Earth Pollino, dove il 'vuoto' coesiste con il 'pieno'
SPECIALE AREE INTERNE. Per innescare nuovi processi di sviluppo occorre un pensiero ampio, ben al di là dei limiti territoriali, contesti aperti all’interno dei quali rielaborare in modo innovativo il proprio passato, far circolare i saperi, costruire “cantieri di conoscenza e di progettualità relazionale e collettiva, in cui attivare e facilitare il coinvolgimento e la partecipazione dei diversi soggetti, costruire processi di apprendimento reciproco, di dialogo e di scambio”. L'esperienza di ArtePollino
Si ha un bel lavorare l’argilla per fare vasellame,
l’utilità del vasellame dipende da ciò che non c’è.
Tao Te Ching
Sono sguardi smarriti quelli che incroci se provi a chiedere alle persone che vivono nell’area sud della Basilicata cosa pensano di questo territorio. Inizialmente nessuna parola in grado di poter rendere l’idea. E’ accaduto ancora una volta questa mattina.
Probabilmente la domanda era mal posta, ma la sensazione di un vuoto “soffocante” la portiamo con noi. Qualcosa che ricorda molto l’horror vacui di cui parlavano i latini. E non c’entra la giovane età, non sol. Accade sempre più spesso, in qualsiasi luogo e con persone di ogni generazione. Per ragioni diverse, mancano le parole per parlare di questo posto. Quelle che vengono usate da chi ci guarda dall’esterno e ci descrive non convincono, sanno di retorica, nel bene e nel male. Forse riguardano sì la Basilicata, ma non la nostra.
Tante le ragioni che lasciano muti: l’assenza di opportunità lavorative, di ferrovie, di attività commerciali, di luoghi di divertimento, di un numero adeguato di persone. Va bene il paesaggio, la lentezza, va bene conoscersi tutti e provare a essere ospitali con chi viene da fuori, ma...ciascuno avverte la mancanza di qualcosa. Lo sviluppo sembra seguire altre strade, strade che non incrociano le nostre montagne, nonostante i tanti “piani” e i tanti slogan.
Sorvolando sulla veridicità e sulle responsabilità (attribuite sempre ad altri!) che pure andrebbero analizzate, ma che richiederebbero tempi e competenze diverse, proviamo a riflettere sulle ragioni che ci portano a vedere la nostra terra spoglia, priva di qualsiasi elemento degno di attenzione.
Lo “sguardo metropolitano” (che oramai appartiene a ciascuno e non è una prerogativa di chi vive in città) ci induce a guardare e ad ammirare il pieno, il troppo, il rumoroso; il vuoto è assenza, negazione, mancanza. E qui di vuoto ce n’è tanto.
“A parte il centro di Potenza, in Lucania si sta larghi. Non ti muovi mai sulla cartina millimetrata, come accade nella Costiera amalfitana. Sono rimasti in pochi e quelli che ci sono hanno un fondo di timidezza.”1
La nostra regione pur essendo abbastanza estesa (circa 10.000 chilometri quadrati) ha una densità di popolazione molto contenuta (in media 57 abitanti per chilometro quadrato); il sud di questa stessa regione, ovvero l’area del Pollino dove noi viviamo, ancora di più: tra i 24 Comuni lucani che rientrano nel Parco Nazionale, la gran parte ha una densità abitativa inferiore a 30 abitanti per chilometro quadrato, alcuni anche inferiore a 20; in quest’area ultra periferica, negli ultimi otto anni, la popolazione residente è scesa di altre 4.000 unità, da 58.000 a 54.000. Il sistema produttivo è debole, così come lo sono i servizi di base. Un’area depressa nella quale soprattutto l’offerta cultura langue, le risorse sembrano destinate a rimanere inespresse e le potenzialità latenti.
A dispetto dell’immagine che viene diffusa a fini mediatici e turistici, coloro che vivono qui non sono più i contadini, i pastori e gli artigiani che vi abitavano una volta, quel mondo è quasi del tutto scomparso. Questa realtà dialoga quotidianamente con la città, con essa intrattiene un rapporto più o meno faticoso a seconda dei casi, agevolato comunque, negli ultimi decenni, dalla realtà virtuale. Gli effetti di questa relazione li vediamo sulla mentalità e sui comportamenti.
Da essa scaturisce inevitabilmente una visione di ciò che “dovrebbe essere” (e non è), perché la città possiede tutto ciò che piccoli centri di montagna o di collina non hanno (e non possono avere). La città ci incanta, ci attrae. Un tempo, durante il week end, i nostri centri si ripopolavano grazie agli studenti universitari che rientravano (allora la meta di studi preferita era Napoli). Oggi, non solo le sedi universitarie scelte sono sempre più distanti (Milano è il grande sogno), ma durante il week end sempre più spesso accade che siano le famiglie a spostarsi e a raggiungere le città dove i figli risiedono. Ritornando al paese si avverte sempre di più la mancanza di qualcosa.
A ben pensarci i nostri centri continuano a svolgere un ruolo importante, per quanto disconosciuto dagli stessi abitanti, che non ha nulla a che vedere con la nostalgia.
Il vuoto che percepiamo onnipervasivo, apparirebbe circoscritto a determinati ambiti, per certi versi un vuoto apparente, se solo fossimo capaci di leggerlo in fondo e di vedere come questo vuoto sia capace di parlare all’uomo di oggi e dare sollievo.
