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Giuseppe Terragni al Ciac di Foligno

  • Pubblicato il: 17/11/2012 - 16:02
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FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Alessandro Rocca
Casa del Fascio a Como (1928-36); Villa Bianca a Seveso

Foligno (Perugia). Nessun architetto ha incarnato il mito dell’architettura italiana come Giuseppe Terragni (1904-1943). Perché un mito dell’architettura italiana esiste e si trova in quel misterioso luogo in cui s’incontrano classicismo e modernismo, il rigore del nord e la forma del sud. Una grande mostra prodotta dal Ciac (Centro italiano arte contemporanea), rinforza il profilo magnetico di Terragni proponendo i disegni originali di sedici progetti, la proiezione delle fotografie di Paolo Rosselli, un video in cui Daniel Libeskind racconta la sua esperienza dell’architettura di Terragni, una serie di diciotto dipinti in cui l’artista comasco Fabrizio Musa rivisita, oggi, le principali opere realizzate, un catalogo con un’ottima selezione di materiali.

Tra i progetti, l’ineffabile Danteum, un luogo celebrativo in cui Terragni affronta il tema del sublime con strumenti che, passata la seconda guerra mondiale, filtrano direttamente nella cultura architettonica e artistica contemporanea. Una continuità coltivata soprattutto da Peter Eisenman che, attraverso i suoi scritti e i suoi progetti, è stato il più efficace traghettatore dell’opera di Terragni dal ventennio fascista ai giorni nostri. La serie dei progetti realizzati celebra un altro mito inossidabile, i fantastici Anni Trenta in cui l’immaginazione giunse al potere e, attraverso la sintesi del muro bianco e l’astrazione strutturale, inventò un mondo affascinante e impossibile. L’angolo suprematista del Novocomum (1927-29), le passerelle sospese di casa Rustici (1933-36), i telai dell’asilo Sant’Elia (1935-37), le trame concettuali di villa Bianca (1936-37), i ricami razionali di casa Giuliani Frigerio (1939) raccontano una stagione straordinariamente intensa, e brevissima, in cui Terragni sembra attraversare uno stato di grazia che gli permette d’inventare manifestazioni perfette e personalissime dell’utopia razionalista.
L’apice di questa parabola è, per l’originalità e per la forza iconica dell’edificio, la Casa del fascio di Como, che racchiude l’impossibile sintesi tra dinamismo e stabilità, tra modernismo e monumentalismo.
Nella sua introduzione alla mostra il nipote Attilio Terragni, architetto e curatore della mostra insieme a Italo Tomassoni, parte dal Danteum, il «monumento moderno» che, a suo avviso, ricompone la dialettica tra avanguardia e tradizione attraverso una sintesi superiore. Anche Tomassoni sottolinea la particolare rilevanza di questo progetto, iniziato nel 1938 (a seguito di un incarico di forte significato politico), e che illumina una particolare linea di ricerca dominata dall’astrazione matematica e dall’ermetismo.
Forse la grandezza di Terragni è davvero indiscutibile proprio per l’incredibile qualità di progetti che sono innegabilmente intrisi di retorica fascista, come la Casa del fascio di Como, il concorso per il palazzo del littorio a Roma (1934), il Danteum, dove ha saputo affrontare temi insidiosi come la retorica politica, la propaganda, la bellezza senza tempo, rimanendo fedele alla propria idea di architettura.
La mostra offre l’occasione, dopo il «Terragni architetto europeo» allestito a Como nel 2004, di un’ulteriore riflessione su un protagonista che, come ricorda Manuel Orazi nel catalogo, è scomparso nel 1941, a trentasette anni, dopo essere stato psichicamente annientato dalla campagna di Russia. È oggi veramente difficile, ma anche molto intrigante, provare a immaginare quali nuove strade avrebbero potuto intraprendere il suo pensiero e la sua pratica dell’architettura.
Se Terragni fosse approdato al dopoguerra.

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da Il Giornale dell'Architettura numero 110, novembre 2012