I tempi sono cambiati: arte irregolare, partecipazione e welfare culturale
Il biennio 2015-2016 verrà ricordato probabilmente come il momento in cui il sistema dell’arte internazionale ha cominciato a legittimare e integrare ai suoi massimi livelli esperienze sociali produttive di bellezza e condivisione, riconoscendo la qualità estetica ed artistica di alcune pratiche che negli scorsi decenni sono cresciute negli spazi angusti del welfare sanitario e sociale italiano. Il 3 ottobre, a Londra, in occasione di una delle più importanti fiere di arte contemporanea al mondo, Frieze Art Fair, nella galleria “Moretti” dedicata al meglio degli old Master italiani, inaugura “The Guardian Animals + other invisible beings”, la mostra degli “irregolarii” dell’atelier dell’Errore, il progetto co-autoriale che l’artista Luca Santiago Mora sviluppa da 15 anni nel reparto di neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Reggio Emilia. Un progetto che nella sua grazia ha incantato Maramotti, patron di Max Mara: “il “marginale” sociale, psichico e fisico o la persona “non normodotata”, uscita dalle periferie della narrazione dominante che vede nel gesto e nel segno artistico solo una possibilità di espressione dal valore terapeutico, per affermare la possibilità di una produzione estetica”
Il biennio 2015-2016 verrà ricordato probabilmente come il momento in cui il sistema dell’arte internazionale ha cominciato a legittimare e integrare ai suoi massimi livelli esperienze sociali produttive di bellezza e condivisione, riconoscendo la qualità estetica ed artistica di alcune pratiche che negli scorsi decenni sono cresciute negli spazi angusti del welfare sanitario e sociale italiano.
Questa esplosione di interesse per “l’arte irregolare” non può e non potrà che accompagnarsi alla ri-definizione dei temi e delle forme del welfare stesso, imponendo una riflessione sulla creatività intesa come partecipazione culturale e sul ruolo delle istituzioni pubbliche e private nell’accompagnare esperienze di condivisione sociale, finalizzate alla valorizzazione del diritto dei “marginali” all’accesso paritario alla produzione e fruizione di cultura.
Alcuni eventi concorrono, infatti, a valorizzare un’attitudine tutta italiana alla trasformazione dell’arte partecipata e relazionale in una forma di produzione estetica capace di superare le ormai strette categorie dell’ Arte relazionale e sociale, dell’Art Brut e dell’Outsider Art, in vista della legittimazione definitiva del portato artistico e culturale di esperienze nate per tenere assieme: utopia e realtà, estetica ed espressione esistenziale, dinamica della cura e dell’inclusione sociale, istituzioni culturali e mercato.
Da una parte, infatti, il meritato riconoscimento del lavoro più che decennale dell’“Atelier dell’errore”, una delle maggiori esperienze di espressività artistica da parte di ragazzi con disabilità mentale ideata 14 anni fa presso l’Asl di Reggio Emilia dall’artista Luca Santiago Mora: prima con la mostra milanese “Uomini come cibo”, promossa dal Gruppo Max Mara e dalla Collezione Maramotti durante Expo2015; e successivamente con la mostra “The Guardian Animals + other invisible beings” che inaugurerà il 3 ottobre prossimo a Londra, in occasione di una delle più importanti fiere di arte contemporanea al mondo (Frieze Art Fair) presso la galleria “Moretti Fine Art”.
Dall’altra parte, l’inaugurazione della stagione espositiva 2016/2017 di “Singolare e Plurale” curata da Tea Taramino, nei prestigiosi locali di Palazzo Barolo a Torino, che segna un importante passo in avanti nello sviluppo di un polo dell’Arte plurale e Irregolare in Italia.
