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Eravamo un soggetto passivo, ora ci diamo strategie. Nessuno potrà più metterci le mani addosso

  • Pubblicato il: 04/05/2011 - 19:46
Rubrica: 
FONDAZIONI D'ORIGINE BANCARIA
Articolo a cura di: 
Umberto Allemandi
Giuseppe Guzzetti

Giuseppe Guzzetti, avvocato, 76 anni, è il punto di riferimento del sistema fondazioni in Italia. In una duplice veste: è Presidente dell’Acri, la piattaforma che riunisce le fondazioni di origine bancaria, ed è Presidente di Fondazione Cariplo, uno dei principali organi filantropici al mondo, che ha raccolto la lunga tradizione, 180 anni, di filantropia della Cariplo.

Presidente Guzzetti, Lei è considerato universalmente il «padre», il protagonista nella genesi e nella trasformazione di questi organismi. Come è avvenuto il suo primo approccio con le fondazioni?
Legislativo. Nel 1990 da senatore partecipai all’approvazione della legge che prese il nome del ministro del tesoro Giuliano Amato, la 218, che introdusse e realizzò l’importante riforma che ha separato attività bancaria e filantropica che prima convivevano nello stesso soggetto, ovvero nelle casse di risparmio, le banche del monte, le banche del Sud, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, il Banco di Sardegna.
Queste realtà avevano una caratteristica peculiare: non avevano azionisti fin dalla costituzione.
Ad esempio, gli utili realizzati venivano destinati ad attività di carattere sociale, collettivo. La legge affidò l’attività bancaria a una società per azioni e fu istituito ex novo un soggetto denominato ente conferente, il cui patrimonio era rappresentato dalle azioni della società bancaria. All’epoca non avevamo ben chiaro ciò che avevamo inventato. Lo scopo era privatizzare le banche per renderle imprese a pieno titolo. Il Legislatore creò un contenitore, le fondazioni, nel quale mettere il patrimonio della banca in attesa di decidere cosa farne. Nei primi anni l’attività è stata largamente assorbita dal coinvolgimento di carattere bancario, tanto che nella prima fase i consigli di amministrazione di fondazione e banca coincidevano.

Quando avvenne il cambiamento?
Col tempo apparve evidente la necessità di una legge quadro che, attraverso una disciplina, fornisse un’identità alle fondazioni. La «Ciampi» affermò la natura privata, la piena autonomia statutaria e gestionale di questi enti, ne fissò criteri di gestione del patrimonio attraverso investimenti diversificati non speculativi, indicando i macrosettori dell’attività erogativa. Rispetto ai due settori d’intervento delle «vecchie» casse di risparmio: la beneficenza (cioè i servizi alla persona) e il settore arte e cultura, le fondazioni hanno inoltre aggiunto anche due aree che hanno assunto un ruolo crescente: la ricerca scientifica, l’ambiente e l’ecologia. Dopo questa vera separazione dalla banca le fondazioni cominciano il loro percorso autonomo scoprendo delle grandi potenzialità nell’azione sul piano sociale. Una consapevolezza che coincide con la crisi dello stato sociale.

Ma come iniziò il suo impegno personale?
Con la mia nomina nel 1996 da parte della Provincia di Como, ove risiedo, a membro della commissione centrale di beneficenza della Fondazione Cariplo. Per due anni ho seguito come consigliere dell’ Acri tutto l’iter della legge Ciampi, Ministro del Tesoro nel frattempo: la 461 e il decreto legislativo 153 del 1999.

Per Lei, dopo vent’anni, quali elementi sono tuttora validi e quali oggi invece avrebbe impostato in modo diverso?
Il sistema delle fondazioni ha dato un giudizio positivo della Ciampi con due eccezioni. La prima, circa l’attribuzione all’autorità di vigilanza (quindi al Ministro del Tesoro, poi dell’Economia e delle Finanze) di un’attività di controllo preventiva che poteva emanare atti e indirizzi vincolanti per le fondazioni, era una violazione dell’autonomia per noi inaccettabile. Due sentenze della corte costituzionale, la 300 e la 301, hanno poi dichiarato incostituzionale quest’inciso della legge, ribadendo la vigilanza di legittimità ex post su singoli atti. L’altro punto dubbio era quello che fissava un criterio di rendimento dei patrimoni annuali da parte del Ministero. Non stava in piedi. La nostra programmazione è pluriennale. E in effetti il Ministero non ha mai esercitato questa sua facoltà.

