Fare della collocazione decentrata e periferica un punto di forza
Come è nata la Fondazione Museo della Fotografia? È un soggetto che potrebbe esistere senza una Fondazione?
All’atto della sua nascita, nel 2004, il Museo di Fotografia Contemporanea ha trovato nella fondazione di partecipazione il suo naturale e necessario sbocco giuridico e gestionale. Aveva alle spalle una storia di forte partenariato istituzionale: un gruppo di soggetti pubblici (Provincia di Milano, Comune di Cinisello Balsamo e Regione Lombardia, con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) avevano stretto il patto, e la scommessa, di realizzare il primo museo pubblico di fotografia in Italia, dotandolo delle rispettive collezioni fotografiche e di una sede prestigiosa nell’hinterland milanese (secondo un progetto ambizioso di decentramento e riqualificazione delle aree metropolitane). La Fondazione è nata nel 2005 con la Provincia di Milano e il Comune di Cinisello Balsamo come soci fondatori e Epson e L’Unione Sarda come partner privati. Questa gestione partecipata (che si sperava in realtà più allargata) e al tempo stesso privatistica ha permesso agli enti pubblici coinvolti di sgravare i propri bilanci dai costi e dalle responsabilità di gestione, di trasferire alla Fondazione un contributo annuale onnicomprensivo stabilito in Convezioni triennali e operare decisivi risparmi rispetto alla conduzione in economia. La Fondazione, proprietaria di se stessa, nel passaggio da pubblico a privato, ha dovuto fare i conti con costi più alti di quelli stimati nei più rosei studi di fattibilità a causa dell’emersione delle voci di spesa «nascoste» per il funzionamento della struttura (che hanno un’incidenza dell’80% sul bilancio complessivo). A parte ciò, fin da subito la Fondazione ha beneficiato delle ricadute positive in termini di organizzazione del lavoro, processi di produzione e relativi costi di una gestione flessibile e snella.
Le principali fonti di finanziamento della Fondazione provengono da Provincia e Comune. In che termini vi partecipano?
Il Comune e la Provincia, oltre al comodato d’uso gratuito di immobile e collezioni fotografiche, erogano un contributo annuale per la gestione nella misura di 400.000 euro cadauno, circa il 50% del bilancio complessivo della Fondazione.
La Fondazione riceve anche supporto dalle realtà private, quali sono e come sostengono le attività della Fondazione?
Epson, ad esempio, partecipa continuativamente alla vita del museo attraverso conferimenti annuali in denaro e sponsorizzazioni. La restante parte del fabbisogno è coperta da contributi finalizzati al sostegno di progetti e iniziative in gran parte di provenienza pubblica (soprattutto regionale) ma anche privata (in prevalenza da parte delle fondazioni bancarie e in minima parte dal mondo delle imprese attraverso sponsorizzazioni, cui s’aggiunge ora il sostegno derivante della neonata Associazione Amici del Museo di Fotografia Contemporanea). Le donazioni dirette da parte dei privati si situano più nel settore patrimoniale attraverso il conferimento di opere fotografiche o interi archivi.
La Fondazione sviluppa anche delle attività economiche?
Certo, sviluppa attività che generano proventi: quali bookshop, cessione di immagini per pubblicazioni, produzione e noleggio mostre, realizzazione prodotti editoriali, vendita pacchetti didattici, ideazione e realizzazione di eventi, allestimenti, servizi di catalogazione e digitalizzazione... I clienti sono prevalentemente enti pubblici, musei e istituzioni culturali, ma anche aziende, camere di commercio, case editrici e, recentemente, persino hotel!
Il Museo di Fotografia si pone al servizio delle comunità locali e si impegna nell’individuazione di pubblici differenziati e di forme di dialogo con l’esterno. Quali sono le azioni intraprese in questa direzione e quali i risultati ottenuti?
Il Museo di Fotografia Contemporanea fin dalla sua nascita ha operato per radicarsi nel territorio che lo ospita per dialogare con pubblici differenziati, nel tentativo di fare della sua collocazione decentrata e periferica un punto di forza. Una sfida non da poco, costruita attraverso alcune azioni a doppio senso di marcia, per portare il museo tra la gente e, viceversa, per portare al museo i pubblici più vari. Il Museo ha organizzato ad esempio una serie di mostre fotografiche all’aperto, nelle piazze e nelle vie della città, attraverso espositori da esterno dotati di pannelli fotovoltaici per l’illuminazione notturna (appositamente progettati dal Museo). Il Museo ha anche sviluppato una particolare vocazione per l’arte pubblica: dal 2005 al 2007 ha promosso Salviamo la luna, un progetto ideato da Jochen Gerz, che ha coinvolto l’intera città sul tema del ritratto in una coraggiosa e articolata operazione artistica collettiva durata oltre due anni. Tremila ritratti sono stati scattati nei set fotografici itineranti del Museo, esposti in una grande mostra e infine consegnati ai cittadini: dietro queste immagini vi sono tremila persone che, in un bizzarro e sentito viavai, hanno partecipato attivamente a tutte le fasi del progetto.
