Genova: ambizione superba. Nona puntata della prima catalogazione nazionale dei principali problemi delle città italiane del Giornale dell’Arte
Genova. Il progetto è quello di vent’anni fa: fare di Genova una grande città d’arte. La prima metamorfosi è degli anni Ottanta, conclusa con l’Expo per le celebrazioni Colombiane del 1992. Il segno più evidente della svolta è stato il Porto Antico stravolto da Renzo Piano, genovese doc, che ne ha fatto un centro per eventi, con l’acquario più grande d’Europa e le banchine finalmente aperte al mare.
Miliardi (di lire) dallo Stato e dalla Ue che sono arrivati anche per il famigerato G8 del 2001 e sono diventati milioni di euro per il 2004, l’anno di Genova Capitale europea della Cultura che per l’occasione ha fatto rivivere con restauri e riallestimenti straordinari i palazzia musei di via Garibaldi, che tutti chiamano Strada Nuova. Intanto erano rinati anche il Teatro Carlo Felice e Palazzo Ducale, con le sue grandi mostre di successo. E poi Palazzo Spinola, la pinacoteca più importante di Genova, e Palazzo Reale, proprio su Strada Nuova, i due musei statali della città. Forti investimenti e volontà politica hanno cambiato tutto e segnato il futuro di una città che a fatica riconosce se stessa, coinvolta in una offerta culturale alla quale forse non è ancora preparata: teatri, eventi, musica e una trentina di musei (circa venti del Comune). I suoi stessi abitanti scoprono con difficoltà meraviglie a lungo nascoste dal ruolo dominante del porto e della grande industria di Stato.
Un futuro difficile
Il sindaco Marco Doria, genovese, nobile erede di un ramo della celebre famiglia, ordinario di Storia economica all’Università, è in carica da meno di un anno. «Quella di Genova città di cultura e d’arte è una identità fortemente motivata», ci conferma nel suo studio affacciato sui tetti di Strada Nuova, la via dei musei, con vista fino al mare. «Era una repubblica marinara, una città importante del Medioevo italiano. Ha chiese e palazzi bellissimi, con opere di Rubens, Van Dyck e tanti altri. Insomma è sempre stata, di fatto, città d’arte». Oggi, al tempo della crisi, il Comune è diventato povero e deve sostenere i suoi venti musei e i programmi della cultura cittadina. «La crisi c’è, dice Doria.L’investimento fatto è stato positivo, il recupero del centro storico ha riscoperto l’altra identità di Genova, quella dell’arte e della cultura: ha cambiato la città, migliorato la qualità della vita, ci siamo assunti la responsabilità del nostro patrimonio. Sono tutte buone ragioni per sostenere ancora quella scelta. Ora però dobbiamo darne una lettura più “economica”. La possibilità di forti risorse per la cultura si è ridimensionata. Siamo impegnati a mantenere quello che abbiamo. Per ora ce la facciamo a gestire tutto. Ma in questa situazione faticosa devo puntare sulle eccellenze». Quelle sulle quali punta il Comune sono due: Palazzo Ducale e i Musei di Strada Nuova (Palazzo Rosso, Palazzo Bianco, Palazzo Tursi), che sono tutt’uno con Palazzo Reale (dello Stato). Musei straordinari, che conservano in parte il loro antico arredamento e sono allineati lungo la via, da anni solo pedonale. Fanno parte dei 42 «Palazzi dei Rolli», sparsi nel cuore di Genova, dal 2006 Patrimonio dell’Umanità Unesco. Musei splendidi ma ancora poco visitati: meno di 100mila persone nel 2012, in calo rispetto al 2011.
Il ruolo di Palazzo Ducale
L’altra eccellenza sulla quale punta il Comune è Palazzo Ducale, centro e traino di tutto il sistema dei musei e della cultura cittadina. «Quando è stato ristrutturato, nel 1992, è nato come una Spa del Comune», spiega Luca Borzani, già assessore alla Cultura e ora a capo della struttura e animatore di tutto quello che ruota intorno al Palazzo. «Nel 2008 si è trasformato in Fondazione con l’ingresso di soci privati» (Compagnia di San Paolo, Fondazione Carige e Costa Edutainment; sponsor istituzionale Gruppo Iren). A Palazzo Ducale si facevano da tempo grandi mostre, a volte molto costose. Oggi le attività sono diversificate e la spesa per il Comune, che è parte della Fondazione e sul quale gravano i costi di gestione del complesso, diminuisce. «Nel 2008, dice ancora Borzani, i contributi pubblici erano di 2 milioni all’anno. Nel 2012 siamo scesi a 1,5, mantenendo il pareggio di bilancio. Abbiamo ricostruito una vitalità complessiva del palazzo anche con la regìa di altre attività. Ci muoviamo su obiettivi concordati con il Comune, conservando l’autonomia di programmazione».
