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Essere fondazioni si addice ai musei, purché non sia una scappatoia per il settore pubblico

  • Pubblicato il: 27/05/2011 - 07:34
Autore/i: 
Rubrica: 
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di: 
Catterina Seia
Gabriella Belli

Dottoressa Belli, l’AMACI, l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea in Italia, ha recentemente costituito una commissione per l’analisi dei modelli di governance e gestionali di tutti musei, come presupposto per la sostenibilità. Un atto fondamentale di ricerca di soluzioni strutturate. Ci anticipa delle considerazioni?
L’esigenza dell’analisi è nata dalla constatazione della mancanza di una cultura politica idonea a garantire ai musei d’arte contemporanea, non solo da un punto di vista finanziario, la necessaria continuità della programmazione. Negli ultimi anni abbiamo assistito da un lato a una rilevante riduzione dei finanziamenti pubblici, dall’altro a preoccupanti situazioni di stallo delle istituzioni museali, in particolare nei momenti di rinnovo delle cariche sociali e direttive: mesi di attesa tra la scadenza dei mandati e la nomina dei successori che hanno costretto i musei a una discontinuità nella programmazione culturale che ha seriamente rischiato di pregiudicare il posizionamento degli stessi nel circuito nazionale e internazionale. Se un’azienda rimanesse per un periodo senza un orientamento strategico e gestionale, sarebbe molto probabilmente destinata a uscire dal mercato.

Come opera la commissione?
Cerca di individuare le criticità di funzionamento delle nostre istituzioni e di formulare le possibili soluzioni. Ora ogni museo è stato classificato in base al modello giuridico adottato, agli organi sociali, ai meccanismi di nomina e alla durata degli stessi, ma soprattutto in base alla diversa ripartizione di funzioni e responsabilità tra i diversi organi sociali, con particolare riferimento a quelle connesse alla programmazione culturale, amministrativa e gestionale. Dati da analizzare.

In parallelo avete avviato un’indagine comparata a livello europeo. Si rilevano differenze sostanziali e modelli importabili?
Notiamo dalla documentazione ricevuta dai musei tedeschi, austriaci e svizzeri, che in questi Paesi operano strumenti di diritto pubblico che, contrariamente al modello italiano, sono dotati di personalità giuridica e conferiscono all’ente una più forte autonomia gestionale e operativa. Stiamo lavorando all’istituzione di tavoli bilaterali con i musei stranieri per approfondire, al di là del dato formale, quelli che sono i reali pregi e difetti dei diversi sistemi.

Quale la ragione della crescente trasformazione giuridica dei musei in fondazioni?
Nella maggior parte dei casi il ricorso a modelli privatistici risponde a due necessità: dotare i musei della flessibilità gestionale per garantire maggiore efficienza ed efficacia nello sviluppo delle politiche museali e per favorire una partecipazione del privato non confinata nei limiti della sponsorizzazione, ma una condivisione dei percorsi di crescita delle istituzioni. Nonostante la diffusione del modello della fondazione, vanno valutati i vizi di fondo che ne caratterizzano il processo costitutivo. In primo luogo, infatti, vi è la tendenza a considerare la partecipazione del privato a sostituzione, e non a sostegno, della partecipazione dell’ente pubblico. Questa è la speranza e l’illusione di molti amministratori pubblici che vedono nella costituzione di enti autonomi la possibilità di scaricare sul privato i costi della gestione ordinaria, con evidenti rischi rispetto alla stabilità finanziaria e quindi operativa del museo. L’ente pubblico dovrebbe garantire al museo le condizioni operative di base e pensare al privato in funzione delle politiche di sviluppo dell’ente museale, e non della sua sopravvivenza. In altri casi la scelta del modello gestionale corrisponde a una risposta di «tendenza» ai problemi della gestione museale, ovvero a una scelta di parte che non viene preceduta da un’adeguata valutazione del contesto operativo e degli obiettivi di sviluppo che l’amministrazione pubblica intende assegnare al museo, con il rischio che il modello scelto non sia ottimale per il caso specifico. La fondazione può essere una soluzione efficace, ma solo se e nella misura in cui il settore pubblico non si sottrae alle proprie responsabilità.

Si assiste a un nuovo fenomeno, lo spostamento dell’allocazione delle risorse da parte di privati (fondazioni di origine bancaria e civili) dal sostegno ai musei alla produzione culturale diretta. Quali le ragioni e le conseguenze?
Diverse le ragioni che vedono equamente distribuite le responsabilità di questo fenomeno tra musei, sistema politico e privato. Il rapporto tra impresa e museo deve oggi essere interpretato come un’opportunità che va al di là del tradizionale concetto di sponsorizzazione, in cui tutto si riduce a uno sterile do ut des basato sul finanziamento di un’attività in cambio della possibilità di pubblicizzare un marchio. Se da un lato, in un sistema competitivo globale, l’impresa deve prendere atto che la cultura costituisce una variabile necessaria per far crescere il suo principale fattore produttivo, il capitale umano, dall’altro il museo deve saper cogliere le potenzialità che derivano da un rapporto più complesso con il sistema imprenditoriale. Credo che i musei guardino l’impresa ancora con troppa diffidenza: dovrebbero introdurre e coltivare forme di collaborazione partecipata. Le principali minacce al sistema museale non sono arrivate dal settore privato, ma dal pubblico. Il sistema politico agevola la collaborazione diretta tra musei e privati. La perdita di credibilità della politica è una delle cause che hanno indotto molte imprese a promuovere meccanismi autonomi di partecipazione alla vita culturale del Paese.
Il sistema privato ha sposato una logica d’intervento individualistica, forse anche alla ricerca di una maggiore visibilità, anziché sostenere forme di collaborazione condivisa. Soprattutto in periodi di generale scarsità di risorse, è auspicabile cercare una più stretta relazione tra pubblico e privato. Lo sviluppo di una politica di allocazione dei finanziamenti a sostegno di una produzione culturale diretta da parte di imprese e fondazioni rischia di depotenziare il sistema culturale del nostro Paese, poiché fa venire meno il valore di una relazione sinergica capace di garantire una maggiore incisività delle politiche culturali.

Gabriella Belli è Direttore del Mart di Trento e Rovereto e Presidente AMACI

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(X Rapporto Annuale Fondazioni)