Disegni sui muri e arte nello spazio pubblico: la spray-can art e la contestazione registrata dei writers
Bologna. Quattro giorni per realizzare un wall painting non è proprio la stessa cosa del throw up, l’azione che in gergo graffitaro prevede pochi colori e tratti tondeggianti («Bubble style») per realizzare un segno, il più esteso possibile nel minor tempo possibile, in contesti urbani dove disegnare è rigorosamente vietato. Nella serata di sabato 17 settembre 2011 la cittadina emiliana di Dozza festeggerà la XXIII Biennale del Muro Dipinto quattro giorni in cui sei artisti - Karin Andersen, Riccardo Baruzzi, Bruno Benuzzi (wall painting) e Hemo, Moneyless e Paper Resistance (writing) -disegneranno all’aperto, sui muri, tra la curiosità dei passanti.
Una manifestazione organizzata dalla città e dalla Fondazione Dozza Città d’Arte con il contributo scientifico del MAMbo e la curatela, per la seconda volta consecutiva, di Fabiola Naldi dell’Accademia di Bologna e autrice di «Do the right wall/Fai il muro giusto» (Edizioni MAMbo, 2010) che raccoglie punti di vista diversi sull’impatto socio-culturale del disegno murale.
Quando si parla di street art, che include naturalmente la pratica del graffito e del writing, sono in molti ad avere riserve: scarabocchio vandalico oppure opera d’arte? Certo è che le amministrazioni pubbliche hanno intrapreso volentieri la strada della «spray-can art» quella misura per arginare, contenere, i movimenti graffitari concedendo muri legalmente imbrattabili lontano dai centri storici.
Eppure la biennale di Dozza è nata presto, prima ancora che il movimento della «graffiti art» prendesse piede oltreoceano come forma di autoaffermazione prima e di contestazione poi.
La prima edizione della Biennale del Muro Dipinto nasceva nel 1960 con l’intento di avvicinare la pratica artistica ai cittadini di Dozza, un progetto che oggi potremmo definire come forma primigenia dell’ «arte partecipativa». Nel tempo ha saputo coinvolgere le nuove pratiche che andavano via via affermandosi e quest’anno, per la prima volta, apre ai writers. Forse anche per merito della collaborazione scientifica con il MAMbo che nella sezione «arte e ideologia» della collezione permanente conserva un disegno a china rossa di Keith Haring – omaggio dell’artista americano alla bolognese Francesca Alinovi che curò la sua prima mostra in Italia – e dedica ampio spazio ai movimenti di contestazione degli anni ’70.
Negli stessi anni in cui nei ghetti newyorkesi nasceva la graffiti art – pensiamo alla tag «SAMO©» creata nel 1978 da Jean-Michel Basquiat e Al Diaz ancora liceali e durata solo fino al 1980 ma già apprezzata da Haring che nel frattempo tappezzava le metropolitane di NY con il suo «bambino radiante» – Bologna viveva la stagione delle manifestazioni e degli scontri studenteschi.
Al MAMbo si possono ascoltare le trasmissioni di Radio Alice, la più famosa tra le radio libere italiane, inaugurata il 9 febbraio 1976 in via del Pratello 41 (alla frequenza 100.6 MHz) e chiusa dalla polizia il 12 marzo 1977 all’indomani dell’uccisione dello studente di medicina e militante di lotta continua, Francesco Lorusso. Sul muro dove sono rimbalzati i proiettili che hanno colpito Lorusso ora c’è una targa commemorativa ma la traccia delle pallottole è stata catturata e riproposta quest’anno dal giovane artista Marcello Spada, vincitore del concorso «Si Metrica», sulla porta d’ingresso del centro culturale sperimentale Spazio Si di via San Vitale. La ferita di un muro diventa un’opera per ricordare, ma i segni murari di una città in cui vivono 90.000 studenti non sono tutti onorabili.
Un recente progetto di Maria Paola Landini li tiene monitorati: con «Bologna al muro» nasce il primo archivio digitale del writing bolognese suddiviso per sezioni che vanno dalla città (Bologna rise up, Chi ha ucciso Bologna?) alla lotta (Provocare è meglio che obbedire, Stay on the barricades for a better education) al consumo (Il consumo ti consuma, Le cose che possiedi alla fine ti posseggono).
Perché se i muri sono superficie di contatto, di scambio, l’importante è che i «toys» (Trouble on your system, in gergo i writers incompetenti o inesperti) si iscrivano a corsi di disegno.
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