La Fondazione di Palazzo Ducale non si limita alle mostre (in corso fino ad aprile quella su Miró): «Per la città questo deve diventare il luogo del confronto e della circolazione delle idee, continua Borzani. Dobbiamo dare al pubblico la possibilità di seguire le trasformazioni in corso, quello che il modello televisivo nega». A primavera si terrà la terza edizione di «La Storia in piazza», curata dall’inglese David Sassoon che nel 2012, in quattro giorni, ha avuto 25mila partecipanti con interventi di importanti intellettuali e storici. Ingresso gratis per tutti. In autunno c’è il «Festival della Scienza». Quest’anno ci sarà un’iniziativa nuova, anche questa gratuita, «L’Altra Metà del Libro». Borzani la descrive come «un rapporto tra autori e lettori». Dura tutto l’anno e coinvolge anche le biblioteche di quartiere. «Saranno 250 incontri, quasi uno al giorno. Sono vere lezioni, la gente ne esce sapendo qualcosa di più e divertendosi. Per queste iniziative gratuite abbiamo circa 200mila presenze all’anno. Molti sono anziani, pensionati: questa è sempre stata una città di operai colti». Il bilancio di Palazzo Ducale è positivo, in tutto circa 600mila presenze nel 2012, ma il futuro è incerto. La situazione finanziaria viene definita da Borzani «molto complicata». «Il ruolo di Palazzo Ducale si deve consolidare, dice, ma non è facile con le risorse che abbiamo. Per questo la nostra scelta è stata di appoggiarci a privati che sostengono gran parte dei costi, soprattutto delle mostre. Penso a Linea d’Ombra di Marco Goldin e al successo di pubblico della sua mostra su Van Gogh e Gauguin (2012), o a questa di Miró, una coproduzione, che porterà circa 80mila visitatori. Vorremmo essere di nuovo noi a proporre e produrre una grande mostra per il 2015».
Lo Stato non c’è più
Qui la forza economica dello Stato è venuta meno e Genova è fragile, anche perché la presenza dei privati è davvero marginale. Su questo il sindaco Doria è chiaro. «Cambiare la nostra realtà urbana, come è stato fatto negli anni passati, vuol dire grandi investimenti pubblici, soprattutto statali, che fanno da volano. Solo così è stato possibile il recupero del centro storico e il rilancio di Genova come città d’arte. Accade qui quello che sta succedendo in Italia: al di là delle eccellenze, Siena e Venezia, Roma e Firenze il resto è come a Genova: un enorme patrimonio diffuso, sostanzialmente ignorato, che non riusciamo a valorizzare. Come amministratore devo continuamente scegliere dove destinare le risorse, davvero scarse».
Obiettivo turismo
Sarebbe stata necessaria una svolta più rapida e decisa. Finita la fase degli investimenti sul centro storico, il successo della nuova Genova della cultura è stato bloccato dalla crisi prima di ottenere i risultati sperati. Le statistiche dicono che nel 2012 circa 800mila persone hanno dormito negli alberghi di Genova. Quasi metà stranieri. Sono tanti per questa città che vent’anni fa nessuno considerava città d’arte. Ora però i dati mostrano una stasi o lievi flessioni. I venti musei comunali raccolgono insieme 530mila visitatori, insufficienti a sostenerli. La grande risorsa resta l’Acquario, l’anno scorso 1,1 milioni di visitatori, in calo rispetto al picco di 1,4 milioni del 2008. Si sta ora lavorando per rinnovare il suo appeal con una grande vasca per i delfini. Poco lontano dall’acquario è stato completato il Galata, Museo del Mare, con una nuova sezione dedicata all’emigrazione e la visita, spettacolare, al sommergibile Nazario Sauro, ancorato in acqua davanti al museo. Il museo, aperto nel 2004, oggi è il più visitato di Genova con 200mila presenze, raddoppiate in questi anni: un successo assai limitato se pensiamo che l’ingresso avviene con lo stesso biglietto del supervisitato acquario.
