Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Gli americani scoprono la Woodman

  • Pubblicato il: 16/03/2012 - 08:36
Autore/i: 
Rubrica: 
DAL MONDO
Articolo a cura di: 
Helen Stoilas

New York. Francesca Woodman ebbe una breve carriera (si tolse la vita all’età di 22 anni nel 1981), ma la sua opera si è guadagnata una considerevole attenzione di critica. A partire dagli anni Novanta le sue fotografie sono state oggetto di numerose mostre in Europa, assai più raramente in America. «Pensavo che fosse un nome più familiare, ma forse lo è solo nel mondo dell’arte», ha commentato Jennifer Blessing, senior curator per la fotografia al Guggenheim, organizzatrice della tappa newyorkese (dal 16 marzo al 13 giugno) della retrospettiva che ha esordito lo scorso novembre al San Francisco Museum of Modern Art a cura di Corey Keller. L’iniziativa intende offrire un’indagine completa dell’attività della fotografa americana, che lavorò prevalentemente in bianco e nero e utilizzò se stessa come soggetto. Molte delle opere, tra cui alcune mai mostrate in pubblico prima, sono state concesse in prestito dai genitori (anch’essi artisti). In mostra figurano inoltre fotografie di grande formato realizzate a processo eliografico appena prima della sua morte che «suggeriscono una diversa direzione verso cui avrebbe potuto orientarsi», osserva la Blessing. Diversamente dalle sue abituali fotografie di giovani donne fissate in pose contorte o in interni abbandonati, queste opere raffigurano graziose, serene cariatidi. Il Metropolitan Museum possiede una di queste opere tarde, l’eliografia da 4,5 metri di altezza «Blueprint for a Temple», 1980, e ha colto l’opportunità di includerla nella mostra contemporanea «Spie nella casa dell’arte: fotografie, film e video» (fino al 26 agosto). Il piccolo gruppo di sei video realizzato solo per la sua famiglia e da poco riscoperto rivela gli aspetti performativi della sua opera. «Avrete l’opportunità di vedere il corpo che si muove nello spazio, dice la Blessing. Ascolterete un po’ della sua voce, che perlopiù sembra dare indicazioni ai suoi collaboratori. In un paio di casi scatta anche fotografie di oggetti che ha filmato».
La mostra di New York segue il progetto della Keller per San Francisco ma, data l’architettura del Guggenheim e il minor spazio a disposizione, «il percorso sarà un po’ meno lineare e più concentrato».
Le aspettative comunque sono alte perché il pubblico «ha dimostrato di essere molto interessato».

© Riproduzione riservata

da Il Giornale dell'Arte numero 318, marzo 2012