Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Essere o non essere?

  • Pubblicato il: 17/06/2017 - 16:23
Autore/i: 
Rubrica: 
NORMA(T)TIVA
Articolo a cura di: 
Irene Sanesi

Irene Sanesi  commenta la  riforma del Terzo Settore "Un testo quello ancora in "bozza" che presenta controverse quanto stimolanti piste di lavoro"
 


Chissà se già si stanno formando le squadre dei  possibili sostenitori  o detrattori della riforma di legge sul Terzo Settore. D'altronde lo sport ci appartiene, fa parte della nostra storia e come tale ci viene facile fare i C.T..
Vorrei provare una terza via, quella di un indice ragionato (non dico sensato) che possa toccare alcuni temi chiave per questa Riforma. "Per", appunto, e non "di", questa riforma. Alcuni vengono affrontati, altri restano al confine, altri ancora non sono tenuti in considerazione.
Su tutti c'è ampio margine di riflessione.

 
1) Questione di perimetri: la ratio del testo vuole delineare una linea di separazione chiara tra profit e no-profit. Non tanto come impostazione manichea quanto come  volontà definitoria. In pratica sappiamo bene che questo ha riflessi sul piano giuridico e soprattutto fiscale anche come preventivo deterrente a mescolare istituzionale e commerciale, un accrochage che nel tempo ha prodotto a volte mostri, altre è stato il viatico per le start-up culturali e creative. Come sempre c'è chi ne ha approfittato e chi invece partendo dal no-profit ha sviluppato un progetto di impresa culturale capace di stare sul mercato.
 
2) Panta rei: in questo solco si colloca una nuova accessibilità per le operazioni straordinarie (fusioni, scissioni trasformazioni). Finalmente chi vorrà cambiare habitus nel suo percorso potrà farlo facilmente e senza surfare in mezzo agli ostacoli. Perché la forma è sostanza e l'abito fa il monaco, se è lo sviluppo a cui si aspira.

3) Small|Medium|Large: attenzione alla taglia. Crescita e progettualità sono spesso una questione di taglia o di "scala" come insegna il Made in Italy. Per rispondere in termini sostenibili (che poi significa essere competitivi), la standardizzazione (leggi omogeneità fiscale) non sempre è un valore.
Parafrasando la storia economica è sempre attuale l'affermazione "small is beautiful at large scale".

4) Convengo dunque sono: le convenzioni con la P.A. non passano inosservate per più di un motivo. Potrebbe essere che alla fine emerga dalla giungla dei vincoli della sacra trasparenza (codice degli appalti, ANAC, ecc.) e dal precariato delle tempistiche (quando va bene la PA conferma alle imprese culturali solo a fine anno il contributo stanziato, a consuntivo appunto, oramai con la programmazione cotta mangiata e digerita) uno strumento che possa fare una selezione secondo logiche di medio-lungo termine? Con conseguenti positivi investimenti da parte delle imprese culturali convenzionate in ricerca e produzione culturale (e non solo conservazione e valorizzazione). 

5) Nuove professioni crescono: il capitale umano tra lavoratori e non. Ma si potrebbe sotto- titolare anche "il capitale umano tra volontari e non". Nel dilemma per la corretta individuazione della giusta "dotazione" di risorse non possono che sovvenire le riflessioni di cui infra su scala, perimetri, tempi. Insomma, con gli esperti giuridici e fiscali, ci vorrebbero experience designers.

6) Dalla missione all'impatto (e alla creazione di valore): il messaggio della riforma è chiaro. Saranno centrali e conteranno le attività e non sarà più (soltanto) un fatto di compliance statutaria, di dichiarazione d'intenti. Abbiamo da tempo importato, a partire dall'adozione di principi contabili per la redazione del bilancio d'esercizio, linee guida internazionali, laddove una tra queste è per l'appunto la prevalenza della sostanza sulla forma. Diventeranno centrali l'accountability, il bilancio sociale e gli indicatori di performance selezionati secondo criteri "tailored-made" così da poter raccontare l'impresa culturale nel processo (non solo nel prodotto) e nelle sue prospettive (non solo nell'esistente). 

Un testo quello ancora in "bozza" che presenta controverse quanto stimolanti piste di lavoro.
Da una Riforma, non fosse altro perché si chiama così, ci si attende sempre una fotografia ad alta risoluzione: nitidezza, cura del particolare, visione d'insieme.
Quando allo sguardo grandangolare sfuggirà qualcosa, sarà compito (e sfida) degli operatori culturali saper progettare anche a bassa risoluzione adeguando i punti di fuga e mettendo a fuoco sfondi e primi piani di volta in volta.
La nuova leadership culturale non potrà che portare gli occhiali.

Irene Sanesi, BBS-Lombard, presidente commissione Economia della Cultura UNGDCEC (Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili) 
 
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