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Identità in formato MaXXI

  • Pubblicato il: 02/05/2014 - 09:33
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Guglielmo Gigliotti

Roma. Il MaXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, compie a giugno quattro anni. È un museo giovane, ma ha già una sua storia. Abbiamo chiesto a personalità dell’arte e dell’architettura se è riuscito a ritagliarsi una sua identità.
In una intervista di marzo a «Il Giornale dell’Arte» il presidente della Fondazione MaXXI Giovanna Melandri, in carica da ottobre 2012, ha dichiarato: «Attenzione, il MaXXI non è solo un museo, il MaXXI è una piattaforma aperta a tutti i linguaggi del contemporaneo, che vuole attirare e integrare pubblici diversi. Per questo abbiamo messo in piedi una serie di attività collaterali, dallo yoga al cinema, non molto gradite ai puristi». Dichiara a riguardo Laura Cherubini, critico d’arte e curatrice: «Al MaXXI c'è architettura, design, cinema, letteratura, danza? Più che giusto, come in tutti i migliori musei del mondo di arte contemporanea. Il MaXXI è e deve rimanere un museo e per restare tale deve mantenere l'apertura interdisciplinare. L'importante è avere figure direzionali serie ed esperte, curatori preparati e attenti (avvalendosi di volta in volta anche di curatori indipendenti specialisti) e rigore scientifico e alto senso della qualità in tutto quello che si fa». Secondo Achille Bonito Oliva, «il MaXXI ha preso il trend per diventare l’istituzione atta a celebrare il matrimonio morganatico tra arte e architettura, in direzione di uno sconfinamento di tutti i linguaggi tra di loro. Questo grazie a un direttore artistico come Hou Hanru, che si intende tanto di arte quanto di architettura, dei due bravi direttori di MaXXI Arte e MaXXI Architettura, Anna Mattirolo e Margherita Guccione, e grazie al dinamismo della presidente Giovanna Melandri». Commenta Stefano Chiodi, docente di Storia e teoria dell'arte contemporanea all'Università di Roma Tre: «Per la sua natura di “piattaforma” culturale, più che di museo tradizionale, il MaXXI deve cercare nuove forme di relazione tra forme artistiche contemporanee in senso ampio e pubblico. Ben venga dunque un programma diversificato e ricco, senza dimenticare al tempo stesso di fornire chiavi di lettura e interpretazione critica del mondo che ci circonda». Le parole di Ludovico Pratesi, direttore del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro: «Il MaXXI è un museo complesso, ambizioso e simbolicamente importante, che concentra aspettative spesso eccessive. Dopo anni di difficoltà e battute d'arresto (come il commissariamento del museo) mi pare che sia entrato a regime grazie  alla nomina del direttore Hou Hanru, professionista capace e dinamico. Credo che la sua presenza, abbinata alle direzioni di arte e di architettura in un lavoro comune e di squadra, possa dare al museo una prospettiva più che soddisfacente».
Adriana Polveroni, direttore di «Exibart»: «Il MaXXI vive un processo di ibridazione da “Museo” a luogo di intrattenimento multimediale e multifunzionale. Personalmente non sono allarmata da questo, se la qualità dell'offerta culturale si mantiene alta, mirando a fare del museo anche un luogo di ricerca sull'arte, distinguendosi quindi consapevolmente dal resto dell'offerta necessaria per sopravvivere. Per questi motivi oggi il MaXXI è, suo malgrado, una “creatura sperimentale”, che “performa” in tempo reale un percorso i cui esiti non sono scontati».
Positivo, eccetto un neo, anche il giudizio di Marco Senaldi, docente di Storia dell’arte contemporanea presso lo Iulm di Milano: «Lasciamo stare le pre e postpolemiche: il MaXXI, come tale, è oggi uno dei pochi segni potentemente innovativi a livello architettonico e culturale in Italia. Alcune proposte espositive (una per tutte, la straordinaria videoinstallazione multipla di Fiona Tan, sottovalutata dalla scioccamente snobista critica nostrana) sono eccellenza. Incontri, lezioni, cicli, persino lo yoga, vanno bene: il problema però non sono le attività di contorno, ma il piatto forte, il progetto che sia davvero all'altezza di un simile contenitore. Quello dobbiamo ancora vederlo».
