercizione o all’induzione), e il place-branding (la capacità di creare una serie di «associazioni mentali» legate ad un determinato luogo). Su entrambi è già stato detto molto, ma è sufficiente ricordare le fiction televisive Elisa di Rivombrosa e Il Commissario Montalbano, per comprendere come l’industria audiovisiva possa giocare un ruolo importante nella creazione di awareness e nel determinare le condizioni per uno sviluppo economico non solo legato al finanziamento diretto e ma correlato anche con l’opportunità di creare trend di sviluppo di medio periodo.
Per concludere, è dunque rilevante che il nostro Paese intervenga con grande intelligenza su questo comparto delle Industrie Culturali e Creative, perché è un comparto strutturato, valido, in cui i nostri talenti possono creare realmente condizioni di sviluppo economico. Ciò che però lascia perplessi è semplicemente il confronto tra le policy in atto tra questo comparto e altri settori in cui invece (come l’arte contemporanea) i benefici da parte dello stato sono molto meno evidenti.
Sempre più si legge e si scrive che «se quelle culturali e creative sono industrie, allora c’è bisogno di politiche industriali»: allora non sarebbe forse giusto inserire tutte queste policy all’interno di un grande settore? Non sarebbe forse anche più efficiente riuscire a gestire i fondi legati ai differenti comparti seguendo linee guida quanto più simili possibili? Certo, il mercato dell’Arte Contemporanea non potrà mai rendere quanto quello cinematografico, ma il Cinema che fino all’anno scorso veniva finanziato, non era forse quello che rischiava di rendere meno?
 
© Riproduzione riservata