«Il sindaco ha scelto di creare, per la prima volta, un Assessorato alla Cultura e al Turismo, con l’idea di integrare i due settori», spiega Carla Sibilla, una manager arrivata a quell’Assessorato da una lunga esperienza proprio alla direzione dell’Acquario e del Galata nel gruppo Costa Edutainment, una delle realtà private più dinamiche di Genova. «Che cosa si può fare per valorizzare il nostro patrimonio?, si chiede. Penso intanto alla unione di pubblico e privato, come nella Fondazione di Palazzo Ducale. Si dovrà rilanciare anche il Museo del Mare con qualche novità, mostre e iniziative. Bisogna poi creare un circuito cittadino leggibile dai turisti e un legame tra i musei, per ora assente: il sistema non è ancora avviato. La difficoltà di ottenere nuovi flussi turistici dipende sicuramente anche dalla mancanza di una buona segnaletica e di una migliore comunicazione. Cercheremo di concentrarci su questi obiettivi usando le entrate della tassa di soggiorno istituita nell’aprile 2012. La stimiamo in circa 2 milioni di euro da investire in promozione e segnaletica usando naturalmente anche internet».
Una delle tare genovesi è sempre stata la scarsa capacità di dialogo tra le istituzioni (che Sibilla definisce «un elemento storico»), che può essere superato anche perché Regione e Comune sono entrambi governati dal centrosinistra. Ora è stato costituito un «Tavolo di promozione» con tutte le parti in causa. Sibilla cita come esempio di privati attivi la Fondazione Garrone (che partecipa alla gestione di Palazzo Ducale e ad altre iniziative), ma ammette che «ancora in città non è chiara la consapevolezza che la cultura, fondamentale per la tenuta sociale, può generare ricchezza».
Un ruolo importante svolge la Costa Edutainment, con il suo presidente Giuseppe Costa. La società è un piccolo colosso in Italia nel settore dei servizi per la cultura e l’intrattenimento, con un bilancio di circa 24 milioni di euro. Oltre all’Acquario e al Museo del Mare, gestisce gli acquari di Cattolica, Cala Gonone, Livorno ed è socia al 20% di Civita Servizi. A Genova, dal 2008 è nella Fondazione di Palazzo Ducale. Il giudizio di Costa sulla situazione genovese è netto: «Con il turismo e i musei partiamo da un livello molto basso. C’è l’esempio positivo di Palazzo Ducale con il quale abbiamo fatto un salto gestionale importante. Il 2012 chiude in pareggio con 500mila euro in meno di finanziamento dal Comune e più servizi erogati. Il sistema dei musei sconta invece ancora una forte rigidità di ruoli e di gestione, che andrebbe superata».
Letizia Radoni, responsabile della Banca d’Italia a Genova, dal suo osservatorio privilegiato con i dati della banca a disposizione, nel 2012 ha realizzato uno studio sul rapporto tra attività culturali e sviluppo economico in Italia. «È emerso, dice, un quadro di squilibrio tra conservazione e valorizzazione, scarsa integrazione tra finanza pubblica e privata, scarsa efficienza gestionale. Credo che a Genova si debba superare un problema di frammentazione, sono d’accordo con le proposte di accorpare quanto possibile. Genova, con una dotazione di musei così ricca e frammentata, ha i problemi tipici dell’industria culturale: grandissime potenzialità di attrattiva che non vengono valorizzate».
Un museo in liquidazione
La Fondazione Carige è l’unica importante fondazione di origine bancaria genovese, anche se il suo ruolo nella cultura è marginale. Di recente proprio la Carige ha «salvato» dalla chiusura il più antico museo della città, quello dell’Accademia Ligustica di Belle arti. Un museo importante, caro agli studiosi, che dovrebbe essere d’aiuto per gli studenti dell’Accademia (l’unica della Liguria): la sua pinacoteca presenta il meglio dell’arte ligure di cinque secoli. Il museo è da molti anni in abbandono, apre quattro ore per quattro pomeriggi alla settimana: sabato e domenica chiuso. Il personale è composto dal solo direttore e da un custode. Pochi sanno che questo museo esiste, anche se si affaccia su piazza De Ferrari, proprio di fronte a Palazzo Ducale. Lo visitano non più di 3mila persone all’anno. La Carige è intervenuta per evitare la chiusura del museo oppresso da debiti per meno di un milione. Non è stato un atto di generosità: tra roventi polemiche, per ripianare i conti la Carige ha trattato l’acquisto di 27 opere del museo che esporrà nella sua sede. Il problema dell’Accademia rimane comunque irrisolto, perché continuano a mancare i fondi per andare avanti.