Lei ha difeso strenuamente l’autonomia di carattere privatistico: c’erano molti appetiti sui vostri patrimoni...
Lei si riferisce al dicembre 2001, quando è stata approvata la finanziaria 2002.
Ma le attenzioni continuano, soprattutto sulle erogazioni, perché la crisi della finanza statale e locale è andata accentuandosi; pensare che le fondazioni concorrano alla riduzione della spesa pubblica sostenendo l’attività degli enti locali non è accettabile. Secondo la legge Ciampi le fondazioni non devono fare attività proprie di altri enti pubblici. La sentenza 300 ribadisce che le fondazioni sono un’organizzazione delle libertà sociali e la loro missione è quella di realizzare il principio di sussidiarietà, che nel frattempo è stato messo nella Costituzione nell’ultimo comma dell’articolo 118. Quindi è tutto molto chiaro. Pensi alla Fondazione Cariplo che è una fondazione erogativa, cioè che coopera con soggetti del non profit e nel sociale. Dal 1991 a oggi ha sostenuto oltre 20.000 progetti realizzati da enti non profit, con erogazioni complessive di circa due miliardi di euro, di cui circa il 36% nell’area dell’arte e della cultura. Non finanzia passivamente, ma valuta e supporta i processi con strumenti come i bandi. I progetti finanziati rispondono all’esigenza del territorio. Stiamo girando le 15 province lombarde, più due del Piemonte (Novara e Verbano-Cusio-Ossola) per illustrare come presentare le domande. Abbiamo progetti anche all’estero, in Paesi in via di sviluppo. Lavoriamo con una strategia, facendo scelte in base alle priorità. Dare solo denaro ha una scarsa efficacia. Noi possiamo e dobbiamo dare un senso strategico alle nostre erogazioni: scegliere i settori di intervento secondo priorità che riguardano i bisogni più urgenti delle nostre comunità e dei nostri territori.

Alcune fondazioni stanno attuando dei propri progetti: che ne pensa?
In questi anni le fondazioni medio-grandi, che erogano milioni di euro, sono giunte a una crescente programmazione dell’attività. Come presidente dell’Acri, ho sott’ occhio che cosa sta accadendo nelle 88 fondazioni e ritengo che abbiamo fatto grandi passi avanti: gestione ed erogazione oggi avvengono secondo regole e criteri manageriali. Una novità importante era nell’articolo della finanziaria 2002 (dichiarato in larga misura incostituzionale): una norma che ci ha consentito di applicare un principio della Ciampi, le fondazioni devono concorrere alla promozione dello «sviluppo economico locale». Ci si chiede: come? La legge era stata contrastata in Senato, per il timore che le fondazioni costituissero GEPI regionali o locali. L’articolo 11 prevede che le fondazioni possono fare investimenti del patrimonio che devono sempre avere un rendimento, ma può essere anche più ridotto del normale se l’obiettivo dell’investimento è di carattere sociale. Ad esempio, Cariplo sta realizzando alloggi di edilizia sociale per studenti universitari, immigrati che lavorano, anziani, giovani coppie, giovani professionisti, dando una risposta a un bi- sogno sociale molto urgente. Con sette fondazioni e la Camera di Commercio di Milano abbiamo promosso un fondo che finanzia il trasferimento tecnologico della ricerca dalle università all’industria. Non possiamo finanziare la ricerca profit, ma con il fondo per la ricerca applicata, costituito dalle fondazioni con i loro patrimoni, diamo una concreta risposta di sviluppo. Il sostegno delle fondazioni alle piccole e medie aziende con fondi di microfinanza è un’importante novità di questi anni, nella quale viene investita parte del patrimonio. Questo vale anche per la cultura.

Le fondazioni attraggono fortemente le parti politiche, sia centrali che locali, il che impone una notevole attenzione, specialmente in un momento così difficile e complesso.
È chiaro che siamo destinatari di attenzioni, sia per la disponibilità di patrimoni importanti, sia per le erogazioni. Ma nella Ciampi una norma provvida indica che nelle fondazioni non deve prevalere la parte pubblica, che finirebbe per asservirle. Ma, prima di queste considerazioni, c’è un tema culturale.
Il Paese ha una cultura dei corpi intermedi molto limitata. Noi e altre realtà non profit rafforziamo il pluralismo democratico, istituzionale. Per questa ragione ci siamo opposti alla pubblicizzazione: avrebbe voluto dire sacrificare soggetti che, nella loro autonomia e con la loro responsabilità, concorrono al bene pubblico, come avviene nelle democrazie di lunga tradizione, per esempio negli USA.

Come vi difendete dalle pressioni?
Con comportamenti rigorosi le fondazioni confermano di essere soggetti che non si piegano alla parte pubblica o ad altre scelte. Le fondazioni devono essere trasparenti. Sui siti Internet il cittadino può controllare come viene gestito il patrimonio e si effettuano le erogazioni e può intervenire se gli amministratori sbagliano. Il controllo burocratico non è efficace: il controllo dev’essere democratico. Contro l’art. 11 della finanziaria 2002, che pubblicizzava le fondazioni, solo voci isolate, come Giulia Maria Crespi e Giorgio Vittadini, si sono alzate per dire che si stava commettendo un errore. Vi è stato un disinteresse generale, soprattutto di quei cittadini e di quelle comunità che invece avrebbero dovuto insorgere perché si stava andando contro i loro interessi.

