Donare è contagioso
Francoforte. Si può donare in tempo di crisi? Rispondere all’emergenza globale investendo in cultura è pura eresia? Bisogna necessariamente «tirare la cinghia» - come invocano i nostri - per crescere e risollevarsi dalla malasorte finanziaria che ha travolto il pianeta?
Sembrerebbe proprio di no. Non a Francoforte per lo meno, dove nel primo week-end di apertura dopo l’intervento di ampliamento, in 18.000 sono andati a dare il benvenuto al nuovo Städel Museum, lo storico museo nato nel 1815 dalla donazione del mercante Johann Friedrich Städel, che lasciò la propria collezione d'arte alla città.
Tutto questo accade quando il museo non è uno sterile espositore, ma un «contenitore di contenuti», il riflesso di un «sentire» comune, depositario di memorie e tradizioni e allo stesso tempo portatore di innovazione. E lo Städel Museum sembra proprio racchiudere in sé tutte queste peculiarità.
Fin dalla sua fondazione, il museo ha perseguito un’attiva politica di acquisizioni che ha permesso di ampliare la propria collezione dando dimora a geni del passato, come Dürer, Holbein, Rembrandt, Vermeer, Rubens, Mantegna, Botticelli, Tiepolo, cui si sono man mano aggiunti alcuni dei protagonisti dell’arte contemporanea, Donald Judd, Blinky Palermo, Imi Knoebel, Isa Genzken, Gerhard Richter, Sigmar Polke, Neo Rauch, Corinne Wasmuht, Andreas Gursky, Wolfgang Tillman e altri.
Un’attitudine del museo a ripensare costantemente sé stesso, che è andata di pari passo con le numerose espansioni e modernizzazioni della struttura, fino all’ultima «spettacolare» fatica dello studio di architetti schneider+schumacher, cui è stato assegnato nel 2008 – previa concorso – il progetto di ampliamento dell’edificio storico, destinato ad accogliere la collezione di arte contemporanea.
Il risultato è piacevolmente sorprendente, soprattutto perché non siamo di fronte all’ennesimo capriccio da archistar, dove la vanitas dell’architetto di turno, desideroso di lasciare la propria firma in un contesto storicamente denotato, sovrasta gli insuperati principi vitruviani dell’ars aedificatoria di «utilitas, firmitas e venustas».
Una grande e rara novità che allo Städel fa rima con sostenibilità.
L'imponente neo struttura di 3mila m2 si estende infatti sottoterra, a otto metri di profondità, sotto il giardino del museo, da dove tacitamente urla la sua presenza attraverso i 195 lucernari rotondi che illuminano di luce naturale gli spazi interni del museo e che, in esterno sul prato, creano un «fantastico» pattern. Un esempio di dialogo e ascolto tra contemporaneità e memoria, in cui il nuovo coesiste con l’esistente e è possibile innovare comunicando con il passato.
Ma a Francoforte non solo l’architettura è sostenibile. Per la costruzione del nuovo edificio sono stati spesi 34 milioni di euro, mentre 18 milioni è costata la ristrutturazione dell’esistente.
52 milioni di euro in totale. Una somma ingente e un’operazione onerosa, se non fosse stato per il fatto che circa 26 milioni di euro sono stati raccolti grazie a donazioni da parte di privati cittadini, imprese e fondazioni, mentre a pesare sulle casse pubbliche è stata solo la restante metà.
«È un esempio brillante di finanziamento della cultura anche in tempi economici difficili», ha detto Nikolaus Schweickart, presidente dell'amministrazione dello Städel e – aggiungiamo noi, un po’ invidiosi – un modello esemplare di cooperazione pubblico-privato per il raggiungimento del «bene comune»: la restituzione di un simbolo identitario alla città.
A porre la prima simbolica pietra per il nuovo museo è stata nel 2007, con una donazione di 7 milioni di euro, la Hertie-Stiftung, una fondazione nata per volontà di Georg Karg (1888-1972), proprietario dei grandi magazzini Hertie, cui si sono aggiunti l’anno successivo i 3 milioni di euro dell’istituto bancario B. Metzler seel. A partire dal 2009 si aggiungono «a ruota» una serie di ulteriori e importanti sponsor: la Stiftung Polytechnische Gesellschaft (un milione di euro), la KPMG, la PwC - PricewaterhouseCoopers (500.000 euro), la Fondazione FAZIT (250.000 euro), la Royal Bank of Scotland (100.000 euro), la società immobiliare americana Tishman Speyer (500.000 euro), la fondazione del giornale «Frankfurter Allgemeine Zeitung».
Il tutto all’insegna del motto «Francoforte sta costruendo il nuovo Städel. È possibile partecipare allo sforzo».
E come un magico e contagioso incantesimo, anche privati cittadini si sono adoperati per la «giusta causa» attraverso molteplici iniziative: una campagna di fundraising «creativo» ha visto ad esempio la vendita all'asta dei disegni di 1.200 studenti.
C’è stato poi il coinvolgimento delle famiglie più abbienti della città, che hanno contribuito con cifre tra 250mila e un milione di euro e con opere delle proprie collezioni. Fondamentale inoltre il contributo degli «amici» del museo che hanno partecipato all’impresa con 3 milioni di euro.
Ma anche il Pubblico, d’altra parte, ha fatto il suo: 16,4 milioni di euro sono stati donati da parte della Città di Francoforte, 5 milioni di euro dallo stato federato in cui si trova Francoforte, il Bundesland Hessen, e 4 milioni di euro dalla città di Eschborn.
Ed è così che, grazie all’impegno di tutti, lo Städel Museum riappare, come in una favola dal lieto fine, alla città di Francoforte.
Ora, vuoi che sia una «moda» passeggera, vuoi che il regime fiscale tedesco favorisce le donazioni e le sponsorizzazioni, a noi piace pensare che «l’incantesimo» possa colpire anche l’Italia, perché «donare si può ed è bello», anche in tempo di crisi.
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