Il presidente della Fondazione Palazzo Ducale, Luca Borzani, condivide una soluzione già proposta in passato: «Penso che le opere del museo dovrebbero essere integrate nelle collezioni civiche. Per questo c’è già un progetto comunale. Nato come supporto alla scuola, il museo viene utilizzato assai poco dagli studenti dell’Accademia». Insomma, la Pinacoteca dovrebbe finire, forse smembrata, nei musei di Strada Nuova, nonostante la difesa di molti intellettuali genovesi. Tra questi Giovanna Terminiello Rotondi, storica soprintendente genovese, da anni anima di molte iniziative della città.
Un tesoro nascosto
È paradossale, ma alcuni dei più bei musei di Genova restano marginali e assai poco visitati. Un caso emblematico è quello del più importante, la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola: ha arredi, affreschi e capolavori da Tintoretto e Van Dyck al famoso «Ecce Homo» di Antonello da Messina. Il soprintendente Andrea Muzzi ricorda come il palazzo sia un dono del 1958 degli Spinola allo Stato. Unica condizione: che tutto rimanesse com’era, una dimora museo. Uno splendore che attirasoltanto 30mila visitatori all’anno. «È un palazzo nascosto, dice Muzzi, invisibile al turista medio». In effetti è a pochi metri da Strada Nuova, cuore del sistema museale genovese, ma per raggiungerlo si percorrono stretti «carrugi», vicoletti in pendio, in una zona tra le più degradate, proprio accanto alle vie della prostituzione e dello spaccio. Una situazione peggiorata «in modo impressionante» negli ultimi quindici anni. «Genova non ha ancora un forte impatto turistico, continua Muzzi, mancano sia un pubblico borghese locale interessato all’arte, sia un forte volano culturale. Genova sfonda con l’Acquario, ma la dimora museo resta in disparte. Ci vorrebbe maggiore collaborazione tre istituzioni. Servirebbero investimenti e comunicazione». A Palazzo Spinola arriveranno presto anche le sette grandi tele del pittore barocco genovese Gregorio de Ferrari vendute sul mercato dagli eredi di un antiquario genovese per 700mila euro dopo rocambolesche vicende durate decenni. Nel 2012 lo Stato ha esercitato il diritto di prelazione: caso raro di lungimiranza statale. Da notare che Palazzo Spinola avrebbe anche un buon laboratorio di restauro, da tempo chiuso per problemi di sicurezza.
I musei dimenticati
Se Palazzo Spinola è nascosto e trascurato, molti altri musei di Genova sono dimenticati. Il Museo Chiossone, il più importante d’Europa per l’arte giapponese, è in cima a un giardino degradato, sporco e occupato da senzatetto. Sopravvive ignorato: soltanto 16mila i visitatori. Il Museo di Sant’Agostino, tra i più preziosi della città, ricavato da un convento del XIII secolo con una chiesa (ora chiusa) e un chiostro medievale, espone soprattutto statue e quadri, tra cui un capolavoro di Giovanni Pisano. Da quattro anni è in attesa che vengano usati i fondi europei già stanziati. I lavori stanno per cominciare. «È un museo che va ripensato, secondo Luca Borzani, deve diventare una specie di porta d’accesso al centro storico. Sarà pronto per il 2014». Si trova in pieno centro, accanto a una fermata della metropolitana: si deve accontentare di 23mila visitatori. Il nuovo Museo Mazziniano, dedicato al Risorgimento e aperto nel 2011 è vuoto: 6.600 visitatori. Stesso problema per l’eclettico, affascinante Castello D’Albertis, museo delle culture del mondo, accuratamente restaurato. Si raggiunge con un’ascensore e domina Genova dal monte Galletto. Il Museo Diocesano, accanto alla splendida Cattedrale, è stato appena riallestito e ampliato: è un altro gioiello sconosciuto. Caso più grave quello dei quattro musei di Nervi, tre ville sul mare tra giardini e parchi fioriti che espongono lasciti privati di collezioni che vanno dal ’600 al ’900. La Galleria d’Arte moderna di Villa Serra (4.400 visitatori), le raccolte Frugone a Villa Grimaldi (8mila) e il Museo Luxoro (2.500). L’ultimo è il più originale: aperto nel 1999, donato dal collezionista americanoMitchell Wolfson, è dedicato al ’900 e specializzato nell’arte di propaganda (appena 2.600 visitatori). Certo, Nervi è fuori rotta per il turista che a Genova non si ferma più di un giorno e mezzo in media. Lo stesso accade ai due musei di Pegli, l’Archeologico (19mila presenze) e il Navale (5mila).