Quali altri servizi per il pubblico ha attivato il Museo?
Un servizio educativo permanente che studia percorsi tematici, laboratori, workshop per i diversi target di utenza: scuole di ogni ordine e grado, gruppi organizzati (dalle famiglie alla Terza Età), ma anche migranti e disabili. Si tratta di un segmento di attività che, per inciso, ha catalizzato l’attenzione e il sostegno anche delle aziende locali più sensibili a operare nel campo della social responsibility. La domanda c’è: il pubblico ha voglia di partecipare alla vita del museo come protagonista, vuole capire e fare, sentirsi parte di, ma è una domanda che va intercettata, soddisfatta e coltivata nel tempo. In questo Salviamo la luna ci ha dato un grande insegnamento: alla fine dell’epopea, ci siamo trovati nelle mani, un patrimonio di persone, di contatti e di relazioni che non potevamo disperdere ma neppure, ahimè, incanalare in un altro progetto di arte pubblica (che necessita di parecchie risorse economiche), e così ci siamo rimboccati le maniche, anche un po’ inventandoci, travasando tra la gente il nostro servizio educativo.
Il momento di crisi ha imposto una serie di misure restrittive da parte delle strutture museali, una delle misure che avete attuato, tutt’altro che restrittiva, vede la condivisione di progetti con altre istituzioni, come si realizza?
In verità la realizzazione di progetti culturali condivisi non è una prassi nuova né originale nella gestione museale, basti pensare al fenomeno delle mostre itineranti: entrare in un tour espositivo internazionale ha sempre significato ottenere lustro e insieme la possibilità di abbattere i costi di produzione, trasporto, assicurazione, spese editoriali.
Quali sono gli aspetti più innovativi di queste «condivisioni»?
Con la crisi si dismette l’atteggiamento autoreferenziale e ci si apre al confronto con altre realtà, secondo un approccio che si configura naturalmente come una rete. La relazione non è più un ponte solitario ed estemporaneo gettato fra due realtà, ma è connaturata al progetto e al suo modus operandi. Con diverse declinazioni: opportunità di crescita e di legittimazione, sviluppo della solidarietà, ottimizzazione delle risorse, sensibilità agli input della realtà circostante e molto altro ancora. Di recente il Museo, in collaborazione con Fondazione Pirelli e il sostegno di Fondazione Cariplo e Regione Lombardia, ha avviato un progetto di arte pubblica nell’area Bicocca: un laboratorio creativo con otto giovani autori sotto la guida dell’artista svizzero Beat Streuli sfocerà nella primavera del 2012 in altrettante installazioni artistiche presso l’Hangar Bicocca, lo Spazio Mil e Carroponte, il Teatro degli Arcimboldi, l’Università Bicocca, il Centro Sperimentale di Cinema all’ex Manifattura Tabacchi, la Biblioteca Tilane, Villa Forno. Il progetto culminerà a Cinisello Balsamo nell’installazione di Beat Streuli in occasione dell’inaugurazione e apertura al pubblico del nuovo Centro Culturale.
Pensate che questa esperienza vi porterà alla costituzione di un network capace di integrare e ampliare l’offerta di ciascuno dei singoli attori coinvolti?
La domanda mi fa piacere perché mi dà l’opportunità di presentare un progetto di network che effettivamente ha appena visto la luce. Si tratta di Rete fotografia, nata ufficialmente a gennaio scorso per iniziativa di alcune istituzioni e realtà operanti sul territorio lombardo ma che vuole estendere i suoi nodi e le sue maglie a tutto il territorio nazionale.
Rete fotografia si configura come un sistema aperto di collegamenti e relazioni tra realtà pubbliche e private, con o senza scopo di lucro, che collaborano in azioni di valorizzazione della fotografia. Una rete atipica, poiché non si fonda su criteri di omogeneità tra i partecipanti ma fa leva sulla pluralità e la varietà di voci come ricchezza e opportunità di confronto.
È strutturata in maniera snella e dinamica, con un comitato tecnico-scientifico costituito per ora da Denis Curti (vicepresidente della Fondazione Forma), Renata Mezza (responsabile degli Archivi Aess della Regione Lombardia), Silvia Paoli (conservatore dei Civici Archivi Fotografici del Castello Sforzesco) e Roberta Valtorta (direttore scientifico del Museo di Fotografia Contemporanea).
Tra le finalità primarie di Rete fotografia vi sono la condivisione di informazioni, l’aggiornamento del personale tecnico e scientifico, il sostegno di iniziative rivolte ai giovani, la ricerca scientifica, la didattica e l’educazione, l’offerta di servizi agevolati.
Mostre in corso: Il corpo come linguaggio. Anni Sessanta e Settanta a cura di Roberta Valtorta, fino all’11 settembre 2011
www.mufoco.org
www.retefotografia.it
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