Senza dubbio, la dimensione ambientale è uno degli elementi preponderanti in questa terra, è ciò che la caratterizza. Una dimensione possibile proprio grazie al basso impatto del sistema insediativo. Piccolissimi centri circondati da grandi boschi, attraversati da fiumi e sovrastati da montagne, dove oltre alla specie umana trovano riparo molti altri esseri viventi e dove la bellezza è “premio per chi l’ha cercata” magari camminando a lungo su un sentiero e non un “diritto per cui basta pagare”2. Cieli affollati (quelli sì) di giorno da uccelli migratori che seguono le proprie rotte, di notte da stelle e pianeti che qui, proprio grazie all’assenza di luci artificiali, riusciamo a vedere nitidi. E il silenzio notturno, rotto spesso solo dai versi di animali. Il nostro vuoto è pieno di biodiversità, in tutte le sue declinazioni. Non è un’immagine da cartolina (“mozzafiato” si direbbe in termini promozionali). E’ una realtà che può anche provocare sgomento e, togliere il fiato, appunto, ma di cui anche l’uomo della città inizia a sentire il bisogno. Bisogno di natura, di silenzio, di lucidità, di incontri. Il bisogno di cercare qualcosa che non sia soltanto merce, ma che arricchisca la propria esistenza di significati, magari condivisi.
Quel vuoto che noi percepiamo, insomma, può essere letto come opportunità, spazio creativo e rigenerativo, perché non congestionato.
Le aree interne, come la nostra, non possono più essere pensate come forme incompiute delle città (così come il sud non è una “forma incompiuta del nord”3), ovvero come luoghi adagiati in un eterno “non ancora”. Né possono essere concepite come immutabili, ferme nel tempo.
Il grande pregio naturalistico dei nostri ambienti da solo non basta, ovvio; esistono bisogni irrinunciabili di ogni persona. Ma esiste anche un bisogno di senso, di appartenenza, di vicinanza che può e deve trovare risposte soprattutto all’interno di processi innovativi e creativi.
Per innescare nuovi processi di sviluppo occorre un pensiero ampio, ben al di là dei limiti territoriali, contesti aperti all’interno dei quali rielaborare in modo innovativo il proprio passato, far circolare i saperi, costruire “cantieri di conoscenza e di progettualità relazionale e collettiva, in cui attivare e facilitare il coinvolgimento e la partecipazione dei diversi soggetti, costruire processi di apprendimento reciproco, di dialogo e di scambio”4. Dispositivi capaci di indurre e risvegliare la partecipazione, di coinvolgere attivamente osservatori esterni, per rimettere in connessione la scatola dei ricordi con quella dei sogni, produrre, dinamizzare, socializzare un’intelligenza collettiva a cui affidare le qualità di questi luoghi5.
Per capire fino in fondo l’opportunità che si apre davanti a noi dobbiamo ripensare la nostra storia, anziché rimuoverla, capire come siamo arrivati fin qui, essere disposti a leggere con gli occhi della contemporaneità ciò che consideriamo sviluppo e arretratezza, il momento storico che stiamo vivendo, le scelte che si presentano davanti a noi.
Ripensare e imparare dal nostro paesaggio: dalle immense vallate aride che si alternano alla fiorente vegetazione di fitti boschi; dai vicoli stretti di case accostate l’una all’altra che a un certo punto si aprono diventando piccole piazze, che conservano il loro fascino proprio perchè restano vuote per la maggior parte dell’anno, non accessibili alle automobili e prive di vetrine, luci, negozi; dai vuoti di grotte preistoriche, che si alternano ai pieni delle montagne e che riempiono il paesaggio di storia e di contenuti; da quegli edifici dismessi che grazie a progetti di sviluppo sono stati ripensati e diventati spazi pieni di cultura. E’ su questa alternanza e su questa trasformazione che dovremmo soffermarci, leggendola, e forse accettandola, come opportunità e come possibilità di libertà
C’è un “pieno” di creatività che sta crescendo, anche in Basilicata, e si sta facendo sempre più spazio. Fermenti culturali e creativi, intelligenze e risorse umane stanno provando ad esprimersi nel campo delle arti, della tecnologia, del mondo digitale. Esperienze come Visioni Urbane e i Centri per la Creatività, Arte in Transito, tutta la scena creativa lucana e, per quel che riguarda la nostra esperienza, ArtePollino Un Altro Sud, sono espressione di questa spinta innovativa. Spazi vuoti ripensati e riadattati per la cultura e l’arte; il lavoro di giovani creativi che contribuisce all’elezione di Matera come capitale della cultura 2019; grandi artisti invitati scoprire e leggere il territorio e a realizzare opere d’arte che dialogano con la natura, la cultura e il paesaggio...sono solo alcuni esempi di ciò che sta accadendo negli ultimi anni e che sta innescando, lentamente, un cambiamento. Insomma, nel vuoto stanno germogliando idee e opportunità di sviluppo per guardare questo territorio con uno sguardo rinnovato.
Nel 2009 Anish Kapoor, chiamato a dare una personale lettura di questo angolo sperduto del pianeta, nell’ambito del progetto ArtePollino Un Altro Sud, realizza Earth Cinema: una cavità artificiale, un vuoto appunto, creato per invitare a osservare il territorio da un’altra angolazione, a guardare la terra dal di dentro.
Nella poetica di Kapoor il vuoto coesiste con il pieno, è ciò che la materia crea; le sue forme convesse creano le concavità, il dentro crea il fuori, il dritto crea il rovescio e il sopra crea il sotto. E’ in questa eterna convivenza degli opposti che sta l’essenza della sua arte ed è nel vuoto, come momento della creazione, che risiede la libertà dell’artista e di conseguenza del fruitore. Nel suo nero e nei suoi vuoti lo spettatore si perde, prova un senso di smarrimento e di infinito, ma è proprio in questo tentativo di andare oltre ciò che è visibile e conosciuto che sta la libertà, libertà di cercare nuovi punti di vista, nuovi significati, di non fermarsi alle apparenze.
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