Se pur appartenenti a due domini differenti del “sistema dell’arte” (“marketing sociale”, il primo; welfare, il secondo), questi due eventi segnano il cambio di attenzione rispetto a un fenomeno che sempre di più va legittimandosi come integrato con il sistema delle “arti del contemporaneo”. Mentre l’attenzione dedicata all’Atelier dell’errore indica il riconoscimento da parte del mercato dell’arte, della critica e dei grandi gruppi finanziari alle possibilità espressive ed economiche generate da esperienze artistiche ancora in qualche modo legate all’Art Brut e all’ Outsider Art, il caso torinese dimostra la sua specificità: i suoi peculiari caratteri anticipatori, visionari e sperimentali. “Singolare e Plurale” è infatti una rassegna di arte erede di un percorso nato dalla collaborazione tra enti pubblici e privati torinesi, che è stato capace di diventare laboratorio di buone pratiche, facendo gemmare esperienze di sussidiarietà artistica e sociale che ormai coinvolgono decine di soggetti locali, nazionali e internazionali. Nato nel 1993 da una suggestione di Tea Taramino e Giustino Caposciutti (artisti ed educatori del Comune di Torino), di un gallerista come Gianfranco Billoti e dell’amministrazione pubblica torinese, il percorso che ha portato a realtà come “Arte Plurale” e “Singolare Plurale” si è dimostrato essere una delle maggiori esperienze di welfare culturale e sociale degli ultimi decenni, aggregando attorno alla produzione e all’esposizione di arte irregolare istituzioni pubbliche e private. L’attuale coagularsi di varie realtà attorno all’ormai assodata collaborazione tra la Fondazione “Opera Barolo”, InGenio bottega d’arti e antichi mestieri e InGenio Arte Contemporanea, il Comune di Torino e di molte associazioni culturali in direzione della creazione di un “Polo delle arti Irregolari”, è la dimostrazione che l’attività sussidiaria di pubblico e privato può generare realtà di altissima qualità a livello internazionale, in cui artisti affermati e “irregolari” possono lavorare all’insegna della co-autorialità paritaria. La sperimentazione portata avanti negli ultimi venti anni a Torino si pone, infatti, come una delle migliori espressioni della Participatory Art in Italia ed Europa, oltrepassando la retorica della produzione artistica cooperativa e partecipativa in direzione dell’inclusione delle differenze psico-fisiche, della malattia mentale e delle disabilità, generando una pratica artistica capace di superare i limiti delle narrazioni terapeutiche, sociali e relazionali ancora molto diffuse. Le rassegne passate di arte plurale e i laboratori d’arte gestiti dall’amministrazione comunale e dalle associazioni di territorio che operano nel sociale come nel mondo dell’arte, l’appoggio di Fondazioni bancarie e Filantropiche come l’Opera Barolo, il coinvolgimento delle Università, dei Musei, di critici, curatori e artisti di livello internazionale, capaci di entrare in relazione con artisti portatori di disabilità o disagio sociale, ha prodotto uno spazio in cui l’arte non è semplice espressione del mondo interiore degli irregolari, ma produzione artistica di alto livello, dotata di qualità stilistica, poetica specifica, soggettività e sperimentazione sui linguaggi e la materia, facendo di queste esperienze fenomeni dell’arte contemporanea tout court. La grande sfida di questa, che a tutti gli effetti è stata un’operazione culturale e sociale, pienamente realizzatasi negli scorsi decenni, era affermare che il “marginale” sociale, psichico e fisico o la persona “non normodotata”, potesse uscire dalle periferie della narrazione dominante, che vedevano nel gesto e nel segno artistico solo una possibilità di espressione dal valore terapeutico, affermando, al contempo, la possibilità di una produzione estetica che fosse, come l’ha opportunamente definita Bianca Tosatti, un “arte Irregolare” in quanto pratica dal valore creativo ed estetico di qualità riconosciuta prodotta da “irregolari”. Questa grande esperienza torinese, ormai divenuta elemento riconosciuto e riconoscibile nel dibattito internazionale, è stata mossa dal presupposto che la bellezza, la grazia e il lavoro artistico fossero un diritto dell’irregolare e che l’arte fosse un elemento capace di donare dignità a esistenze spesso marginalizzate. La crisi economica e sociale che negli ultimi anni si sta accompagnando alla globalizzazione rischia di mettere in mora molti dei risultati che esperienze come queste hanno raggiunto.
Per questo motivo, bisognerebbe cominciare a porsi una riflessione sulle evoluzione delle politiche pubbliche e delle azioni sussidiarie che il privato può compiere in direzione di un welfare culturale, che per sua natura si pone come trasversale a tutte le altre politiche sociali. Il momento sembra opportuno anche a causa dell’attenzione che il mercato e i grandi gruppi finanziari stanno accordando al fenomeno, che entro poco tempo sarà in grado di diventare anche un generatore di risorse economiche.
Roberto Mastroianni è filosofo, curatore e critico d’arte, ricercatore esterno di semiotica, estetica filosofica e filosofia del linguaggio presso il C.I.RC.e- Centro Interdipartimentale Ricerche sulla Comunicazione e la Unesco Chair in Sviluppo sostenibile e management territoriale dell’Università degli Studi di Torino. Laureato in Filosofia Teoretica, sotto la supervisione di Gianni Vattimo e Roberto Salizzoni, è dottore di Ricerca in Scienze e Progetto della Comunicazione, sotto la supervisione di Ugo Volli. Si occupa di Filosofia del Linguaggio, Estetica filosofica, Teoria generale della Politica, Antropologia, Semiotica, Comunicazione, Arte e Critica filosofica. Ha curato libri di teoria della politica, scritto saggi di filosofia e arte contemporanea e curato diverse esposizioni museali in Italia e all’estero. Ha tenuto seminari, lezioni e conferenze in differenti Università italiane e straniere.