Arte contemporanea: un esperimento
Anni fa sembrava che l’arte contemporanea potesse essere un settore interessante anche per Genova. In realtà le opere sono soprattutto nelle case di diversi importanti collezionisti privati. Di pubblico c’è soltanto Villa Croce, piccola e a lungo isolata. Il Comune ha deciso di promuovere questo unico polo dell’arte contemporanea. Ha fatto un concorso e trovato un giovane direttore:Ilaria Bonacossa dovrà rilanciare l’attività del museo facendone una Kunsthalle piuttosto che puntare sulla collezione permanente. L’idea è di stringere legami internazionali e dare spazio ai giovani. Una scommessa, pilotata dalla Fondazione di Palazzo Ducale.«Per due anni, spiega l’assessore Sibilla, l’attività del museo verrà finanziata dalle fondazioni Garrone e Malacalza con 100mila euro all’anno senza oneri per il Comune».
Salvare il progetto
Restano immutati i dubbi sul futuro dell’area urbana. L’affascinante, sorprendente degrado del centro storico, aggravato negli ultimi anni, costituisce una cesura tra il Porto Antico (con l’Acquario, il Galata, il mare) e la città con il dedalo di stretti vicoli che ostacolano un accesso fluido alla zona pregiata, tutelata dall’Unesco, intorno a via Garibaldi. Dal Comune per ora nessuna proposta. Qualcuno aveva addirittura suggerito di demolire alcuni isolati per liberare e valorizzare quelli che restano. L’altro tema, sempre attuale, è quello della «sopraelevata» che costeggia il Porto Antico: brutto sipario che divide la città dal mare. «C’è il progetto di Renzo Piano per un tunnel sotto il Porto Antico, ricorda il sindaco Doria. Lo stiamo rilanciando per farne un project financing con privati interessati. La sopraelevata oggi è indispensabile. Poi vedremo se mantenerla: una proposta è quella di demolirne soltanto la parte centrale che crea una cesura con il Porto Antico. Altri dicono: facciamone una passeggiata panoramica… Ne riparleremo».
Il Comune ha comunque altre urgenze. Anche i problemi dei musei e della cultura sono soffocati dalla crisi.
Nel 2007 Luca Borzani, allora assessore alla Cultura, aveva dichiarato a «Il Giornale dell’Arte»: «Il problema di fondo è questo: non so se avremo la forza economica di sostenere nel tempo tutto quello che stiamo costruendo». È il momento di affrontare e risolvere questo nodo. Le istituzioni sembrano pronte anche a scelte dolorose: accorpare, chiudere, trasferire, razionalizzare, fare sistema. Una cosa è chiara a tutti: si deve investire in comunicazione, far sapere a genovesi e turisti che la città offre una vivace attività culturale, eventi, teatri, splendidi musei. Bisogna salvare il progetto base sul quale Genova ha scommesso vent’anni fa. L’analisi di Borzani è chiara: «Oggi non abbiamo più una borghesia imprenditoriale, ma per Genova l’elemento più innovativo e trainante è la cultura. Le grandi imprese statali non ci sono più. Il porto è in crisi. L’Università resta un mondo a parte, abbastanza assente dal dibattito su cultura e musei». Un atteggiamento che Borzani definisce di «conservatorismo scaramantico». C’è un forte scarto tra risorse disponibili e programmi di espansione. «Credo,conclude Borzani, che il 2013 segnerà lo spartiacque tra chi saprà cambiare e sopravvivere e chi no».
Le altre puntate dell'inchiesta:
1. Bari, città senza musei
2. Firenze, si naviga a vista
3. Napoli, la normalità dell'emergenza
4. Roma. Una volta era la città eterna
5. Venezia contro Venezia, tra splendore e degrado
6. La dotta decadenza di Bologna
7. Miracolo a Milano: com’è piccola la Grande Brera
8. Torino: a rischio il «modello Cultura»
da Il Giornale dell'Arte numero 328, febbraio 2013