Nel 2011, a vent’anni dalla prima norma, che voto dà al percorso compiuto? Come vede il vostro futuro?
L’evoluzione è stata continua. Le fondazioni si sono ricavate il loro ruolo faticosamente, anche con qualche errore, ma seguendo un cammino progressivo. Eravamo un soggetto passivo e ora ci diamo strategie. Agiamo nelle periferie degradate, nell’educazione e nella cultura, aree nelle quali vengono tagliati gli investimenti pubblici. Noi invece incrementiamo gli interventi per la creatività giovanile, per le persone a rischio di esclusione sociale, per le biblioteche. Come Cariplo abbiamo programmi nelle scuole, per esempio LIFE, che educa attraverso la musica e il teatro. Credo che il progetto sui distretti culturali resterà nella storia di questa Fondazione come uno degli impegni più importanti.

In che cosa consiste il progetto?
Cariplo si pone come soggetto anticipatore in grado di trovare nuove soluzioni ai problemi di cui altri attori sociali non possono o non riescono a farsi carico e si pone come corpo intermedio tra pubblico e privato, capace di rispondere a bisogni irrisolti. Attualmente finanzia mille progetti l’anno tra le richieste pervenute. La strategia della Fondazione viene elaborata grazie anche all’azione dell’Osservatorio, uno strumento a disposizione della pianificazione per comprendere i cambiamenti sociali, viene delineata in un documento programmatico e declinata in piani di azione. I Distretti culturali sono sei. Coinvolgono regione, comuni, province, comunità montane, camere di commercio e privati; realizzano programmi sui beni culturali che non debbono consumare risorse economiche, ma generarle, dei quali controlliamo in itinere lo stato di avanzamento.

Vi sono delle difficoltà?
La gestione dei beni culturali è comunque un settore, dico onestamente, molto difficile, c’ è ancora molto da fare. Quando riusciremo a verificare l’ efficacia dei nostri progetti, finirà ogni polemica sulla nostra autoreferenzialità. Stiamo lavorando sulla valutazione dei progetti finanziati per misurare l’ efficacia degli investimenti, ma soprattutto per impostare le strategie future. Facciamo molto, ma quasi sempre non è conosciuto: dobbiamo comunicare meglio. La gestione dei nostri patrimoni ha sofferto e soffre delle intemperie internazionali. Se i mercati sono in difficoltà noi non possiamo essere un’isola felice. I nostri patrimoni sono gestiti con criteri di professionalità, il che ci ha consentito di accantonare fondi dai quali oggi, nella difficoltà, attingiamo per i bisogni delle famiglie, per la ricerca, l’ambiente, la cultura. Ma è chiaro che se le nostre banche di riferimento non danno dividendi e riducono il budget del 70% dovremo prendere atto che si avranno minori disponibilità.

Come agisce l’Acri?
Oltre alla difesa dell’autonomia delle fondazioni da ogni interferenza esterna, propone una forte collaborazione tra le fondazioni per mettere a fattore comune le buone pratiche delle singole fondazioni. Su questo mi sono impegnato molto sin dall’inizio. La Commissione arte e cultura, presieduta da Cammelli, sta operando in modo eccezionale nel mettere in rete i nostri patrimoni storici, artistici e archeologici. Ha costruito nuove forme di collaborazione con il Ministero dei beni culturali. La Commissione ricerca, presieduta da Landi, ha creato un codice di comportamento nell’erogazione dei contributi per la ricerca. Ora è nata anche la Commissione ambiente ed ecologia in favore dei piccoli comuni. Ho sempre sostenuto che le fondazioni debbano collaborare.

Ha qualche esempio di queste collaborazioni?
Nel progetto AGER sulla ricerca avanzata nell’agroalimentare, 13 fondazioni hanno contribuito con quasi 30 milioni a un piano che si esaurisce nel 2011, ma che proseguirà. Ricerca avanzata per l’agricoltura, il genoma della vite, del pero, del melo. Accanto alla Fondazione Cariplo che investe 3 milioni, la Fondazione Vercelli contribuisce con 50.000 euro all’anno: da sola non avrebbe mai potuto partecipare a una ricerca sul riso. Con la collaborazione le buone pratiche di una fondazione vengono conosciute dalle altre fondazioni. Io leggo sempre con molto interesse i bilanci di missione delle fondazioni e vi trovo buone idee, modelli cui fare riferimento. L’ Acri deve svolgere la funzione di scambiare esperienze e buone pratiche. Nessuno potrà più mettere le mani addosso alle fondazioni: ci sarebbe un’insurrezione per non permettere di distruggere soggetti importanti per la nostra storia, per la nostra cultura e per la coesione sociale.

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(X Rapporto Annuale Fondazioni)