Ancora più articolato il commento di Angela Vettese, docente allo Iuav e assessore alla cultura di Venezia: «Il MaXXI è un bellissimo edificio che contrasta con le necessità di un centro polivalente, non avendo luoghi e strutture pensati per le funzioni che deve assolvere. Un problema già chiaro alla nascita, che si è cercato di risolvere con qualche onorevole aggiustamento. Ciò detto, il problema maggiore è la fragilità di una governance condizionata da politica, burocrazia e carenza di budget; non a caso la direzione è stata rifiutata da molti curatori internazionali e l'arrivo di Hou Hanru è un miracolo. Lasciamolo lavorare e speriamo nella sua energia».
Negativa è l’opinione di Paolo Portoghesi: «Il MaXXI è un’istituzione ancora alla ricerca di una sua identità. Ben venga un intellettuale come Hou Hanru, che è anche un politico, purché si renda conto che per farsi interprete di un’aspirazione condivisa dalla città, il museo dovrà rinunciare al modello aristocratico e settario che ha perseguito nei suoi primi anni di vita.» Ancora più drastica Alessandra Mammì de «L’Espresso»: «Non sono purista e il terreno dai confini sfumati fra le arti è quello che mi ha sempre più attirato. Ma si tratta di individuare i confini sfumati che danno luce ai linguaggi e alle ricerche, e non una piattaforma per macchinette a scontro. E sinceramente anche se scrivo di cinema e pratico yoga da quando avevo vent'anni, le sfumature fra yoga e cinema mi sfuggono. Come mi sfugge al momento l'identità del MaXXI.» Critico anche Edoardo Sassi del «Corriere della Sera»: «Qualche mostra non male. Ma un'identità non l'ha ancora trovata. L'architettura, piaccia o no, si percepisce già da fuori. Molti si accontentano di quella, del piazzale. Ma in quanti entrano davvero, pagando? Quanti tornano? Senza quasi collezioni e con pochi soldi bisognerebbe osare, far circolare idee, vere. Un conto aprirsi ai linguaggi eterodossi; altro conto fare corsi di yoga a pagamento, incontri con santone ed eventi aziendali vari. Per l'Aquafan mancano solo scivoli e cascate». 
L’architetto Francesco Venezia non usa circonlocuzioni: «La rotta è insicura. Governa confusione. Al presidente che ha detto di fare del MaXXI una sorta di Foro Romano consiglierei di leggere cosa pensava Seneca del Foro Romano («Lettere a Lucilio»). Rinnoverei la tradizione delle grandi mostre di architettura. “…Una piattaforma aperta a tutti i linguaggi del contemporaneo…integrare pubblici diversi…” mi sembrano espressioni prive di senso». Ecco che cosa manca al MaXXI secondo Marco De Michelis, docente di Storia dell’Architettura preso lo Iuav di Venezia: «Al MaXXI manca una cosa: un direttore, autorevole, informato, capace di dialogare con le istituzioni sorelle, con gli artisti, con critici e curatori, con gli sponsor, anche con il mercato, infine con i "direttori" di arte e architettura. C'è un presidente ex ministro; un direttore artistico finalmente bravissimo; curatori appassionati. Ma manca un direttore capace di dare forma a una identità e a un programma». Gli appunti di Luca Cerizza, critico d’arte e curatore: «Il MaXXI nasce con un vizio di forma e un vizio di interpretazione. La forma è quella di un edificio complesso e difficile per ospitare le diverse declinazioni dell'arte contemporanea. L'interpretazione è quella che, mi sembra, finora nessuno abbia avuto la forza e la visione di seguire. Quella, cioè, di fare dei limiti di questo edificio una forza: trasformarlo in uno spazio per azione più che per conservazione, per le manifestazioni effimere (istallazioni site-specific, performance e suono, per esempio) piuttosto che per l'oggetto. Sono sicuro che Hou Hanru, con la sua capacità di lavorare sull'istallazione e lo spazio, saprà interpretare al meglio questo luogo. Ne abbiamo tutti bisogno». Franziska Nori, direttore del Centro di cultura contemporanea Strozzina di Firenze, mette in guardia su un dato specifico: «L'attuale supremazia dell'approccio numerico, dai numeri di visitatori alle somme di sponsoring e dei ricavi: pur essendo strumenti amministrativi necessari, non possono diventare l'orizzonte unico delle nostre istituzioni museali. I musei hanno il grandissimo potenziale di essere ben di più che amministratori di oggetti d'arte o contenitori per macroeventi blockbuster, perché devono essere grandi laboratori di pensiero per studiare il nostro passato e sopratutto per generare prospettive per il nostro futuro e per la nostra identità culturale collettiva. Il MaXXI ha tutte le caratteristiche per essere internazionalmente il vanto dell'Italia, rendiamolo vivo».Giorgio Verzotti, condirettore artistico di ArteFiera Bologna: «Io vedo il MaXXI come il primo museo d’arte contemporanea non di Roma, ma d’Italia, questa deve essere la sua forza, che tutti noi dobbiamo contribuire a costruire. I punti di debolezza sono due: primo, è un museo italiano, quindi sempre senza i fondi necessari per una normale (e quindi complessa) attività; secondo, è opera di una archistar che si crede un’artista, quindi pensata non a vantaggio ma a danno delle opere degli artisti “veri”». 
