Dicembre. PIR, un incentivo per lo sviluppo della piccola e media impresa italiana
I PIR (Piani Individuali di Risparmio) rappresentano una assoluta novità nel panorama del risparmio italiano. Si tratta di un contenitore in cui è possibile costruire un portafoglio di strumenti finanziari i cui redditi sono fiscalmente esenti. Classis Capital ha intervistato Marcello Esposito, suo Macrostrategist, nonchè consulente economico del Sottosegretariato Economico del Primo Ministro Italiano da maggio 2016 a dicembre 2016, periodo durante il quale ha partecipato attivamente all’ideazione di questo prodotto.
Che cosa sono precisamente i PIR e perché hanno tanto successo?
Introdotti con la Legge di Bilancio 2017 (dove in realtà sono denominati “piani di risparmio a lungo termine”), all’interno dell’articolo 18, (l’articolo tratta più in generale delle agevolazioni fiscali per gli investimenti a lungo termine effettuati, direttamente o mediante OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) dedicati, in azioni o quote di imprese residenti in Italia o con stabile organizzazione nel territorio italiano) nascono con la necessità di sperimentare nuove forme di incentivazione all’investimento di lungo periodo nel tessuto imprenditoriale italiano, per potenziare e supportare la dimensione piccola e piccolissima delle aziende italiane per le quali si rende difficile il ricorso al mercato dei capitali.
Se detenuti per almeno 5 anni e in caso di scadenza o rimborso dei titoli entro i 5 anni - le somme rivenienti vengano reinvestite nella stessa tipologia di strumenti entro 90 giorni dalla data di scadenza o rimborso - l’agevolazione fiscale nella sottoscrizione dei PIR, per un ammontare massimo annuo di 30.000€, è sostanziale, perché i redditi generati da tali investimenti sono fiscalmente esenti. L’esenzione si estende, nel caso delle forme di previdenza complementare, anche alla derivante quota di trattamenti pensionistici.
Data la complessità della regolamentazione, nonostante sia possibile costruire un PIR fai-da-te, il legislatore ha creato la nuova figura dell’”OICR qualificato” sottoposto, ai fini dell’agevolazione fiscale, ad una serie di limiti ovvero che:
- il 70% del portafoglio sia investito in strumenti finanziari
- di questo 70%, almeno il 30% (quindi, almeno il 21% del totale) sia investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB o equivalenti di altri mercati regolamentati
- i suddetti limiti siano rispettati per almeno i 2/3 di ciascun anno solare di durata del piano.
Tale soluzione è fin da subito stata preferita dall’investitore Retail ed ha riscosso molto successo di raccolta, infatti dalla partenza del prodotto l’industria ha raccolto più di 4 miliardi € (dato Assogestioni al 30/9/17) .
Ha senso investire nei PIR per un investitore istituzionale e se sì con quale % di portafoglio?
Senza ombra di dubbio. Ovviamente, si tratta di investimenti rischiosi sia per la natura dell’emittente sia per la liquidità degli strumenti. Non stiamo parlando di titoli di Stato o di emittenti sovranazionali. Pertanto, devono essere considerati all’interno di strategie a lungo termine e sottoposti a limiti di concentrazione massima e di diversificazione minima. L’investitore istituzionale vi può accedere solo attraverso i classici veicoli del risparmio previdenziale (fondi pensione, casse previdenziali) o attraverso la nuova figura dell’”OICR qualificato”. Per evitare eccessivi limiti di concentrazione non più del 10% può essere investito in depositi o conti correnti e non più del 10% in strumenti emessi dallo stesso emittente. Per quanto riguarda la percentuale di portafoglio ottimale, questa dipenderà dalla tipologia di investitore istituzionale e dalla natura delle sue passività.
Pensa che in un contesto economico di crescita questo strumento favorisca ulteriormente lo sviluppo della piccola media impresa italiana?
L’obiettivo è quello di sviluppare un sistema finanziario meno bancocentrico e che consenta anche alle aziende di minori dimensioni di accedere al mercato dei capitali. In Italia, ancora nel 2015, l’87% dei finanziamenti erogati alle imprese italiane era di natura bancaria, mentre solo il 13% era costituito da obbligazioni. I nuovi requisiti di capitale imposti all’attività bancaria tradizionale rendono necessario riequilibrare le fonti di finanziamento. Ne va della competitività del sistema produttivo italiano.
Le forme previdenziali possono in tal senso dare un notevole contributo. Come ha fatto notare la COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) più volte, le forme previdenziali private investono in Italia il 40 % del totale degli attivi (pari a circa 70 miliardi di euro). Di questi, il 50% sono titoli di Stato e il 33% sono immobili. Per il sistema produttivo italiano rimangono poco meno di 6 miliardi di euro, di cui 3,5 miliardi in obbligazioni e 2,5 miliardi in azioni. Troppo poco. Speriamo che i PIR aiutino a cambiare in meglio il contributo offerto dalla previdenza integrativa allo sviluppo del nostro paese.
Marcello Esposito è Macro Strategist in Classis Capital Sim Spa, editorialista economico e finanziario per La Repubblica, «esperto» esterno di Oxford Analytica, Professore Incaricato di Mercati Finanziari internazionali all’Università Cattaneo di Castellanza nonché CEO di Quantum Financial Analytics, società da lui fondata. Dal 1990 al 2000 è stato economista presso l'Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana (ora Intesa Sanpaolo), dove è stato responsabile della Financial Markets Research. Successivamente ha svolto diversi incarichi nelle principali SGR italiane (Sanpaolo AM e Pioneer Investments), in Banca Patrimoni Sella e in UnipolSAI. E’ laureato in Università Bocconi (DES) e ha conseguito il MSc/MPhil in Economics presso la London School of Economics.
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