Limpido è il ruolo del MaXXI per l’architetto Luca Molinari, responsabile scientifico per l’architettura alla Triennale di Milano: «Malgrado alcune criticità credo che il ruolo del MaXXI all'interno del contesto italiano sia fondamentale e necessario. Riguardo le esperienze legate all'architettura il fatto che questo Centro sia un referente credibile nella raccolta e promozione dei archivi importanti del ’900 lo rende strategico, così come le attività legate a Yap hanno dato a molti studi emergenti una visibilità unica per il nostro Paese. Credo sia importante dare fiducia a una struttura che sta imparando dai propri limiti, fisici e finanziari, a costruire una strategia originale e capace di parlare insieme alla città che la ospita come a tutto il Paese. Sono sicuro che l'acquisizione di una maggiore sicurezza porterà a scelte curatoriali ancora più ambiziose e innovative rispetto ai tempi che stiamo affrontando».
Guarda al futuro Michele Dantini, docente di Storia dell'arte contemporanea presso l'Università del Piemonte orientale: «Il MaXXI può diventare una grande casa della ricerca applicata. Storia e critica d’arte, curatorship, restauro di contemporaneo, architettura e design, tecnologia. Seguo con particolare attenzione i laboratori internazionali dove artisti e designer si occupano di progetti concreti collaborando con tecnologi. Il modello è il secondo Bauhaus. Per adesso credo di essere il solo, in Italia, a occuparsi di “creative technology”. Ma a mio avviso è questa la direzione più promettente».
La parola, ora, al direttore MaXXI Arte, Anna Mattirolo: «Il progetto del MaXXI si realizza solo inserendolo in una prospettiva a medio-lungo termine. Prospettiva e programmazione sono fondamentali tanto più in un contesto sociale ed economico in profonda evoluzione. Oggi, infatti, è in discussione proprio il ruolo del museo, che deve ritornare a creare senso di appartenenza per la collettività che lo ospita. Per questo diventa urgente ridisegnarne le funzioni in una nuova prospettiva: abbiamo a disposizione un patrimonio di cultura e di professionalità dal quale attingere per sperimentare nuovi modelli del tutto originali. È questa la scommessa e la responsabilità di un progetto pubblico, come quello del MaXXI: un luogo nel quale cultura è circolazione e coinvolgimento sulla base di programmi coerenti e di forte valore culturale».
Chiude la rassegna di opinioni il direttore di MaXXI Architettura, Margherita Guccione: «Dal mio punto di vista vorrei sottolineare la presenza nel MaXXI del primo Museo nazionale di architettura, un'istituzione del tutto nuova in Italia che ha raccolto la sfida di affrontare temi e figure dell'architettura italiana e non, dal Novecento all'attualità. Il programma ambizioso era ed è di lavorare sull'identità italiana, così rilevante da essere oggetto anche della prossima Biennale di Rem Koolhaas, e in questi anni abbiamo sperimentato diverse forme per presentare l'architettura al grande pubblico in modo scientifico, creativo e trasversale. Il percorso finora seguito ha cercato di tenere insieme specialismo e divulgazione, sviluppando il dialogo con le altre forme di creatività, ma la nostra dimensione è chiaramente quella museale, accettando anche quanto di inattuale ciò comporta. Lo raccontano i nostri progetti e le nostre mostre e il buon successo che riscuotono. Come Museo guardiamo in una prospettiva lunga ...».

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da Il Giornale dell'Arte , edizione online, 28 aprile 2014